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(sospesa all'inizio del 2° tempo sullo 0-0) Stadio Olimpico 21 marzo 2004 ore 20.30 invia una e-mail per i resoconti |
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I giorni dopo |
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23.03.2004
L’Olimpico conta i danni: 500 mila euro Il giorno dopo la guerriglia il Coni presenta una denuncia contro ignoti Un silenzio inconsueto al Foro Italico nella notte irreale del derby: l’Olimpico ferito, tracce di fuochi sull’asfalto, fumo, strade diventate un’immensa pattumiera e cosparse d’ogni cosa, giornali, bottiglie, sassi, ricordo della guerra che s’era combattuta lì poco prima. Di buon’ora, prima delle sei di ieri, gli operai dell’Ama erano già al lavoro mentre altri tecnici erano intenti in un sopralluogo per capire quali e quanti erano stati i danni subìti dallo stadio e nelle aree adiacenti. Tanti, come era facile immaginare dopo la follia devastante della notte, di una notte di guerriglia. Il primo non definitivo conto è di almeno 500 mila euro. I ”ricordi“ della follia erano ancora lì: macchie di sangue sull’asfalto in viale dei Gladiatori a due passi dall’ingresso della curva Sud ma non solo perché di sangue ce n’era altro lì intorno. E poi c’era l’odore acre di bruciato, tanti fuochi accesi tra largo Girolamo De Martino e via del Giavellotto per bruciare migliaia di giornali che avevano tappezzato il Foro Italico. L’Olimpico è uscito dal derby a pezzi, devastato un’altra volta: sedili divelti, bagni distrutti, due bar all’interno della curva Sud dati alle fiamme così come sono stati incendiati i due gabbiotti della vigilanza, uno alla Sud, l’altro all’ingresso della Nord. Ieri i vigilantes sono rimasti all’aperto per svolgere il loro lavoro. Stavolta sono stati risparmiati gli uffici ospitati nello stadio perché l’assalto precedente, due anni fa dopo una partita, aveva fatto correre ai ripari sigillando tutti gli ingressi. Una prima ma non definitiva stima fa ammontare ad almeno 500 mila euro i danni dell’Olimpico, ma questa cifra salirà ancora. Ci sono state auto private e delle forze dell’ordine, motorini e un furgone-bar bruciati, atti vandalici in tutta la zona intorno all’Olimpico e in particolare tra piazzale del Foro Italico e lo stadio dei Marmi da un lato e l’obelisco dall’altro. Luigi Cimnaghi, che è il responsabile degli impianti del Coni, l’uomo che cura l’Olimpico quotidianamente, ha spiegato che per la partita di giovedì sera della Roma contro il Villareal l’impianto sarà tornato a nuovo e domani lo stadio riceverà la visita della commissione di vigilanza provinciale per l’agibilità. In attesa di questa visita, ieri la Giunta del Coni che ha dedicato molto tempo al derby sospeso, ha deciso di dare incarico all’avvocato Valori di presentare una denuncia-querela contro ignoti. «Vogliamo tutelarci sia per quanto riguarda i danni materiali - ha osservato il presidente del Coni, Gianni Petrucci, che domenica era all’Olimpico - che per l’immagine». Al Coni sono preoccupati perché adesso che lo stadio (ma non solo) è di sua proprietà (della Coni Servizi, in realtà) vorrebbero sfruttarlo con una gestione non solo legata all’evento sportivo (il calcio) ma con altre iniziative. Ristoranti? Palestre? Un centro commerciale? Cinema? Ma chi vorrà investire in un ambiente a così alto rischio, dove durante ogni partita calda si può essere investiti da una ferocia inaudita? Il viaggio nello stadio in giorno dopo la pazza guerriglia mostra un impianto ferito, attaccato con cattiveria. Ci sono danni che si vedono come la distruzione delle strutture o dei due citati