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(sospesa all'inizio del 2° tempo sullo 0-0) Stadio Olimpico 21 marzo 2004 ore 20.30 invia una e-mail per i resoconti |
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I primi scontri già alle 18,30. Poi all’uscita dall’Olimpico è stato il caos: decine di feriti
Guerriglia, guerriglia
pura e urbana. Innescata da un morto inesistente, la cui notizia - secondo
alcuni investigatori - sarebbe stata diffusa pretestuosamente, e solo un
miracolo ha impedito che il morto non ci sia stato realmente. Una notte
di follia con epicentro intorno alle 23 quando, circa un’ora dopo l’ufficializzazione
della sospensione del derby i tifosi sono usciti dallo stadio. Il bilancio
finale è di decine di feriti, nove arrestati e undici denunciati.
Mentre quattordici sono i tifosi medicati per ferite lievi.
Gli scontri, le
cariche e un inferno di fumogeni e gas Cs è iniziato fuori della
curva Sud e, quasi contemporaneamente all’esterno di quella Nord. Chi ha
potuto e voluto, sentendo odore di scontri ha cercato di allontanarsi in
fretta e furia, altri invece hanno dato vita alla guerriglia che è
esplosa intorno alle 23 in piazza Lauro De Bosis, davanti all'obelisco
sul Lungotevere Maresciallo Cadorna all'angolo con ponte Duca d'Aosta.
I tifosi hanno creato
con delle transenne e con cassonetti un blocco, e hanno ripetutamente lanciato
nei confronti delle forze dell'ordine bottiglie e asse di bastoni. Poco
distante altri scontri in piazza Todi dove sono confluiti i tifosi provenienti
dalla curva Nord, quella laziale. Due guerriglie parallele per un totale
di venti minuti di follia pura, di violenza, di scontri, con gli ultras
che lanciavano sassi, pedardi e brandivano bastoni e le forze dell’ordine
che rispondevano caricando e sparando fumogeni.
Intorno uno scenario
surreale, con automobili distrutte, piccoli focolai di incendi dovunque,
una ventina di scooter e motorini in terra. E naturalmente un assortito
catalogo di feriti e contusi. Si parla di alcune decine. Solo tra le forze
dell’ordine due tenenti dei carabinieri sono stati trasportati in ospedale,
uno ferito da una coltellata a una gamba, il secondo da una sorta di punteruolo
ad un braccio, mentre un finanziere è stato colpito da un carrello
ad un braccio ed ha riportato una frattura.
Un bilancio inevitabilmente
provvisorio e incompleto per difetto, visto che solo oggi si potrà
stilare il bollettino di guerra esatto. Perché di questo si tratta.
Per non parlare dei danni ai mezzi e alle strutture. Milioni di euro. Naturalmente
fioccate anche decine di fermi, di denunce e anche qualche arresto, come
quello di un tifoso laziale di 34 anni G.T. sorpreso a brandire una cinghia
poco prima dell’inizio della partita e, poi, dalla perquisizione è
spuntato da una tasca un coltello a serramanico.
Per gli altri arrestati
e denunciati i reati contestati vanno da resistenza e oltraggio a pubblico
ufficiale fino alla detenzione di armi da taglio. Il clou intorno alle
23. Ma gli scontri sono iniziati a partire dalle 18 quando fuori dalla
curva Sud alcuni tifosi romanisti, dall’interno dello stadio, hanno cercato
di forzare i cancelli d’ingresso per far entrare gli altri che erano privi
di biglietto. Una serie di cariche con lancio di fumogeni e i ripetuti
tentativi sono stati neutralizzati.
A quel punto alcuni
di loro hanno tentato di scavalcare i cancelli, ma anche lì sono
stati bloccati. Una sequenza di scontri impressionante, ma prontamente
repressi, che si è protratta fino a pochi minuti del fischio d’inizio
del derby. Qui si è registrato il primo ferito, da una coltellata
alla gamba: soccorso al San Giacomo, guarirà in 7 giorni.
Quindi, durante
il riposo tra le due frazioni, altri tafferugli sotto la curva Sud dove
è stato dato alle fiamme il gabbiotto prefabbricato di vigilanza.
Una guerriglia lunga un derby, una giornata da dimenticare. «E’ stata
distrutta una splendida giornata di sport». Una frase quella di un
tifoso, che racchiude al meglio quanto successo in questa nottata di follia.
