LA
PROTESTA
«Meglio
la C del calcio business»
Quelli
stanchi di seguire le squadre nei giorni
lavorativi e a orari impossibili
di
VINCENZO CERRACCHIO
(Il
Messaggero, 3 dicembre 2003)
ROMA
- Metteteci i soldi da sborsare ogni mese per la
pay-tv, aggiungeteci le
magagne del Palazzo, le baruffe fra presidenti,
lo sconfinamento dei politici,
l’incertezza dei calendari, un pizzico di doping
e violenza quanto basta.
Il minestrone calcio è servito. E tutti a dire:
tranquilli, il football
non morirà mai, andate negli stadi a
controllare, godetevi i big-match,
gli share televisivi, i “processi” proliferanti.
Alla gente piace.
Alla
gente piace? Non a quelli che vivono ancora il
calcio come pura passione,
se è vero che i rappresentanti di 72 tifoserie,
dalla A alla C,
hanno deciso di consorziarsi, di formare un
movimento alternativo che sembra
avere un connotato originale: il ritorno al
calcio che fu. Con uno slogan
che dice già tutto: “No al calcio moderno,
no alla pay tv”.
Striscioni apparsi ultimamente
in moltissime curve, segno che sono i giovani e
non certo un manipolo di
cinquantenni nostalgici a guidare la protesta.
Leo ha 24 anni, una laurea
fresca e si definisce portavoce del “Brescia
1911 Curva Nord”, una delle
tifoserie più impegnate in questa battaglia: «Premetto
che non ci sentiamo santarellini, ma abbiamo
bandito da almeno quattro
anni qualsiasi violenza gratuita. Il nostro
gruppo non fa politica, solo
coreografie, la nostra è solo una forma di
aggregazione. Pur non
condividendo le leggi speciali contro gli
ultras: si rischia di meno a
rapinare una banca», chiosa con
molta enfasi.
«La
nostra protesta? Non ce l’abbiamo a priori con
la tv a pagamento, è
una scelta personale restare a casa magari per
motivi familiari, per malattia,
per vecchiaia. Ma non accettiamo che il mondo
del calcio sia manovrato
e condizionato da interessi televisivi. Non
vogliamo più essere
costretti a seguire la nostra squadra in
giorni lavorativi, ad orari impossibili
e proibitivi, specie d’inverno, per la dignità
di chi va allo stadio.
Siamo furiosi con questo sistema che vorrebbe
trasformarci, fin da giovanissimi,
in tifosi da salotto, togliendoci le emozioni
che si vivono allo stadio,
la condivisione con ragazzi di età ed
estrazione sociale diverse
dei nostri sogni e delle nostre delusioni».
Il
punto è: se il calcio dipende ormai dagli
introiti tv, come si fa
a tornare indietro? E come pagare l’ingaggio di
un campione come Baggio,
a Brescia? Meglio i presidenti “ricchi scemi” di
una volta? «Non
siamo fuori dal tempo. Stiamo studiando
proposte alternative, ci siamo
incontrati per manifestare a Milano e a Roma,
anche se le tifoserie delle
squadre della Capitale non hanno aderito
direttamente e quella dell’Inter
resta un po’ defilata. Vedrete che qualcosa ne
uscirà. Ma noi siamo
pronti a ripartire da zero, a vedere il
Brescia anche in C, purché
ci sia un cambio radicale. Baggio per noi è un
giocatore come un
altro, non facciamo cori ai singoli ma solo
alla squadra, alla bandiera:
tanto per non restare delusi dalle fughe per
soldi. Ecco, noi ce l’abbiamo
con chi vede il calcio soltanto come business
e strumento di guadagno.
Basti pensare all’ultimo tentativo di certi
presidenti, compreso il nostro,
di usare il blocco dei campionati, cioè le
nostre squadre, come
arma di ricatto per i propri interessi
personali, per qualche euro in più.
Dopo tutti i magheggi della scorsa estate,
figuriamoci. Torniamo piuttosto
ad altri valori, l’appartenenza alla maglia,
il rispetto, la lealtà.
Al calcio della domenica, una festa per tutti.
Non quello skyavo (lo scriva
così, per favore) del denaro e della tv».
Sarà pure un’utopia, ma chi si sente di dargli
torto?
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