HOOLIFAN "thirty
years of hurt" Mainstream Publishing
Company Ltd Autori: Martin
King e Martin Knight
Finita l'ultima delle
224 pagine di questo "Hoolifan" ho pensato e ripensato ad un punto debole
di questo libro: niente da fare, non c'è. Si tratta di
un vero e proprio classico della letteratura ultras ed è imperdonabile
che non sia ancora stato tradotto in italiano (nel
2003 è stato tradotto, lo trovate alla Libreria
dello Sport). Il testo originale
è infatti in inglese, anzi - vista la colloquialità - in
londinese, trattando quasi trent'anni di storia di una delle più
temute "firms" d'Oltremanica, quella del Chelsea. Chi scrive non
è un autore qualunque ma Martin King, uno dei "top boys" od anche
"main faces" dei blues il quale ripercorre - coadiuvato nella parte finale
da Martin Knight - il suo cammino negli stadi, da quando a sei anni viene
portato per la prima volta dal padre a vedere la partita fino ai giorni
nostri. Ovviamente autobiografico,
spiega con esattezza come si è formato il movimento, quali fossero
le modalità comportamentali e le reali finalità delle "mob"
d'Inghilterra, commentando sarcasticamente quanto invece folkloristicamente
ritenuto da giornali e polizia che - incapaci di comprendere il fenomeno
ovvero, più malignamente, strumentalizzandolo per fini politici
e di carriera - sono da sempre intenti a cercare ed a supporre piani predeterminati
ed infiltrazioni di gruppi politicamente eversivi. Particolarmente
interessanti le storie del cosiddetto "take the end", la mossa con la quale
gli ultras delle varie squadre tentavano di impossessarsi della curva ("end")
avversaria, il che delinea una diversa concezione delle dinamiche ultras
che invece venivano seguite in Italia. Da noi quel che si verificava al
tempo era la cosiddetta "carica" nella curva dei tifosi che in quel momento
si trovavano in trasferta, mentre questi benedetti inglesi si prendevano
il lusso, quando erano loro a giocare in trasferta, di entrare due a due
con i più strani stratagemmi nella curva riservata ai tifosi di
casa e, in un preciso momento, al grido di "CHELSEA", di impadronirsene
creando la nota "no man's land - terra di nessuno" tra loro e i tifosi
di casa. Il tutto dopo
furiose scazzottate che - rileva l'autore - erano uno dei motivi per i
quali la gente, anche quella comune, andava allo stadio: vedere una bella
rissa e una bella partita. Sintomatica al
riguardo è la scena descritta nel libro in cui un tifoso - neanche
troppo conosciuto - del Chelsea in trasferta resiste furiosamente, nella
curva dei padroni di casa, all'assalto di decine e decine di tifosi avversari,
stendendone parecchi prima di soccombere al soverchiante numero degli antagonisti.
Quando l'eroico malcapitato viene portato via dalla polizia, sulle sue
gambe, per essere ricondotto al suo settore, un fragoroso applauso di ammirazione
di tutti i tifosi avversari - che ne avevano riconosciuto il valore - lo
accompagna nel cammino. Tornando a noi,
l'excursus prosegue analizzando l'evolversi delle mode in Gran Bretagna
e quanto si legge è prezioso per capire l'importanza del modo di
vestire nel mondo ultras, per lo meno quello inglese. Il binomio tra abiti
e gruppo ultras era inscindibile e mutevole nel tempo. I temibili fans
del Chelsea, ad esempio, sono partiti da una moda skinhead-casual ma sono
anche sorprendentemente transitati in capelli lunghi e moda indiana. Questo per dire
che quando in Italia si sente criticare il fatto di aderire ad una moda,
e spesso questo avviene negli stadi, non si considera che anche il vestire
rigorosamente "non alla moda" è una moda o uno stile di vita: quella
di chi prende le distanze da chi si vuol vestire in una certa maniera piuttosto
che un'altra! Naturalmente
il libro affronta il problema della repressione e più volte nel
leggere mi sono trovato ad annuire silenziosamente alle considerazioni
dell'autore: tutto il mondo è paese, o meglio, quello che sta passando
il mondo ultras in Italia è quello che hanno già passato
lì. L'autore cerca
di spiegare qual'è la vera essenza del movimento che, rispetto al
nostro, ha sempre avuto accenti più "casual" nell'organizzazione.
