Maggiora: "Vita in bianco e nero,
2 colori nel cuore"
di Luca Prosperi (Il Romanista, ottobre 2004)

Per lo spogliatoio ero <Perfettini>. Bruno Conti mi chiama Perfettini, perchè diceva che ero precisino, uno ordinato, un pignolo, dentro e fuori dal campo. Mi chiamo Mimmo Maggiora, sono piemontese e ho giocato sei anni nella Roma. Sei anni sono tanti: 127 partite e quell'unico gol al Vicenza di Paolo Rossi. Ora lavoro a Torino, nel settore giovanile della Juventus: ci lavoro da 15 anni, da sette mi prendo cura dei Giovanissimi. Ma sono romanista. Sì, un romanista vero che lavora nella Juventus, e non ho l'anima divisa a metà. Da 15 anni per me Juventus-Roma non è una partita come le altre. E questa forse è diversa più di tante altre, non fosse per Capello, Tancredi, i giocatori che sono arrivati alla Juve quest'estate. Io Mimmo Maggiora non giro con ciondoli, lupetti o catenelle: il mio ciondolo giallorosso sta nel cuore. Che rimpianti che ho... Per me lasciare la Roma è stata la più grossa fesseria della mia vita: è stata colpa mia, volevo guadagnare di più, e invece mi sono perso lo scudetto e tanti altri anni di gloria. Ero serio e umile, facevo il terzino o il mediano, e il mio spazio me lo sarei trovato in qualunque squadra. Sono andato alla Sampdoria nell'estate del 1982, l'anno prima dello scudetto, solo per soldi: raddoppiai l'ingaggio, da 50 a 100 milioni, ma lasciando la Roma ho gettato via tutto quello che viene prima del guadagno. Perchè vincere uno scudetto a Roma vale 10 volte tanto che in altre città, la gente qui a Torino neanche ci fa più caso quando la Juve vince uno scudetto. E' scontato. Io sono romanista perchè ho altri migliaia di ricordi romanisti. Quando penso ad Agostino mi viene la pelle d'oca: abitavamo nello stesso condominio. A volte dopo una sconfitta evitavo di mettere la macchina in garage perchè dovevo passare davanti a dei negozi e rischiavo di prendermi gli insulti dei tifosi: ma fino al mercoledì. Qualunque cosa fosse successa al giovedì eri ridiventato un eroe, la gente ti adorava. Ho girato mezza Italia e a tutti raccontavo cosa fosse la Roma e Roma: ripetevo ai miei colleghi, e lo dico ancora, che non si potevano rendere conto di cosa fosse giocare all'Olimpico con 80 mila persone contro l'Ascoli, il Pescara... erano abituati a vederne 20 mila nelle loro città, e noi invece giocavamo veramente con un uomo in più: eravamo davvero 12 in campo. Sei anni, sono stato, ho visto la Roma che valeva zero e il progetto di Viola e Liedholm: per 4 o 5 anni ho vissuto di sacrifici, anche io credo di aver seminato per quella squadra. Ho giocato con il più grande giocatore che ho conosciuto, Bruno Conti, uno straordinario atleta e persona meravigliosa. Come lui non ne nascono più. Sono romanista, io. Sono veramente romanista. Ero in campo il giorno del gol di Turone: ci rendemmo subito conto di cosa era successo, di quello che ci avevano tolto. Sono passati 20 e continuo a pensarla nella stessa maniera: ci scipparono uno scudetto. Pensate: io nato e cresciuto nella Juventus, quella sera sarei dovuto rimanere con i miei parenti a Torino, ma ero talmente furibondo che non potevo stare lì, a farmi passare davanti i festeggiamenti degli juventini. Ho lasciato i miei a Torino e me ne sono tornato con la squadra a Roma in aereo. Sono passati 20 anni e la penso nella stessa maniera: quel gol era regolare, avremmo vinto lo scudetto, e oggi non vedo perchè dovrei cambiare idea per il fatto di lavorare nella Juventus. Mi sentirei una merda se dicessi l'inverso. E lo dico anche al dottor Agricola: Roma-Juve? Abbiamo lottato fino in fondo e ho visto cose poco regolari. Cose logiche, non invento niente. Lui storce la bocca. Poi vennero le polemiche di Viola : ma sapete che dicono qui a Torino di Viola? Che poteva essere traquillamente il presidente della Juve, tanto era bravo. Equilibrato, programmatore, misurato... sì, litigavano, ma lo stimavano. Ho saputo che Falcao parla bene di me. C'era molto feeling tra me e lui, credo che mi stimasse come uomo. Io lavoravo per lui e lui si sentiva protetto. Era intelligente e ti gratificava, in campo ti metteva nelle condizioni di fare una buona figura. Non ti toglieva la palla dai piedi ma si metteva sempre in condizione di riceve libero, e tu non sbagliavi. Stavo in camera con Ancelotti, ma non mi stupisce che Paolo abbia parlato bene di me. Sì, io alla maglia ci credo ancora e non posso non avere la maglia giallorossa: nel mio armadio, nel mio archivio di calciatore ho solo ricordi giallorossi, eppure lavoro per la Juventus perchè sono un professionista. Ma quando apro l'armadio vedo le sei magliette della Roma che mi sono portato via come ricordo, l'Adidas del periodo con De Sisti - che grande giocatore che è stato, anche fuori dal campo - la Pouchain, il ghiacciolo..., ho tutto il completo, quella con la quale ho vinto la Coppa Italia nell'81, è come se non me le fossi mai sfilate. Io, Mimmo Maggiora, credo ancora nella maglia, non come i calciatori di oggi che quando se la sfilano t'accorgi che non è rimasto niente. A me, se guardate bene, sulla pelle m'è rimasto del colore giallorosso. Se si può essere romanisti e juventini nello stesso tempo? Non si può, non si può fare. Specie se sei romanista.



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                  novembre 1977: Lanerossi Vicenza/Roma 4-3


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