Mi
si
chiede da più parti un’opinione sulla questione
"solidarietà",
vale a dire sull’episodio avvenuto ad Ostiense ai laziali e
sulle ripercussioni
nel mondo ultras della Capitale. Premesso
che
nell'episodio in sé non voglio entrare in quanto mi sembra
di
capire che ciò che viene criticato non è il fatto
sicuramente
criminoso accaduto ma il modo distorto con cui i soliti mass
media hanno
cavalcato la notizia. Ne
parlo
malvolentieri e a titolo personale, sapendo di scontentare
gli uni
e gli altri, vale a dire sia quelli dell’ ”antilazialità
assoluta” sia quelli della “solidarietà
globale". Mi
perdonerete
se tento un approccio ragionato più che impulsivo. Il
primo
punto da trattare per ben comprendere quello che può
apparire
uno strano fenomeno è di carattere storico, e può partire
da una domanda: “perché molti
giovani
ultras non sono antilaziali come eravamo noi in passato?”
E "perché anche alcuni ultras
più
anziani sembrano aver perso quell'antilazialità che li
contraddistingueva?" La
risposta
è tutto sommato semplice, anche se articolata. Negli
anni
‘70-’80 il mondo ultras era assai meno criminalizzato
rispetto ad
oggi, anzi sarebbe meglio dire che, pur criminalizzato, non
era sottoposto
a pressioni esterne così intense come quelle che stiamo
vivendo
in un’epoca di “normalizzazione” che non riguarda solo
l'Italia ma tutto
il mondo occidentale. Ciò
cosa
significa? Significa che negli anni passati tutti quelli di
una certà
età come il sottoscritto sono stati liberi di vivere il
mondo ultrà/s
in una certa maniera, e quindi di dar sfogo alle proprie
pulsioni nel modo
ritenuto più opportuno. In altre parole, eravamo la Roma e
la Lazio,
senza terzi incomodi. Oggi,
purtroppo,
così non è più. L’oscura
falce
della repressione è piombata dall’alto, impugnata dai
padroni
del
calcio moderno il cui programma è “nessun
ultras, pochi tifosi, molti sportivi consumatori”. I
vecchi ultras hanno vissuto solo nella parte finale della
propria “carriera”
curvarola questa fase storica del monndo ultras, mentre i
più giovani
la stanno subendo in pieno. Avendo,
in
virtù della professione svolta, una certa dimestichezza e
conoscenza
del fenomeno, è bene spiegare ai profani cos’è la
“repressione”,
che è cosa ben diversa dal fatto di venire arrestati o
processati
per episodi di violenza negli stadi: anche anni addietro,
infatti, ed in
misura assai più consistente avvenivano tafferugli e
scontri, con
arresti, fermi e processi. Ciò
nonostante
non si avvertiva quell’aria plumbea che si tocca con mano
oggi
in certi ambienti e che provoca moti spontanei una volta
inconcepibili. E’
chiaro:
chi non si espone e non si è mai esposto non potrà
mai capire del tutto di cosa sto parlando. Potrà
intuire,
comprendere ma non del tutto capire, a meno che il suo animo
non
sia particolarmente sensibile. ...ho
sempre
detestato quelli che non si immedesimano nelle situazioni
fino a
che non capitano a loro... Ed
allora,
la situazione è quella per la quale un giovane ultras che
decide di esporsi in prima persona viene sostanzialmente
perseguitato,
e ciò accade in vari modi. Fino
a
quando il giovane è parzialmente attivo nel gruppo, lo
stesso
verrà sostanzialmente “tenuto d’occhio” dagli apparati
statali creati
appositamente per reprimere il fenomeno ultras. Quando
l’ultras
decide di partecipare più attivamente viene completamente
preso di mira e “fatto sentire” sotto controllo, per poi
essere definitivamente
segnato e perseguitato in varie forme quando magari commette
qualcosa di
sbagliato ma persevera nel frequentare il mondo ultras. Sezioni
specializzate
della Polizia di Stato create appositamente per reprimere
il fenomeno, media coalizzati, denunce ingiustificate,
esasperanti controlli,
perquisizioni senza motivo per soddisfare l'opinione
pubblica: questa è
la pressione dello Stato su chi non si adegua. E
l'ultras-militante non si può adeguare. L'ultras
non
militante forse sì, perché non tocca a lui. Questa
è
la repressione. Comunque
sia,
il fenomeno della solidarietà ultras non nasce certo oggi.