Allarme rosso, come
per una catastrofe. Alle sei del pomeriggio, dopo i primi scontri, è
scattato il piano di sicurezza sanitaria per far fronte a eventuali ondate
di feriti e purtroppo nei pronto soccorso sono state medicate decine e
decine di persone, tra tifosi e forze dell’ordine. Nella centrale del 118
ieri erano pronti a qualsiasi evenienza. «Un derby come quello tra
le due squadre capitoline è sempre un evento delicato - spiega Pietro
Pugliese, direttore della sala operativa - e quindi era stato allertato
il personale». Nei pressi dello stadio Olimpico fin dal primo pomeriggio
c’erano quattro ambulanze parcheggiate nei punti strategici. All’interno
dello stadio il sistema di sicurezza sanitaria viene svolta da un’altra
organizzazione pagata dal Coni e dalle società sportive e dimensionato,
per legge, a secondo nel numero degli spettatori. Dopo i primi scontri
si è aggiunto un centro mobile per la rianimazione e un’automedica,
cioè un’ambulanza con il medico a bordo. Poco prima dell’inizio
della partita, quando c’erano notizie di ulteriori scontri, sono stati
allertati i pronto soccorso dell’ospedale San Giacomo e il dipartimento
di emergenza del Santo Spirito, i più vicini allo stadio. Il pre
allarme invece è stato diramato (a raggiera rispetto alla distanza
allo stadio) al policlinico Gemelli, agli ospedali San Camillo e San Filippo
Neri.
Al San Giacomo ieri
sera sono stati portati decine di feriti, qualche tifoso ma soprattutto
tanti carabinieri, agenti della polizia e della Finanza. Stessa situazione
negli altri nosocomi. «Il centralino del 118 è come impazzito
eppure era domenica - spiega Pugliese -. Gli operatori hanno lavorato fino
a tarda ora come di giorno quando c’è il picco massimo delle chiamate
che ogni 24 ore sono circa 2.500 con l’invio di circa 700 soccorsi. Abbiamo
registrato tante chiamate ma soprattutto le telefonate di moltissime persone
che chiedevano consigli su come curarsi dagli effetti urticanti dei lacrimogeni
o per lenire il dolore delle contusioni». E così i tifosi
feriti hanno evitato le cure ufficiali in un ospedale: niente referto,
nessun rischio di eventuali conseguenze giudiziarie. Il bilancio ufficiale
di una notte di ordinaria follia sarà quindi molto ridotto rispetto
alla realtà.
Alle undici di ieri
sera, al culmine degli scontri erano in servizio una quarantina di ambulanze
e appena gli infermieri scaricavano un ferito, ripartivano subito per un
altro soccorso. «Abbiamo inviato i mezzi adeguati e proporzionati
all’evento - afferma a notte fonda Pietro Pugliese -. Avevamo messo in
conto che potevano scoppiare degli incidenti e purtroppo è stato
così. Il sistema ha funzionato, almeno per ora non sono state evidenziate
delle crepe».
Ma come funziona
il sistema di emergenza in caso di calamità? Al 118 hanno un piano
di emergenza per ogni eventualità, dal terremoto all’attacco terroristico,
ai disordini negli stadi. «Quando un evento accade all’improvviso
- spiega Pugliese -, viene inviato un “mezzo esplorante” che spiega alla
centrale cosa vede e quali sono le esigenze. Da quel momento si mette in
moto tutto il sistema fino all’allarme diramato degli ospedali».
le forze dell’ordine
caricano, si sentono i botti dei lacrimogeni e le bombe carta di risposta,
soprattutto le sirene che vanno e vengono impazzite, le ambulanze, i carri
dei pompieri. Affacciarsi da sopra, dall’alto della tribuna Monte Mario,
è come assistere a uno scenario da Blade Runner. Ci sono squadriglie
di tifosi mascherati che attendono lo scontro. Fermi. Pronti. Concentrati.
La polizia è in assetto da guerra e sta dall’altra parte del viale,
come nei film western, solo che siamo a Roma. Sassaiole. Lanci di bottiglie.
Razzi sparati ad altezza uomo. Ma sta succedendo cosa?
E dentro semmai
è peggio, il fumo nero sale sempre più denso, in curva Sud
non si può più stare perchè non si riesce a respirare
e la gente scende di corsa, all’impazzata, si butta giù scavalcando
le transenne di vetro e poi il fossato, cercando la salvezza in campo mentre
i giocatori tornano di corsa negli spogliatoi, sconvolti. Scene di disperazione
come all’Heysel, una marea umana che viene giù. Gente che cade e
si rialza. Geniale l’idea di aprire persino il passaggio degli spogliatoi.
