Colgo l’occasione
che mi fornisce l’articolo “Il buono, il brutto
e il Voucher” tratto da Sportpeople per fornire
alcuni chiarimenti sulla nota questione della tessera del
tifoso, chiarimenti peraltro già forniti in seno
all’altro articolo citato “Crescere, evolversi
e poi? Morire?” della stessa testata, facilmente
reperibile su internet.
Per i più pigri, in poche parole si dice che nel
corso del tempo i sistemi di controllo della questura si
sono evoluti e quindi è necessario essere meno
ipocriti, visto che la sottoscrizione del voucher è
analoga alla sottoscrizione di una tessera del tifoso, ma
suggerisco di leggerli entrambi perché ben scritti
e contestualizzati.
B Bene, operata
questa premessa, già in data 10 e 16 aprile 2011, e
lo si può controllare sugli aggiornamenti del mio
sito, avevo evidenziato una circostanza fondamentale a
livello ideologico: l’introduzione del sistema “Questura
on line”, avvenuto nel febbraio 2011, di fatto faceva
sì che qualsiasi persona acquistasse un biglietto
di ingresso per lo stadio venisse automaticamente
controllato dalla questura che dava l’OK o il KO al
rivenditore di biglietti in tempo reale, in base all’art.
9 della legge Amato.
Se, quindi, uno dei punti cardine della battaglia contro
la tessera del tifoso, era il concetto del “non si chiede
il permesso alla questura per entrare in uno stadio”,
già dal febbraio 2011 chi ha acquistato un solo
biglietto lo ha fatto e quindi l’unica scelta praticabile
se ancora si segue questo concetto è quella del non
andare più allo stadio.
Ora, al di là del dato tecnico che rende
esattamente identico il concetto del fare la tessera del
tifoso/il voucher/il biglietto, è forse opportuno
ricordare come si evoluta la vicenda da un punto di vista
storico, ma con qualche premessa:
a)
una
guerra ha degli obiettivi, da parte di entrambi i
contendenti;
b)
una
guerra è fatta di battaglie;
c) una guerra deve avere
necessariamente delle strategie, che debbono avere come
riferimento lo scopo finale e che possono essere
modificate a seguito degli eventi.
Ciò detto,
la "guerra" contro la tessera del tifoso nasce non appena
ci si rende conto che con la sua introduzione il Ministero
dell’Interno avrebbe potuto dare piena attuazione al
famigerato articolo 9 della Legge Amato, che vieta la
vendita di qualsiasi titolo di accesso a chiunque abbia
avuto un daspo, anche in passato, e a chiunque sia stato
condannato per reati da stadio, anche solo in primo grado,
in ogni epoca.
Una sorta di
diffida a vita, quindi, che avrebbe potuto portare alla
decimazione del tifo organizzato.
La lotta contro la tessera, quindi, era principalmente una
lotta contro l’art. 9, ed il documento che venne emesso
nel settembre del 2009, se non ricordo male, dai gruppi
che si riunirono a Roma, evidenziava in principal modo
questo aspetto, anche se soprattutto per ragioni di
comprensione, la protesta si sviluppò al grido di
“No alla tessera del tifoso”, più comprensibile per
l’opinione pubblica del “No all’art. 9”, tant’è che
grazie a questo slogan i media si sono interessati al
problema, consentendo di informare correttamente
l’opinione pubblica, con conseguente rovesciamento dei
sondaggi di gradimento.
Altri aspetti, non secondari ma meno vitali, erano quelli
del legame della maggior parte delle tessere del tifoso a
circuiti bancari, cosa che ne svelava la vera funzione
commerciale, e la violazione della legge sulla privacy,
violazione funzionale a far sottoscrivere contratti
bancari senza informare il tifoso, che veniva messo con la
corda al collo da parte del Ministero dell’Interno e delle
varie Leghe calcio con il ricatto “se non ti tesseri non
fai l’abbonamento e non vai in trasferta”.
All’epoca vi era
però un modo alternativo di entrare allo stadio,
per lo più in casa e, con qualche escamotage,
anche in trasferta: acquistando il singolo biglietto,
perché ancora non era stato introdotto il sistema
“Questura on line” sulla sua emissione, ma tale controllo
veniva svolto solo per chi si faceva la tessera del
tifoso.
