TESSERA, VOUCHER O BIGLIETTO? QUESTO E’ IL PROBLEMA.
(luglio 2012)


Colgo l’occasione che mi fornisce l’articolo “Il buono, il brutto e il Voucher” tratto da Sportpeople per fornire alcuni chiarimenti sulla nota questione della tessera del tifoso, chiarimenti peraltro già forniti in seno all’altro articolo citato “Crescere, evolversi e poi? Morire?” della stessa testata, facilmente reperibile su internet.
Per i più pigri, in poche parole si dice che nel corso del tempo i sistemi di controllo della questura si sono evoluti e quindi è necessario essere meno ipocriti, visto che la sottoscrizione del voucher è analoga alla sottoscrizione di una tessera del tifoso, ma suggerisco di leggerli entrambi perché ben scritti e contestualizzati.

B    Bene, operata questa premessa, già in data 10 e 16 aprile 2011, e lo si può controllare sugli aggiornamenti del mio sito, avevo evidenziato una circostanza fondamentale a livello ideologico: l’introduzione del sistema “Questura on line”, avvenuto nel febbraio 2011, di fatto faceva sì che qualsiasi persona acquistasse un biglietto di ingresso per lo stadio venisse automaticamente controllato dalla questura che dava l’OK o il KO al rivenditore di biglietti in tempo reale, in base all’art. 9 della legge Amato.
Se, quindi, uno dei punti cardine della battaglia contro la tessera del tifoso, era il concetto del “non si chiede il permesso alla questura per entrare in uno stadio”, già dal febbraio 2011 chi ha acquistato un solo biglietto lo ha fatto e quindi l’unica scelta praticabile se ancora si segue questo concetto è quella del non andare più allo stadio.
Ora, al di là del dato tecnico che rende esattamente identico il concetto del fare la tessera del tifoso/il voucher/il biglietto, è forse opportuno ricordare come si evoluta la vicenda da un punto di vista storico, ma con qualche premessa:
a)    
una guerra ha degli obiettivi, da parte di entrambi i contendenti;
b)    
una guerra è fatta di battaglie;
c)  
una guerra deve avere necessariamente delle strategie, che debbono avere come riferimento lo scopo finale e che possono essere modificate a seguito degli eventi.

 

Ciò detto, la "guerra" contro la tessera del tifoso nasce non appena ci si rende conto che con la sua introduzione il Ministero dell’Interno avrebbe potuto dare piena attuazione al famigerato articolo 9 della Legge Amato, che vieta la vendita di qualsiasi titolo di accesso a chiunque abbia avuto un daspo, anche in passato, e a chiunque sia stato condannato per reati da stadio, anche solo in primo grado, in ogni epoca.

Una sorta di diffida a vita, quindi, che avrebbe potuto portare alla decimazione del tifo organizzato.


La lotta contro la tessera, quindi, era principalmente una lotta contro l’art. 9, ed il documento che venne emesso nel settembre del 2009, se non ricordo male, dai gruppi che si riunirono a Roma, evidenziava in principal modo questo aspetto, anche se soprattutto per ragioni di comprensione, la protesta si sviluppò al grido di “No alla tessera del tifoso”, più comprensibile per l’opinione pubblica del “No all’art. 9”, tant’è che grazie a questo slogan i media si sono interessati al problema, consentendo di informare correttamente l’opinione pubblica, con conseguente rovesciamento dei sondaggi di gradimento.


Altri aspetti, non secondari ma meno vitali, erano quelli del legame della maggior parte delle tessere del tifoso a circuiti bancari, cosa che ne svelava la vera funzione commerciale, e la violazione della legge sulla privacy, violazione funzionale a far sottoscrivere contratti bancari senza informare il tifoso, che veniva messo con la corda al collo da parte del Ministero dell’Interno e delle varie Leghe calcio con il ricatto “se non ti tesseri non fai l’abbonamento e non vai in trasferta”.


All’epoca vi era però un modo alternativo di entrare allo stadio, per lo più in casa e, con qualche escamotage, anche in trasferta: acquistando il singolo biglietto, perché ancora non era stato introdotto il sistema “Questura on line” sulla sua emissione, ma tale controllo veniva svolto solo per chi si faceva la tessera del tifoso.


Vi era quindi la possibilità di “non chiedere il permesso” alla questura per poter entrare e ciò ha determinato la spaccatura tra quelle tifoserie che, da subito e per ragioni diverse che tutti conosciamo, hanno deciso di sottoscrivere la tessera del tifoso e quelle che, invece, hanno deciso di contrastare in tutti i modi l’odioso diktat di Maroni & soci trovando soluzioni alternative.