Ci sono anche gli uomini della Digos che corrono e mentre corrono si mettono
le maschere antigas. Vanno avanti verso il fuoco e spariscono dentro il
fumo.
Ma chi cerca di
uscire non ce la fa, fuori è peggio, persino peggio. Si rischia
di finire in mezzo alla guerriglia e allora si ritorna su, scale fatte
quattro a quattro senza capire e senza riflettere, nel panico più
assoluto, nell’angoscia della disperazione che prende sempre in queste
occasioni. Ecco. Papà che corrono con i bambini in braccio, disperati.
Mamme stravolte. Anziani. Gente che pensava di assistere giusto a un derby,
a ventidue persone in mutande che corrono dietro a un pallone. La gente
torna su e si trova a metà strada tra feriti, contusi, svenuti;
altri che chiedono aiuto. Ci sono poliziotti sanguinanti stesi sulla pista
in tartan dell’Olimpico. Arrivano ambulanze in campo, due, tre, dieci.
E dal fumo non si vede più nulla. Barelle. Flebo. Un polizotto addirittura
intubato. Ossigeno per chi fa fatica a respirare.
Arrivano gli appelli
via altoparlante. Prima i due presidenti che cominciano il discorso con
un incredibile: «Buonasera». Poi i capitani, prima Mihajlovic
e poi Totti: «State tranquilli, non è successo nulla, è
tutto sotto controllo. Appena potete andate a casa. State sereni».
Sereni? E come? Le linee dei telefonini sono in tilt, non si riesce a chiamare
casa, in tribuna c’è gente disperata che ti chiede di fare una telefonata
dalla tua linea fissa, gli leggi il panico negli occhi, «solo un
attimo, la prego, devo dire a mia moglie che sto bene». I riflettori
dello stadio restano accesi ma le luci diventano sempre più spettrali
e in mezzo ci sono le divise blu dei carabinieri, quelle verdi della polizia,
quelle rosse degli infermieri, quelle gialle dei pompieri.
Alle undici, fuori
brucia ancora tutto. Tanto. Immagini ancora choc. Molti sono scappati,
ma migliaia di persone sono ancora dentro lo stadio, di uscire non se ne
parla, dentro almeno sono al sicuro. Adesso non prendono più nemmeno
i telefoni fissi e il panico è generale. La Monte Mario è
ancora mezza piena, fuori altri colpi, altri botti, la sfida finale è
davanti all’obelisco, davanti al palazzo del Coni, al Foro Italico. Ma
ora ci sono più carabinieri e poliziotti che tifosi. Gli idranti
spazzano. Ma le sirene stanno a testimoniare che dopo un’ora di guerra,
la guerra ancora non è finita.
Il tempo è
sbriciolato, ma non passa. Vetri rotti dappertutto, persino quelli delle
ambulanze. E quando il fumo finalmente si alza, restano a lampeggiare i
fari blu della polizia. Ancora non ci si può credere. Ancora non
sappiamo tutto. I televisori a circuito chiuso trasmettono immagini assurde.
I feriti vengono portati via da ambulanze ammaccate. Tutto in una notte.
E quando è davvero notte torna finalmente la calma. Solo rovine
fumanti a ricordare quello che è accaduto.
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Postumi di un'incredibile Lazio-Roma, digos e tifo si accusano delle violenze.
Arrestati all'alba di ieri i tre
tifosi che erano entrati in campo per convincere Totti a non giocare, si
aggiungono ai quindici arrestati
durante gli incidenti. Episodio di follia collettiva o piano preordinato
nelle curve? Le accuse formali si
riducono ma resta il giallo.
Il derby della follia è continuato anche di lunedì ma con
altre squadre. Invece di Lazio e Roma sono scese in campo la questura e
la
Digos della capitale: devono vedersela con gli ultrà delle due curve,
sospettati addirittura di un complotto che ha fatto saltare la
partita di domenica sera. Secondo il prefetto Serra e il questore Cavaliere,
entrambi all'Olimpico, laziali e romanisti si sarebbero
accordati per diffondere la falsa notizia del ragazzino ucciso dalla polizia.