Già negli anni ‘90 tutti i gruppi ultras fecero uno
striscione a
sostegno degli atalantini (“La morte è uguale per tutti”) e
non
si può certo dire che i bergamaschi non fossero nostri
acerrimi
nemici. Persino
negli
anni ‘80 fu profetizzata da Geppo la situazione attuale
“chissà,
forse un giorno ci uniremo, chissà” ed anche lo stesso CUCS
nei
suoi ultimi scritti (da me criticati) sosteneva che “nelle
curve avversarie
non c’è un nemico”, o qualcosa del genere. Oggi
però
la solidarietà è stata data ai laziali, ai nemici
di sempre. Da
una
parte la solidarietà ultras sconosciuta negli anni ‘80 ed
inconcepibile
per gli imbelli (che sono l'opposto dei ribelli) del 2000,
dall’altra l’inimicizia
storica, conosciuta da tutti. Naturale
che
chi non ha mai avuto problemi di questo tipo conosca una
sola faccia
della medaglia e che si scagli contro i “traditori”,
altrettanto naturale
che diversi gruppi ultras sminuiscano le critiche ricevute
sulla base del
"mavvoichecazzonesapetechelebotteelediffidelepijamonoi". Così
inquadrato
il problema, ed appurato che esistono due estremi, quello
della
solidarietà assoluta e quello della cieca antilazialità,
qual’è l’atteggiamento corretto da tenere? E’
chiaro
che posso rispondere solo per me, tenendo presente che ho
vissuto
entrambe le epoche di cui ho fatto menzione: ho conosciuto
l’antilazialità
a prescindere ma anche la repressione, e sulla mia pelle. Ho
gridato
centinaia di volte 10-100-1000 Paparelli non certo
condividendo
l'omicidio, ma sfruttando la truculenza dello slogan per
fare infuriare
la parte avversa. Capisco, adeguandomi, che i tempi siano
cambiati e che
se prendi in giro un giocatore pelato perché è pelato ("E
se Fanna è pelato battiamo le mani!") ti trovi centinaia di
associazioni
che ti accusano di essere "politically uncorrect" perché il
pelato
non va discriminato, dimenticando che se un tifoso glielo
canta contro
è solo perché vuole attaccarlo sul lato debole e farlo
giocare
male.... perché è tifoso! Lo capisco, ma già questo
non è il mio calcio! Dirò
quindi
che a livello teorico posso comprendere i problemi dei
laziali,
perché li passano anche i romanisti. Non
sono
però d’accordo con la solidarietà eccessiva e questo
per diverse ragioni: -
in primo luogo, perché gli
Irriducibili
hanno comunque la forza per poter replicare alle menzogne dei
media
per conto loro, avendo diversi canali di comunicazione a
disposizione
che peraltro sfruttano egregiamente; -
in secondo luogo perché se si
decide
di tenere questo atteggiamento, allora ciò deve essere fatto
a maggior
ragione per tutte le tifoserie d’Italia e non mi risulta che
ciò
accada; -
in terzo luogo perché una così
conclamata solidarietà snatura comunque gli aspetti del tifo
e le
naturali divisioni che sussistono tra noi e loro, che
auspico diventino
sempre maggiori: è vero che il tifo è una cosa e la
solidarietà
un’altra, ma è anche vero che non si comprende perché si
sia deciso di iniziare proprio dai laziali, che semmai
avrebbero dovuto
essere gli ultimi tra tutte le tifoserie - se si guarda
all’antica rivalità
- ad essere "solidarizzati", anche tenuto conto del fatto
che non mi sembra
che mai questi ultimi abbiano solidarizzato con i tifosi
della Roma per
le innumerevoli disgrazie che ci sono capitate. E comunque
se io odio una
persona non gli dirò MAI in faccia che ha ragione anche se
in cuor
mio lo penso: lo penso ma non lo dico; -
in quarto luogo perché credo
sia giusto
anzitutto solidarizzare al nostro interno: abbiamo decine di
diffide ingiuste,
abbiamo avuto tifosi in coma, processi e perquisizioni... ma
non si è
riusciti neppure a rimanere 15’ in silenzio per protestare
contro tutto
questo. In
conclusione, credo di poter
dire che ci sono
tre posizioni alternative: quella
dell'
"antilaziale a prescindere" che
gioisce
quando la repressione di Stato cala, a torto o a ragione
sugli ultras biancocelesti,
a patto che non colpisca la mamma o la sorella che sta in
curva nord; quella
dell'
"ultras antilaziale", nella
quale mi
riconosco, che pur comprendendo ed intimamente riconoscendo
una forma di
solidarietà alle persone in quanto ultras, non la
mostrerebbe mai
in quanto comunque antilaziale fino al midollo; quella
dell'
"ultras che dà solidarietà totale",
che esterna la propria solidarietà in qualsiasi occasione
lasciando
l'antilazialità all'aspetto prettamente sportivo.
*
A
mio
modo di vedere la mentalità ultras debba camminare nel solco
della
tradizione del tifo, entro certi limiti che non possono
essere valicati.
E che l'antilazialità a prescindere non può non tener conto
che esiste un Grande Vecchio che non vede l'ora di avere da
una parte e
dall'altra tanti burattini con i popcorn in una mano sul
proprio seggiolino
rigorosamento numerato.. Però,
come
abbiamo visto, di mentalità ultras ne esistono tante, forse
una per ogni ultras, e quindi chi può dire di aver ragione?
OPINIONE
DI FEDERICO R.