Vi era quindi la possibilità di “non chiedere il
permesso” alla questura per poter entrare e ciò ha
determinato la spaccatura tra quelle tifoserie che, da
subito e per ragioni diverse che tutti conosciamo, hanno
deciso di sottoscrivere la tessera del tifoso e quelle
che, invece, hanno deciso di contrastare in tutti i modi
l’odioso diktat
di Maroni & soci trovando soluzioni alternative.
Detto questo, dobbiamo fare un passo indietro, e tornare
ai tre punti prima toccati:
a)
qual
è l’obiettivo dei gruppi organizzati? E qual era
l’obiettivo del Ministro Maroni e – in senso più
ampio – del Ministero degli Interni?
Risposta semplice: per i primi, rimanere
all’interno degli stadi per sostenere le proprie squadre
senza eccessivi vincoli che potessero snaturare la loro
stessa essenza; per i secondi, basta leggere le note di
indirizzo del Ministro Maroni dell’epoca che puntavano
espressamente alla “disarticolazione” e alla “distruzione”
dei gruppi organizzati.
L’obiettivo della guerra, quindi, era per i primi
quello di non farsi eliminare dagli stadi, per i secondi
quello di eliminarli. Come in ogni classica guerra, del
resto: mors tua,
vita mea.
b)
Quali
battaglie sono state condotte? La risposta è troppo
lunga e persino inutile. Nell’impossibilità di
avere una linea comune, per differenze di
mentalità, di categoria, di ambiente, ognuno ha
combattuto la propria: tutti con striscioni e
dimostrazioni di varia natura, meno con azioni concrete
andate bene o andate male a seconda delle piazze e delle
questure. La valutazione di questo non spetta certo al
sottoscritto, che cerca di tratteggiare un quadro di
insieme che possa consentire di capire il perché di
alcune scelte ed anche quali scelte fare in futuro.
Più giuridicamente parlando, due battaglie sono
state vinte, sul fronte della privacy e per l’aspetto del
legame commerciale tra tessera del tifoso e carta di
credito. La terza battaglia, che comporterebbe la vittoria
della guerra, è invece ancora in corso ed è
quella contro l’art. 9. Una battaglia di questo tipo la si
può vincere in due modi diversi: diplomaticamente o
in un’aula di Tribunale. Lo stesso Osservatorio, in due
comunicati, ha evidenziato come l’art. 9 sia ingiusto e
vada modificato. La modifica dell’art. 9 spetta al governo
e l’unico governo che potrebbe modificarlo potrebbe essere
quello tecnico attualmente in carica, ora che Maroni
è tornato alla sorgente del Po.
Nel
corso del tempo si è potuto anche verificare che
l’attuazione dell’art. 9 procede con grande rilento e
questo perché i dati della black list
vengono gestiti ed inseriti manualmente in un grande
sistema computerizzato collocato a Napoli: come anche
accade per le richieste di rilascio del passaporto,
l’inserimento dei dati nel cervellone avviene dopo
verifiche che debbono essere eseguite nei singoli
tribunali e quindi con grande lentezza. Questa è la
ragione per cui soggetti che – teoricamente – non
avrebbero potuto avere titoli di accesso (anche se avevano
già scontato la loro diffida ma ad esempio
perché condannati in primo grado per reati da
stadio) tuttora riescono a comprare i biglietti.
Attenzione tuttavia: pian piano il sistema sta entrando in
funzione.
c)
Quali
strategie adottare? La risposta dipende dal comportamento
del tuo avversario, avuto riguardo – sempre –
all’obiettivo finale di entrambi. Ed allora nel corso di
tre anni si deve ammettere che il Ministro Maroni è
riuscito, con la complicità della Lega Serie A, B e
Lega Pro a varare un sistema del tutto illiberale ed
indegno di un Paese democratico e civile basato su un
protocollo che di fatto impedisce a chi non ha la tessera
del tifoso di entrare in qualsiasi settore. Là dove
i tifosi abbiano – del tutto legittimamente – tentato
comunque di entrare dotati di biglietto, hanno avuto
alterne fortune, in alcuni casi assistendo alla partita,
in altri venendo deportati o comunque impediti persino a
circolare nella città ospitante. Nei casi peggiori,
venendo provocati, diffidati e denunciati, se non
arrestati.