Ma proprio le forze dell'ordine sono accusate di aver
provocato il caos: sulle radio private romane i tifosi, soprattutto romanisti,
raccontano delle cariche prima della partita e nel primo
tempo sotto la curva sud, dei blindati della guardia di finanza lanciati
in mezzo alla gente nel piazzale tra la curva e la tribuna
Tevere, dei lacrimogeni sparati ad altezza d'uomo o a casaccio sugli spalti,
delle manganellate a donne e anziani... E' successo
anche sotto gli occhi di chi scrive: sul lungotevere, quando ormai era
tutto finito, un celerino ha sfondato i vetri di una macchina per
reagire a un insulto, gli occupanti dell'auto sono stati malmenati (compresa
una ragazza) e con loro un operatore tv. E allora si
capisce che allo stadio Olimpico l'abbiamo scampata bella, che il morto
poteva scapparci per davvero, altro che psicologia delle folle.
Anche perché la polizia, oltre a lamentare 153 feriti refertati
(soprattutto contusi ma anche qualche frattura e ferite da taglio), ha
le
sue buone ragioni nel denunciare le aggressioni, le coltellate e le bombe
carta imbottite di bulloni e lanciate sui reparti. E se è vero
che il deflusso è stato assicurato, limitando i danni, la prolungata
chiusura dei cancelli ha scatenato rabbia. La gente si sentiva in
trappola. All'alba di ieri mattina la Digos è andata a prelevare
i tre ultrà giallorossi che in diretta tv, all'inizio del secondo
tempo,
eranp scesi in campo ad avvertire Totti e compagni, invitandoli a non giocare.
A uno di loro è stato contestato, in base alle riprese
televisive acquisite dalla polizia, di aver detto di aver parlato personalmente
con la madre del giovane rimasto ucciso. E a tutti di
aver insistito nonostante le smentite del prefetto, del questore e degli
altoparlanti dello stadio, spingendo Totti a convincere gli
altri calciatori. E le minacce? Erano consapevoli della falsità
della notizia? E i laziali, dall'altra parte, cosa ne sapevano? Le certezze
della prima ora, che quando si tratta di ultrà sono facili, si sbriciolano.
Le accuse infatti sono piuttosto blande, invasione di campo (violazione
della legge sulla violenza negli stadi, articolo 6) e violenza
privata. Non c'è minaccia, non c'è procurato allarme: ipotesi
di reato coerenti con i ragionamenti fatti a caldo da questore e
prefetto. Rischiano di più alcuni dei quindici arrestati durante
gli incidenti. I tre sono stati portati in questura senza avvocato,
formalmente arrestati in flagranza perché per tutta la notte la
Digos aveva lavorato, e ascoltati solo «informalmente». Hanno
tra i
27 e i 34 anni, non sono veri e propri capi ultrà. Stefano Sordini
e Roberto Maria Morelli appartengono agli Asroma ultras, il gruppo
forse più forte numericamente, Stefano Carriero ai Tradizione e
distinzione Roma, il più esplicito nelle simbologie d'estrema destra
fino ai cappellini inneggianti alla brigata nazista Charlemagne. Nessuno
avrebbe precedenti da stadio, Carriero è stato segnalato
per la partecipazione a iniziative di estrema destra, caratteristica assai
diffusa nella curva romanista quanto tra i laziali degli
Irriducibili e della Banda noantri. Non a caso c'era anche questo ragionamento
«politico» dietro l'idea del complotto. E del resto,
negli ultimi anni, ultrà delle due sponde si davano appuntamento
al derby per attaccare insieme la polizia.
Domenica sera non è andata così, se non dopo la sospensione
della partita e comunque in misura marginale, perché ai laziali
della
curva nord è stato impedito per diverse ore di uscire dallo stadio
(come in quasi tutti i settori). Gli scontri però ci sono stati
anche
prima della partita, fin dalle 18 nella zona della curva romanista. E sono
proseguiti all'interno, nel piazzale tra il cancello della curva
e la rampa che porta agli spalti, riprendendo vigore alla fine del primo
tempo. «La partita doveva essere sospesa già allora -
protestano molti tifosi romanisti che erano in sud - anche se non si fosse
diffusa la notizia del morto». Ma quella notizia aveva già
fatto il giro dello stadio, forse davvero perché un bambino aveva
avuto un malore sotto la sud ed era stato portato via. Senz'altro
c'era il clima adatto, specie tra i romanisti. Solo una settimana fa la
Roma aveva dovuto giocare a Villareal a poche ore dalle stragi
sui treni: per l'ennesima volta il calcio non si era fermato di fronte
ai morti, quelli veri.