ARTICOLO
DI BERNARDO BARBARESI SU UN “GIALLOROSSI” DEL 1976
E’
lo stadio più variopinto d’Italia, ma non è certo per merito
dei costruttori che l’Olimpico è contagiato da
quell’epidemia morale
che ha invaso tutta la città. Sull’obelisco, su tutte le
pareti
del Foro Italico si può notare esposta la fede dei tifosi
romani;
in realtà si capisce ben poco fra le migliaia di scritte che
coprono
tutto. Sì perché la Roma non
è Torino, o Milano, o Genova dove le opposte tifoserie si
scelgono
differenti postazioni: feudo sia laziale che romanista è la
curva
sud, forse più raggiungibile da tutti. Così
ogni domenica si cancella, si corregge quel che hanno
scritto gli avversari
una settimana prima; e il bianco dei muri scompare sotto
strati di vernice.
Ogni tanto, in occasione di incontri importanti, si copre
tutto di vernice
bianca, da violare regolarmente la settimana dopo, e così
all’infinito.
Leggendo i tanti graffiti si ha il sentore di una disputa,
di una battaglia
murale che diviene realtà nel “dies irae” del derby, in cui
le bande
avversarie, cercandosi con odio, arrivano all’inevitabile
scontro fisico.
FDL, BCS, SAG, FEDAYN, BOYS, PANTERE, NAB, ULTRAS,
VIGILANTES, AQUILE,
un elenco interminabile di feroci sigle, di nomi da
guerriglia: un indubbio
fenomeno di autoesaltazione collettiva, nella quale il
sentirsi numerosi
dà il coraggio di sfidare tutto e tutti. D’altronde, per
capire
la psiche stravolta dell’ultra, basta leggere ciò che
scrive. Si
può fare subito una constatazione: le bombolette di
vernice
spray servirono a scarabocchiare “Alè Roma” o “Forza
Lazio”;
ora, più recenti scritte invocano “Prati come Ferrini”
(giocatore
del Torino deceduto se non ricordo male in un incidente
stradale, n.d.L.),
“Tabocchini (il
gioiellere che uccise
Re Cecconi, n.d.L) hai
fatto solo il tuo
dovere”, “Giordano come Re Cecconi”, testimoniando che
l’ultra si è
incattivito, che sta ormai abbandonando, anche
ideologicamente, un atteggiamento
normale, da tifoso “caldo”, per raggiungere i lidi della
violenza pura.
Ormai per lui lo sport è solo una copertura, una scusa per
usare
lo stadio come palestra di eroismi. E non solo lo sport:
altre frasi dicono
“Concutelli libero”, “I laziali sono con
Saccucci”, “I
camerati interisti con le pantere neroazzurre”,
svastiche e fasci a
decine coprono i cancelli dei popolari. Anche la “politica”
dunque. Quella
più eroica, più comoda per coprire i propri istinti
violenti.
Purtroppo questi ragazzi vivono di violenza, i loro ambienti
ne sono saturi,
la domenica mattina se la portano dietro da casa, insieme
alle speranze
di vittoria, sia che vengano dagli alveari delle borgate che
dalle ville
dei quartieri eleganti. Forse la colpa è anche nostra, di
una certa
società che li circonda; non voglio chiamarli
sottosviluppati: probabilmente
noi, i buoni, riusciamo a scaricare la nostra aggressività
in un
modo meno appariscente del loro. Comunque è certo che
vengono allo
stadio non solo per guardarsi la partita ma anche se se ne
presenta l’occasione
per sfogare il proprio gusto personale di creare violenza,
di sentirsi
qualcuno. Anche per questo l’ultra entra celando chissà dove
la
innocente bombola di “casacolor” e scrive dove può, spinto
da due
istinti essenziali: il primo è quello di lasciare un
messaggio che
tutti vedano: un capolavoro da ammirare, o da odiare non
importa. Si agisce
così per gli altri. Per i tifosi e soprattutto per i
compagni che
si ha vicino, che in casa loro proclamano eroe l’autore
del’opera d’arte.
L’altro impulso è più profondo, assurdo, irrazionale: è
la voglia irrefrenabile di sfogarsi, di distruggere, di
dissacrare. Stadi
come quello di S. Siro sono intatti perché i costruttori
hanno avuto
l’accortezza di farli di un bel grigio scuro. L’Olimpico, il
Foro Italico,
hanno troppe superfici bianche per non far gola ai
grafomani. Non si pensi
che quindi questo è un fenomeno romano. E’ certo che nella
capitale
è stato portato al parossismo. Basta andare in curva e
leggere le
decine di scritte che ricoprono il pavimento del parterre,
scritte leggibili
a stento solo dal campo, e quindi fini a se stesse. Gli
ignoti autori erano
in preda ad istinti oscuri, gli stessi che li spingono ad
esempio a strappare
i sedili, a svellare i servizi igienici, rovinando tutto ciò
che
è a portata di mano; danneggiando se stessi, perché su quei
sedili dovranno poi sedersi, e di quei sanitari dovranno
servirsene, prima
o poi. Ho provato a chiedere ad alcuni gruppi di ultras cosa
pensano di
questo, senza chiamarli direttamente in causa come autori.
Ho ricevuto
risposte vaghe: “Noi ste cose nun le famo, nun c’entramo
gnente”,
“so’ i laziali”. Probabilmente i “cugini” pensano la
stessa cosa.
In ogni caso questi ragazzi non si preoccupano certo delle
conseguenze
di quel che fanno. L’importante è sfogarsi, in qualche modo.
In
questo senso, l’unica cosa sensata l’ho sentita da Mauro,
del gruppo “Wolves”:
“Lo scrivere non serve in realtà a nessuno. Sporca e
basta. Ma
è lo stesso importante perché crea ai delinquenti (?!) la
possibilità quasi innocua di sfogarsi. Altrimenti cosa
farebbero?”. D’altronde
se proibissimo l’entrata allo stadio agli ultras, e a tutti
quelli che
vengono allo stadio per scaricarsi in qualche modo,
innocente o no magari
prendendosela a morte con l’arbitro, beh, credo che gli
spalti sarebbero
quasi vuoti. Il calcio, ormai, non è solo uno sport.