Questa circostanza, parallelamente, ha portato al
calo di presenze negli stadi, perché nella maggior
parte dei casi i settori ospiti sono rimasti deserti e
ciò ha consentito di dimostrare per tabulas che
la farsa del progetto “famiglie allo stadio” era ed
è una grandissima buffonata. Parallelamente, le
tifoserie dotate di tessera che sono andate in trasferta
(vedi Hellas Verona, Nocerina, Inter, Milan e Juventus)
sono state le uniche protagoniste di episodi di violenza
fuori (e in qualche caso dentro) gli stadi, a dimostrare
che la tessera del tifoso non serve assolutamente a nulla.
Tornando quindi
alle prospettive di modifica dell’art. 9, dobbiamo mettere
in conto – ed è l’ipotesi più realistica –
che nonostante le parole favorevoli dell’Osservatorio,
sottobanco il Governo non abbia alcuna volontà di
modificare l’art. 9, perché sa perfettamente che
con tale modifica le tifoserie si farebbero la tessera del
tifoso, ergo tornerebbero in trasferta e,
fisiologicamente, la violenza negli stadi non potrebbe che
aumentare. E quindi, in futuro, dovrebbero tornare alla
politica della limitazione, anche per i tesserati del
tifoso, cosa che dimostrerebbe il fallimento totale della
tessera, ora propinata al popolo italiano come panacea per
la violenza negli stadi, diminuita unicamente per la
diserzione volontaria dalle trasferte della maggior parte
delle tifoserie. Se, quindi, il governo attuale non ha
alcuna intenzione reale di operare modifiche – e gli sono
stati dati tutti gli strumenti giuridici per farlo –
è evidente che la battaglia contro l’art. 9 non
può che continuare nelle aule giudiziarie, ed
è quindi necessario segnalare gli inserimenti nella
black list in
modo che si possa prendere il caso-simbolo che, portato
dinanzi a un giudice, comporti la modifica futura
dell’articolo 9 per via giudiziaria in tempi più
rapidi, visto che il TAR Lazio ancora non fissa l’udienza
relativa al ricorso fatto tre anni fa contro il decreto
ministeriale che pose in opera l’art. 9.
Resta a questo
punto il nodo cruciale: chi spinge per il carnet, o chi
sottoscrive il carnet
(che si può ottenere senza tessera del tifoso pur
avendone tutti i requisiti) è patetico o
masochista, come paventato nel primo dei due articoli
citati?
Oppure è
giunto il momento di sottoscrivere la tessera del tifoso,
visto che è identica al carnet e –
ahimé – anche al singolo biglietto, per via di quel
vecchio discorso del “non si chiede il permesso per
entrare allo stadio” che se attuato pienamente e senza
passi indietro dovrebbe portare ciascuno di noi a non
entrare più in uno stadio?
La scelta è ovviamente individuale, e non va
dimenticato il fine ultimo che ci si è
originariamente prefissi, vale a dire quello di non farsi
eliminare.
Non va però dimenticato che il carnet è
stata “autorizzato” dall’Osservatorio obtorto collo solo
perché l’A.S. Roma, seguita da qualche altra
società, ha deciso sul finire della stagione
2011/12 e nella piena legalità, di non privarsi di
una fetta di tifosi contrari alla tessera del tifoso.
E quando la Roma lo
ha varato, per la stagione 2012/13, per tutte le partite,
l’Osservatorio ha cercato di limitarne la
funzionalità a dieci competizioni con la
determinazione del 30 maggio 2012, a dimostrazione del
fatto che la dipartita di Maroni non ha comportato
sostanziali passi indietro e che ogni fetta di
libertà va guadagnata metro per metro.
Ma la Roma non
è tornata indietro, e nonostante quanto detto
dall’Osservatorio, allo stato c’è un carnet che vale
19 partite e l’ostinazione della Roma merita di essere
premiata.
Al di là della premialità, qual è la
ragione del farsi il carnet?
Beh, potremmo dire
che qui a Roma aspettiamo che il Prefetto di Roma – a
fronte di migliaia di possessori del carnet senza
tessera del tifoso – vieti una partita ai non possessori
della tessera del tifoso per “ragioni di sicurezza”: visto
che il carnet
soddisfa esattamente gli stessi requisiti di sicurezza
della tessera del tifoso, sarebbe abbastanza facile
ricorrere al T.A.R. per scardinare, da un’altra porta
ancora, il sistema basato sull’ingiusto articolo 9 della
Legge Amato, oltre a creare una evidente situazione di
impopolarità per chi dovesse prendere una decisione
del genere, che sarebbe del tutto immotivata, al pari di
quella di limitare il carnet a sole
dieci partite.