gabbiotti incendiati, ma ci sono altri danni che potrebbero rivelarsi più avanti nel tempo. Parliamo soprattutto della vegetazione e degli splendidi pini. Oggi l’Olimpico sarà out per tutte le auto: anche l’asfalto intorno a curve e tribune è stato devastato e ha bisogno di essere sistemato. Ci sono cinquecento mila euro di danni nello stadio ma molti altri danni sono fuori dall’impianto perché il patrimonio del Foro Italico, già messo da anni a dura prova, non è stato risparmiato. Non è azzardato parlare di una follia che costerà un milione di euro. I mosaici, bellissimi, sono straziati da tempo e ogni volta qualche tessera è utilizzata come un’arma. Anche domenica notte è stato così e con i mosaici anche ogni altra cosa è stata utilizzata per combattere. |
23.03.2004
Quando lo sport diventa una lezione di terrorismo La magìa della coreografia delle Curve cancellata dalla fuga dagli spalti, dai lacrimogeni e dalla paura di
ROMANA PETRI
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25.03.2004
LE CRISI sono utili. Le emergenze rivelano. È una verità che gli analisti sociali tendono a dimenticare o a trascurare perché è una verità scomoda, rimescola le carte, obbliga ad aggiornarsi, a non dormire sui dogmi. La crisi fa male, è dolorosa, ma è anche epifanica, apre, fa vedere quello che c’è dentro, l’interno dei grandi fenomeni sociali. Il calcio è uno di questi fenomeni, ma il calcio di oggi non è più quello di ieri. Il calcio è cambiato come è cambiato il suo pubblico, quindi il suo peso rispetto alla società globale, il suo ruolo, la sua funzione. Gli stessi aficionados , i famosi ultras, sono anch’essi cambiati. Una volta arrivavano allo stadio dall’estrema periferia urbana, venivano descritti e interpretati come i figli del disagio, dell’alienazione proletaria e sottoproletaria. Nulla di tutto questo. L’ultrà di oggi viaggia tranquillo in auto, è vestito di tutto punto, in giacca e cravatta; se porta un giubbotto di pelle nera, è un giubbotto griffato; ha l’eleganza dell’abbigliamento volutamente trasandato. Anche oggi, come ieri, i comportamenti violenti lo rendono visibile, gli regalano l’immagine e il carisma del leader. Ma non è solo questo. La violenza è uno stadio ormai superato. Il pubblico dello stadio non è più quello della domenica, di cui cantava una generazione fa Rita Pavone. L’ultrà non è più colui che non ha trovato nella vita nulla di meglio cui dedicarsi. L’ultrà è diventato un buon borghese. Può timbrare per tutta la settimana, inappuntabile, il cartellino, sedere alla sua scrivania, risolvere le pratiche della sua professione. Si scatena la domenica o nelle partite infrasettimanali. Si considera il padrone del pallone. E, in un senso che va ben al di là delle definizioni formali, lo è. A Roma, domenica sera, in occasione di un derby di grande interesse, atteso da tutti gli sportivi della Roma e della Lazio con eguale trepidazione, l’ultrà è salito in cattedra, ha avuto il suo momento di gloria. Non è più l’emarginato che cerca un riscatto nella partecipazione spuria a un tifo come passione collettiva. Si comporta, e quindi è, si sente un genuino rappresentante. Si guardino con attenzione le fotografie degli ultrà mentre si intrattengono fraternamente è il caso di dire con i capitani delle squadre in lizza. Non c’è emotività in loro. C’è la piena consapevolezza di esercitare un ruolo preciso, una funzione sociale per cui si sentono particolarmente “tagliati”, in grado di portarla a buon fine senza traumi. È stato giustamente osservato che ottantamila persone, quando hanno dovuto decidere se credere alle istituzioni oppure agli ultrà, hanno dato retta a