Detto questo, dobbiamo fare un passo indietro, e tornare ai tre punti prima toccati:

a)     qual è l’obiettivo dei gruppi organizzati? E qual era l’obiettivo del Ministro Maroni e – in senso più ampio – del Ministero degli Interni?

Risposta semplice: per i primi, rimanere all’interno degli stadi per sostenere le proprie squadre senza eccessivi vincoli che potessero snaturare la loro stessa essenza; per i secondi, basta leggere le note di indirizzo del Ministro Maroni dell’epoca che puntavano espressamente alla “disarticolazione” e alla “distruzione” dei gruppi organizzati.

L’obiettivo della guerra, quindi, era per i primi quello di non farsi eliminare dagli stadi, per i secondi quello di eliminarli. Come in ogni classica guerra, del resto: mors tua, vita mea.

 

b)     Quali battaglie sono state condotte? La risposta è troppo lunga e persino inutile. Nell’impossibilità di avere una linea comune, per differenze di mentalità, di categoria, di ambiente, ognuno ha combattuto la propria: tutti con striscioni e dimostrazioni di varia natura, meno con azioni concrete andate bene o andate male a seconda delle piazze e delle questure. La valutazione di questo non spetta certo al sottoscritto, che cerca di tratteggiare un quadro di insieme che possa consentire di capire il perché di alcune scelte ed anche quali scelte fare in futuro. Più giuridicamente parlando, due battaglie sono state vinte, sul fronte della privacy e per l’aspetto del legame commerciale tra tessera del tifoso e carta di credito. La terza battaglia, che comporterebbe la vittoria della guerra, è invece ancora in corso ed è quella contro l’art. 9. Una battaglia di questo tipo la si può vincere in due modi diversi: diplomaticamente o in un’aula di Tribunale. Lo stesso Osservatorio, in due comunicati, ha evidenziato come l’art. 9 sia ingiusto e vada modificato. La modifica dell’art. 9 spetta al governo e l’unico governo che potrebbe modificarlo potrebbe essere quello tecnico attualmente in carica, ora che Maroni è tornato alla sorgente del Po.

    Nel corso del tempo si è potuto anche verificare che l’attuazione dell’art. 9 procede con grande rilento e questo perché i dati della black list vengono gestiti ed inseriti manualmente in un grande sistema computerizzato collocato a Napoli: come anche accade per le richieste di rilascio del passaporto, l’inserimento dei dati nel cervellone avviene dopo verifiche che debbono essere eseguite nei singoli tribunali e quindi con grande lentezza. Questa è la ragione per cui soggetti che – teoricamente – non avrebbero potuto avere titoli di accesso (anche se avevano già scontato la loro diffida ma ad esempio perché condannati in primo grado per reati da stadio) tuttora riescono a comprare i biglietti. Attenzione tuttavia: pian piano il sistema sta entrando in funzione.

c)     Quali strategie adottare? La risposta dipende dal comportamento del tuo avversario, avuto riguardo – sempre – all’obiettivo finale di entrambi. Ed allora nel corso di tre anni si deve ammettere che il Ministro Maroni è riuscito, con la complicità della Lega Serie A, B e Lega Pro a varare un sistema del tutto illiberale ed indegno di un Paese democratico e civile basato su un protocollo che di fatto impedisce a chi non ha la tessera del tifoso di entrare in qualsiasi settore. Là dove i tifosi abbiano – del tutto legittimamente – tentato comunque di entrare dotati di biglietto, hanno avuto alterne fortune, in alcuni casi assistendo alla partita, in altri venendo deportati o comunque impediti persino a circolare nella città ospitante. Nei casi peggiori, venendo provocati, diffidati e denunciati, se non arrestati.

Questa circostanza, parallelamente, ha portato al calo di presenze negli stadi, perché nella maggior parte dei casi i settori ospiti sono rimasti deserti e ciò ha consentito di dimostrare per tabulas che la farsa del progetto “famiglie allo stadio” era ed è una grandissima buffonata. Parallelamente, le tifoserie dotate di tessera che sono andate in trasferta (vedi Hellas Verona, Nocerina, Inter, Milan e Juventus) sono state le uniche protagoniste di episodi di violenza fuori (e in qualche caso dentro) gli stadi, a dimostrare che la tessera del tifoso non serve assolutamente a nulla.