In assenza di un vero e proprio gruppo ultras principale, la tifoseria
del Chelsea era organizzata in bande, ciascuno con un proprio leader e
che il più delle volte rispecchiavano l'area geografica di provenienza.
Il nome di "Headhunters", persino, non è stato scelto da loro ma
è stato un gentile omaggio della stampa. La differenza rispetto
alla curva della Roma, ad esempio, è che lì non può
essere concepito un gruppo come è stato il CUCS o gli AS Roma Ultras,
vale a dire gruppi che raccolgono elementi provenienti da più parti
di Roma. Immaginate una curva senza striscioni, con la gente che si dispone
in curva con la banda del proprio quartiere: ecco, questa era la curva
del Chelsea. Tifo spontaneo, naturalmente, ma senza troppe pippe mentali
tutti dietro al primo coro che si alzava, anche se - è ovvio - doveva
provenire da una delle zone dei tifosi che contavano. Ciò detto,
Martin King fa capire bene che, incidenti di percorso a parte, quello di
cui avevano voglia i giovani inglesi era solo una sana scazzottata né
più né meno cruenta di quella che si può verificare
avanti un pub o una discoteca, sicché egli non si capacita di come
lo Stato abbia reagito per episodi tutto sommato lievi in modo così
eclatante. "Anche nella boxe - riflette - le due parti vogliono picchiarsi,
ma non certo uccidersi, e tutto sommato il nostro mondo rientra in questo
spirito". Dopo aver narrato
di quando il Chelsea retrocesse, e di come il passaggio in seconda serie
non fu affatto semplice perché tutte le tifoserie minori volevano
confontarsi con loro, è anche interessante notare nel testo come
tifosi di diversa fede calcistica - anche divisi da rivalità- siano
pronti ad unirsi in determinati situazioni, vuoi la partita della squadra
di quartiere che li accomuna ovvero la partita della Nazionale. Dopo aver
brillantemente criticato gli insensati interventi governativi, che non
hanno affatto eliminato il problema della violenza negli stadi ma lo hanno
solo spostato territorialmente (rendendo gli scontri paradossalmente più
pericolosi proprio perché - ora sì - organizzati prima dai
gruppi), il libro termina con Martin, ormai più che quarantenne,
insieme con sua figlia nella rinnovata Shed del Chelsea, ridotta ad un
ammasso di seggiolini numerati rigorosamente rispettati. Un tipo davanti
a lui, che riconosce per aver sostenuto in passato un'altra squadra, si
infervora a parole per un fallo su Vialli e la security se lo porta via.
La figlia chiede al padre se quello fosse un hooligan e l'autore - che
nel libro ne ha raccontate di cotte e di crude nei bei tempi andati - dopo
aver riflettuto per un minuto risponde "Si, cara, suppongo di si". Poco
dopo la figlia nota un gruppo di giovani più in là, con una
piccola pancetta da birra e magliette false della squadra, che cantano
a squarciagola per Vialli, ed anche in questo caso chiede: "Anche loro
sono hooligans, papà?", alché il padre risponde "No, cara,
quelli sono tifosi". "Ed allora tu cosa sei papà?". Dopo aver pensato
a lungo anche in questo caso, Martin King risponde sorridendo "Io sono
un hoolifan", e da qui il nome del libro. Lo leggano tutti
coloro che sanno l'inglese, perché è e resterà sempre
un must. Da parte mia,
contatterò il prima possibile gli autori e la casa editrice perché
è un delitto che questo libro non possa essere letto da tutti (come
detto, è stato tradotto nel 2003. n.d.L.).
(alcune foto
della tifoseria del Chelsea in azione le trovate cliccando
qui). VAI
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