questi ultimi. I rappresentanti legittimi delle istituzioni, questore e prefetto in prima fila, sono stati smentiti e sconfitti dai rappresentanti spuri delle due curve, la romanista e la laziale, per l’occasione convergenti e pronte ad obbedire al nuovo potere. Come mai? È un dato di fatto che i rappresentanti degli ultrà in campo hanno agito e parlato come parlamentari, investiti di un potere che nessuno ha dato loro. È un potere autoconferito, cioè abusivo (errore: i tifosi delle curve sentono molto più loro rappresentante uno della curva che un prefetto qualunque, n.d.L.). Nulla a che vedere con la violenza scalmanata degli emarginati di vent’anni fa. Com’è stato possibile? È probabile che l’amministrazione legittima si sia mossa in ritardo, che sia stata, con falsi scopi, distratta e distolta. Gli ultrà, forse dopo averle provocate con i falsi annunci, hanno fiutato le inadeguatezze dell’istituzione. Hanno visto un vuoto di potere. Con una rapidità di riflessi eccezionale, l’hanno occupato. È suonato un allarme da non sottovalutare. Nella presente inappetenza politica generalizzata, il calcio è una realtà a valenza politica. Si dirà che la cosa è nota da tempo. Nessuno ha dimenticato, proprio a Roma, i rapporti tenuti a suo tempo dall’on. Franco Evangelisti, braccio destro del sen. Giulio Andreotti, con gli sportivi della capitale. Ma le cose sono cambiate. Una volta erano i politici a condizionare il calcio. Oggi è la realtà sportiva, specialmente il calcio, a condizionare i politici. La sua capacità di pressione, non si vuol dire ricatto, è enormemente cresciuta. Per questo è inaccettabile che un pugno di ultrà controlli giocatori e partite, l’uso degli impianti sportivi e un pubblico di enormi proporzioni. La serata romana è venuta a dirci che si sta per toccare il punto di rottura. |
25.03.2004
La Curva sud: «Soltanto grazie a noi al derby non è accaduto l’irreparabile» La calma dopo la tempesta. Sulla carta è questo il clima di stasera all’Olimpico. L’altro giorno, in un ristorante, si sono riuniti numerosi leader dei gruppi organizzati della Curva sud. Hanno concordato un comunicato, diffuso dallo studio legale Contucci-Cacciotti-Matteoli, in cui si spiega: grazie a noi domenica si è evitato che succedessero disgrazie, altro che macchinazione. Sottoscritto da As Roma Ultras, Tradizione Distinzione, Giovinezza, Brigata dei Falchi, Testaccio, Ultras Romani, Ultras Roma, Fedayn, Boys Roma, il comunicato accusa chi ha diretto il servizio d’ordine al derby: «Siamo stati vittime di un ingiustificato clima di tensione creato ben prima dell’inizio della partita, con una gestione dell’ordine pubblico sconcertante. L’angosciante e sconvolgente notizia, fortunatamente errata, della morte di un bambino investito da una Volante, ha trovato terreno fertile nel clima che si era creato fra forze dell’ordine e tifosi, e non ha avuto immediatamente smentite dai mass media che si stavano occupando dell’evento». La Curva sud aggiunge che le smentite diffuse dall’altoparlante «non apparivano veritiere» e il clima era ormai compromesso e denso di esasperazione. Si rischiavano «episodi ben più gravi di quelli accaduti». «I fans romanisti, avvertita l’estrema pericolosità della situazione, sono intervenuti per evitare l’irreparabile». Premeditazione? No, insistono. «Invece nell’antistadio tutto si è fatto fuorchè attenuare tensione e panico». E i leader dei gruppi organizzati, è la tesi del comunicato, puntavano solo a garantire «ordine e incolumità dei tifosi». «Auspichiamo che questa campagna diffamatoria finisca, così come i processi sommari. Non c'è stata e mai ci sarà l'intenzione, con la tifoseria laziale, di attaccare o provocare le reazioni mai sotto controllo delle forze dell'ordine». Questa la verità della Curva sud. Per la gara di oggi contro il Villarreal è plausibile che si scelga la linea della prudenza. E da Tradizione Distinzione, il leader Antonio Maria Schiavo, spiega: «Abbiamo deciso di non esporre il nostro striscione fino a quando non saranno liberati quei tre ragazzi. Ne verrà esposto un altro, per loro, in cui sarà spiegato che sono stati portatori del sentimento degli ottantamila dell’Olimpico». |