Ho letto con
attenzione
il pensiero espresso sul tema “solidarietà si, solidarietà
no”, è un’analisi quasi impeccabile sia della situazione sia
degli
stati d’animo differenti che spingono i tifosi ad assumere
atteggiamenti
diversi tra loro.
Anche io non sono
per la solidarietà così palese nei confronti dei laziali,
forse anche perché da parte loro non ho riscontrato in passato
la
stessa generosità, ma anche perché penso che la solidarietà
si possa manifestare in tanti modi e non necessariamente con gli
striscioni
esposti al derby.
Sembrava, infatti,
non essere un derby tra le tifoserie, quando invece in alcuni
momenti arriviamo
a pensare che si può anche perdere ma sul tifo gli dobbiamo
rompere
il c…, un clima strano, quasi irreale per il derby della
capitale.
Una cosa non può
però essere dimenticata, il momento non è dei più
felici, questa mano pesante della repressione sulle nostre
teste, si sente
e si vede, tutto questo non fa che alimentare ovviamente un
senso di protezione
e di difesa da parte di chi si sente attaccato ed allora ecco
che solidarizzi
con chi è nelle tue stesse condizioni, arrivi quasi ad allearti
con lui per sconfiggere il nemico comune, ma il derby è un’altra
storia.
Sicuramente ci sono
e ci saranno momenti in cui la sola condivisione della mentalità
e della vita da ultras farà trovare persone di fede diversa,
uniti
in una battaglia comune, poiché il problema comincia ad essere
serio
e pesante, c’è il rischio di rovinare generazioni di ragazzi per
un esuberanza allo stadio, mentre magari chi ha ucciso madre e
padre, riceve
lettere d’ammiratori in carcere quasi fossero degli idoli da
imitare.
Si è anche
persa la giusta dimensione delle cose, i valori sembrano essere
sfalsati
o invertiti, certo stiamo parlando di ultras, di persone che
vanno in giro
per l’Italia, per l’Europa, seguendo la propria squadra, che
passano giornate
intere a preparare striscioni e coreografie, persone che hanno
trovato
in una fede calcistica uno stimolo nella propria vita.
Sono gli stessi che
ovviamente non si fanno passare la mosca sotto il naso, che con
orgoglio
difendono i colori della propria squadra ed il nome della
propria città,
i quali in momenti di particolare tensione e quando si sentono
attaccati
(alcune volte anche fisicamente), non stanno certi li fermi a
guardare.
Certo è che il mondo ultras è divenuto oramai un fenomeno
sociale, come si può negare che gli stessi ragazzi che
frequentano
le nostre curve, sono gli stessi che durante la settimana stanno
davanti
al bar del quartiere o sul muretto della piazza, che vanno a
scuola e rimediamo
i soldi per comprarsi il biglietto, le nostre curve non sono
altro che
lo specchio della società, malata, indifferente, sorda ai
problemi
dei giovani, i quali a loro volta trovano la loro affermazione
di PERSONE,
la loro dignità di essere umani, in qualcosa che li fa sentire
tali,
importanti per un momento, che crea in loro degli stimoli che
gli offre
un idea forte nella qual credere.
Anche questo
rappresentano
la curva ed i suoi gruppi.
Al contrario i
soliti
ben pensanti, penna alla mano, hanno liquidato lo spettacolo di
domenica
sera, come la nascita di una Santa Alleanza tra la Curva Sud e
la Nord,
la prima neo fascita, l’altra neo nazista, contro le forze
dell’ordine
e la stampa, ma mai che a qualcuno viene da pensare che la Santa
Alleanza
sia altrove e che i soggetti che ne fanno parte sono ben altri,
ritrovatisi
insieme in progetto comune, eliminare queste realtà, eliminare
ed
estirpare dalla società un fenomeno da loro ingestibile ed
incontrollabile,
che dice ciò che pensa e che agisce di conseguenza, che non si è
ancora piegato alle logiche di mercato del calcio moderno.
Qualcuno ha detto
che ci siamo cascati in pieno a prestare il fianco a chi non
aspettava
altro, io la vedo in maniera diversa, fermo restando le
motivazioni sopra
esposte, avrei trovato altre circostanze per esprimere
solidarietà
ai laziali, una cosa però credo abbia spinto tanti di noi a
farlo
in maniera così palese ed è che derby o non, dall’altra parte
molti di noi hanno amici e qualcosa di più, con i quali ogni
giorno
condividono insieme le esperienze della propria vita, quindi
l’eccesso
di solidarietà potrebbe anche trovare giustificazioni in questa
situazione, ma rimane il fatto che per quei 90 minuti anche mio
cugino
(quello vero e carnale) diventa un bastardo biancazzurro al
quale grido
tutto e di più, ma è lo stesso con il quale il giorno dopo
passo ore a litigare sulle diverse visioni della partita, è lo
stesso
che però chiamo al cellulare quando è in trasferta per sapere
se è tutto ok o se invece qualche protagonista della repressione
sta tentando di rovinargli la vita, come magari ha tentato di
fare la domenica
prima con me.
Federico R.