Tornando quindi alle prospettive di modifica dell’art. 9, dobbiamo mettere in conto – ed è l’ipotesi più realistica – che nonostante le parole favorevoli dell’Osservatorio, sottobanco il Governo non abbia alcuna volontà di modificare l’art. 9, perché sa perfettamente che con tale modifica le tifoserie si farebbero la tessera del tifoso, ergo tornerebbero in trasferta e, fisiologicamente, la violenza negli stadi non potrebbe che aumentare. E quindi, in futuro, dovrebbero tornare alla politica della limitazione, anche per i tesserati del tifoso, cosa che dimostrerebbe il fallimento totale della tessera, ora propinata al popolo italiano come panacea per la violenza negli stadi, diminuita unicamente per la diserzione volontaria dalle trasferte della maggior parte delle tifoserie. Se, quindi, il governo attuale non ha alcuna intenzione reale di operare modifiche – e gli sono stati dati tutti gli strumenti giuridici per farlo – è evidente che la battaglia contro l’art. 9 non può che continuare nelle aule giudiziarie, ed è quindi necessario segnalare gli inserimenti nella black list in modo che si possa prendere il caso-simbolo che, portato dinanzi a un giudice, comporti la modifica futura dell’articolo 9 per via giudiziaria in tempi più rapidi, visto che il TAR Lazio ancora non fissa l’udienza relativa al ricorso fatto tre anni fa contro il decreto ministeriale che pose in opera l’art. 9.

Resta a questo punto il nodo cruciale: chi spinge per il carnet, o chi sottoscrive il carnet (che si può ottenere senza tessera del tifoso pur avendone tutti i requisiti) è patetico o masochista, come paventato nel primo dei due articoli citati?

Oppure è giunto il momento di sottoscrivere la tessera del tifoso, visto che è identica al carnet e – ahimé – anche al singolo biglietto, per via di quel vecchio discorso del “non si chiede il permesso per entrare allo stadio” che se attuato pienamente e senza passi indietro dovrebbe portare ciascuno di noi a non entrare più in uno stadio?


La scelta è ovviamente individuale, e non va dimenticato il fine ultimo che ci si è originariamente prefissi, vale a dire quello di non farsi eliminare.


Non va però dimenticato che il carnet è stata “autorizzato” dall’Osservatorio obtorto collo solo perché l’A.S. Roma, seguita da qualche altra società, ha deciso sul finire della stagione 2011/12 e nella piena legalità, di non privarsi di una fetta di tifosi contrari alla tessera del tifoso.

E quando la Roma lo ha varato, per la stagione 2012/13, per tutte le partite, l’Osservatorio ha cercato di limitarne la funzionalità a dieci competizioni con la determinazione del 30 maggio 2012, a dimostrazione del fatto che la dipartita di Maroni non ha comportato sostanziali passi indietro e che ogni fetta di libertà va guadagnata metro per metro.

Ma la Roma non è tornata indietro, e nonostante quanto detto dall’Osservatorio, allo stato c’è un carnet che vale 19 partite e l’ostinazione della Roma merita di essere premiata.


Al di là della premialità, qual è la ragione del farsi il carnet?

Beh, potremmo dire che qui a Roma aspettiamo che il Prefetto di Roma – a fronte di migliaia di possessori del carnet senza tessera del tifoso – vieti una partita ai non possessori della tessera del tifoso per “ragioni di sicurezza”: visto che il carnet soddisfa esattamente gli stessi requisiti di sicurezza della tessera del tifoso, sarebbe abbastanza facile ricorrere al T.A.R. per scardinare, da un’altra porta ancora, il sistema basato sull’ingiusto articolo 9 della Legge Amato, oltre a creare una evidente situazione di impopolarità per chi dovesse prendere una decisione del genere, che sarebbe del tutto immotivata, al pari di quella di limitare il carnet a sole dieci partite.


La scelta, quindi, ha una sua ragione strategica, chiara e precisa e i tempi non sono ancora maturi per altre decisioni: fermo restando che, come correttamente osservato con i due articoli tratti da Sportpeople, nel momento in cui i due contendenti si troveranno nella stessa situazione in cui, nel gioco degli scacchi, ci si trova in stallo, vale a dire che si ripetono sempre gli stessi movimenti senza che chi attacca possa vincere, bisognerà decidere di cambiare definitivamente strategia, perché nel nostro caso, nella situazione di stallo vincono gli altri, visto l’obiettivo che si sono prefissati. Con l’X si perde, nel nostro caso.

 


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