Poi si chiedono perché nessuno gli crede, n.d.L. Derby sospeso: il mistero dei cancelli Le forze dell’ordine: il servizio interno dei club è scappato lasciando bloccate le uscite Migliaia di tifosi prigionieri all’Olimpico. Domenica scorsa le persone che volevano uscire dallo stadio hanno trovato molti cancelli chiusi. E queso episodio sarà oggetto di indagine da parte della magistratura che indaga sugli scontri del derby. Il dirigente del commissariato Prati, Giuliano Giudici, responsabile della sicurezza ha parlato di «dramma sfiorato». Spiega, «Domenica la gente voleva uscire», ha detto giudici, «ma le persone hanno trovato molti cancelli chiusi non solo alla Curva Sud, ma anche alla Curva Nord e alla Tribuna Tevere, quando ho dato l’ordine di aprire però non c’era nessuno. Gli addetti alle porte erano andati via per paura degli scontri che si erano scatenati fuori allo stadio. Abbiamo fatto defluire la folla dalla Montemario e dalla Tevere. E ai cancelli chiusi abbiamo fatto saltare i catenacci. Questo è inammissibile, ci vorrebbero i pulsanti elettrici, così chi vuole uscire può aprire il cancello senza problemi». I responsabili delle aperture delle porte di domenica scorsa erano stati scelti dalla società della Lazio che ospitava la Roma. «Hanno avuto paura e sono scappati», dice un inserviente dello stadio, «d’altra parte guadagnano solo 20 euro a partita, e nessuno è dispoto a rischiare la vita». Stanno da ore davanti al carcere di Regina Coeli ad aspettare. Sono gli amici, i fratelli, le fidanzate di Stefano Sordini, Stefano Carriero, e Roberto Maria Morelli. Hanno saputo che il gip Giorgio Maria Rossi non ha convalidato l’arresto dei tre ultras ed esultano. Poco dopo le 17.30 Stefano, Roberto e Stefano escono dal portone del carcere e sono travolti dalla gioia dei loro amici e familiari. Abbracci lunghissimi e baci, poi di corsa verso casa. Qualcuno chiede se andranno all’Olimpico per vedere Roma- Villarreal: anche volendo, non potrebbero. A loro la Questura ha negato l’accesso allo stadio per tre anni. Gli ultras hanno parlato al giudice della buona fede che li ha spinti a riferire al capitano Francesco Totti che un bambino era stato travolto e ucciso da un’auto della polizia. «Credevamo che la notizia era vera, pensavamo che bisognava fare qualcosa perché in curva c’era una situazione che poteva diventare ancora più drammatica». Oggi i sindacati di polizia Consap e Anip, denunceranno lo stato delle misure di sicurezza, e diffideranno il Coni. «Il rilascio dei tre ultrà scesi in campo nel derby Lazio-Roma non sposta di una virgola la questione: chi pensava di poter risolvere tutto con la condanna esemplare di tre tifosi si sbaglia di grosso. Se il giudice ha deciso di non convalidare gli arresti, sicuramente ci saranno buone ragioni tecnico-giuridiche, sulle quali però non si può ritenere esaurito il dibattito». Dice Oronzo Cosi, segretario generale del Siulp. «Non interessa la persecuzione del singolo cittadino, pretendiamo che la giustizia proceda per accertare le responsabilità di quanti (e sono centinaia, non sicuramente tre o quattro) hanno avuto un ruolo nell'organizzare gli scontri con le forze dell'ordine, che hanno causato oltre 150 feriti tra i poliziotti». |
26.03.2004
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Venerdì
26 Marzo 2004
Un po’ di tensione soltanto a inizio partita: E dalla Curva: “Fuori gli ultrà dalle galere” |
Sabato
27 Marzo 2004
identificati altri ultrà dai filmati di PAOLA VUOLO «Volevano la pistola. Mi hanno circondato e pestato per togliermi l’arma». E’ questa la testimonianza di Marco (il nome è di fantasia per tutelarlo), la guardia giurata dell’istituto di vigilanza dell’Urbe aggredito allo stadio dagli ultras. «Ero di servizio alla palazzina H, dove c’è il parcheggio del Coni, quando ho visto un gruppo di tifosi venire verso di me. Il primo tempo del derby era iniziato, e c’erano già stati dei disordini. Ho capito subito che sarebbero stati guai, ma non ho avuto il tempo di pensare a qualcosa, perché mi hanno aggredito. Non ho visto i loro volti, erano coperti con le sciarpe. Con le mani sono andati subito verso l’arma, picchiandomi in gruppo. Poi sono subito scappati». L’aggressione alla guardia giurata non è stata ripresa perché nel punto in cui è avvenuta non ci sono telecamere. Tra i primi a soccorrerlo, i carabinieri agli ordini del maggiore Giovanni Serra. Ieri è stato convalidato il fermo con remissione in libertà per Sergio Fois, l'ultrà romanista arrestato martedì scorso: l'accusa è di aver preso parte agli scontri tra tifosi e polizia dopo la sospensione della partita. Il gip, Giovanni De Donati ha ritenuto che il provvedimento di fermo sia stato legittimo ma, allo stesso tempo, ha valutato che non sussistono gli elementi per il mantenimento della custodia cautelare in carcere. A Fois, comunque, è stato imposto l'obbligo di firma il sabato e la domenica presso un posto di polizia, e l’allontanamento per tre anni dallo stadio. Sergio Fois, detto Sergetto dagli amici del club As Roma Ultras, durante l’interrogatorio nel carcere di Regina Coeli ha respinto le accuse. «Non ho fatto nulla», dice, «a un certo punto, durante il primo tempo, ho saputo che fuori dallo stadio erano scoppiati disordini per colpa di qualcuno che aveva tentato di scavalcare. Mi sono trovato coinvolto in una situazione a cui era impossibile sfuggire, quando sono uscito non ho potuto evitare di trovarmi in mezzo ai disordini, era inevitabile. Ma io non vi ho partecipato, non ho lanciato oggetti contro carabinieri e poliziotti, e non volevo coprirmi il volto per nasconderlo. Lì c’era l’inferno, il fumo dei lacrimogeni non mi faceva respirare e mi sono avvolto la bandiera della squadra intorno alla bocca per non respirare il fumo». Il legale di Sergio Fois, Lorenzo Contucci, annuncia che sta raccogliendo decine di testimonianze e filmati inediti, che ritiene molto interessanti, su come sono andate le cose domenica scorsa all’Olimpico. Gli agenti della Digos, intanto, hanno identificato altri ultras che hanno preso parte ai disordini sotto la Sud. «Nessuno vuole l'ergastolo per chi non fa svolgere una partita, ma punizioni incisive e rapide», commenta il presidente della Federcalcio, Franco Carraro. E aggiunge: «La giustizia italiana è più garantista di quella inglese. Ma bisogna modificare gli impianti». Infine sui legami tra le società e le tifoserie, Carraro dice: «Esistono delle leggi è vietato avere contatti illeciti tra club e tifosi». E sottolinea: «Le tifoserie di Roma e Lazio sono straordinariamente positive e vorrei che non si generalizzasse. La tifoseria a Roma ha delle frange minime estremamente negative, ma in grado di fare un grande danno come è successo domenica». |