ULTRAS E REPRESSIONE
I fatti di Bologna/Roma sono l’epilogo di una situazione di tensione negli stadi in continuo crescendo, che non è frutto del caso ma di un piano preordinato nelle alte sfere che tenta di decretare la fine del fenomeno ultras e di sperimentare allo stesso tempo moderne tecniche di controllo sociale.
     Da quando il fenomeno televisivo si è impadronito del gioco del calcio, tentando di trasformarne i suoi miti e i suoi riti in un platinato spettacolo in tutto e per tutto simile al football americano, si è attuata una vera e propria persecuzione nei confronti degli ultras, colpevoli di non rispettare le nuove regole del gioco, che dall’alto si è tentato di imporre.
     Il fenomeno comunemente noto come “repressione”, inizia ad avvertirsi negli stadi all’inizio degli anni ‘90, epoca nella quale a seguito di alcuni episodi di cronaca legati alla violenza negli stadi, resi eclatanti dai mass media, viene praticato un intervento legislativo ad hoc con il quale si tenta di arginare gli episodi di violenza.
     Tale intervento si risolve nella famosa legge 401/89, istitutiva della figura del DASPO o “diffida”, strumento legislativo che impone restrizioni alla libertà di circolazione e personale anche in assenza di condanna, sul solo presupposto della denuncia da parte delle forze dell’ordine a seguito di episodi di violenza in occasione o a causa di manifestazioni sportive.
     Seppure gli ultras abbiamo ormai imparato a convivere con le diffide, dovendosi tuttavia dare una struttura del tutto differente rispetto allo spontaneismo che aveva caratterizzato gli anni ‘70-’80, nella stagione in corso si è potuta notare una vera e propria escalation degli scontri negli stadi, soprattutto tra tifosi e forze dell’ordine.
     Ciò è frutto della “linea dura” decisa dal Ministero degli Interni, che punta a stroncare il fenomeno senza tener conto di alcuni aspetti fondamentali, che sono collegati al “vivere ultras” da parte di migliaia e migliaia di ragazzi che non ne vogliono sapere di dover rinunziare al proprio divertimento settimanale, che non è fatto necessariamente di violenza ma anche di tifo e colore.
    In tutto ciò si inserisce un fattore di diseguaglianza sociale che agli occhi dei tifosi ultras risulta particolarmente odioso, vale a dire la differenza di trattamento che lo Stato riserva a coloro che commettono reati all’interno di uno stadio o nelle immdiate vicinanze a secondo che siano tifosi o forze dell’ordine.
     A seguito delle nuove direttive restrittive Bianco-Melandri, infatti, le forze dell’ordine ritengono ormai di avere “carta bianca” e, stravolgendo le loro funzioni, si comportano in tutto e per tutto come un gruppo ultras dalla caratteristiche assai particolari:
a) impunità;
b) armamento in dotazione, usato peraltro in modo improprio (manganelli impugnati alla rovescia, lacrimogeni ad altezza d’uomo, bandane a coprire il viso per impedire l’identificazione).
     Questi due elementi, uniti alla convinzione di avere carta bianca, fa sì che le forze dell’ordine si comportino in curva, specialmente nei confronti dei tifosi in trasferta, esattamente come si comporterebbe un gruppo ultras: ecco allora che il celerino lancia la torcia illuminante contro i tifosi (Perugia/Roma); ecco ancora il celerino che lancia i sedili contro i tifosi (Milan/Roma); ecco allora che un intero battaglione di polizia per sedare un tutto sommato innocuo lancio di bottigliette tra differenti settori dello stadio decide di lanciare lacrimogeni ad altezza d’uomo con l’intenzione di colpire i tifosi; ed ecco anche il celerino che nell’ottica di sgomberare le scale dal passaggio decida, con gli occhi di fuori, di manganellare chiunque gli capiti a tiro e di spingere giù per le scale un tifoso che malauguratamente si trovava sul suo passaggio.
     Ma soprattutto, in alcuni ultimi casi eclatanti, accaduti ai romanisti in quanto il buon momento della squadra ha portato a trasferte oceaniche, è apparsa evidente una sorta di premeditazione da parte delle forze dell’ordine, come si è potuto intuire dalle frasi che vengono rivolte dai celerini ai tifosi (“stasera da qui non uscite”, “bastardi romani”, “oggi vi rompiamo il culo” eccetera).
     A questi incresciosi episodi non è seguito, da parte delle varie Questure, un atteggiamento responsabile e distensivo, e ciò confidando nel fatto che trattandosi di episodi che danneggiano singoli tifosi questi non riescano ad organizzarsi per poter dar risalto a tali vicende.
Le questure hanno invece tenuto un comportamento ambiguo, guardando solo al proprio orticello e non, nell’interesse dell’ordine pubblico che dovrebbero tutelare, a quello di migliaia di tifosi a non essere aggrediti, insultati, derisi senza motivo:
Lazio/Udinese: a seguito del lancio di una bottiglietta di plastica contro le forze dell’ordine, viene attuata una carica nell’antistadio della curva nord che coinvolge anche donne e bambini:
 Perugia/Roma: il celerino che ha lanciato la torcia contro i tifosi della Roma è rimasto impunito. Venne detto al riguardo dalla Questura di Perugia “faremo un’inchiesta interna”, il che è un assurdo giuridico: se un fatto è reato, lo è per il poliziotto e per il tifoso.
Diversamente argomentando gli ultras potrebbero reclamare per qualsiasi reato che dovessero commettere l’impunità, salvo poi aprire “inchieste interne” in seno allo stesso gruppo!
 Milan/Roma: la Questura ha pensato bene di non dare alcun risalto ad incidenti che, per la loro gravità, sono tra i più rilevanti degli ultimi 15 anni. Poiché ai giornali e all’ANSA le notizie vengono riferite dalle questure, se ciò non avviene vuol dire che non vi è interesse a fare uscire la notizia, quantunque la stessa sia di interesse pubblico.
 E se ciò viene fatto è perché vi è la “coscienza sporca” da parte della questura che non ha saputo gestire bene l’ordine pubblico.
 Bologna/Roma: in tutti i modi la Questura di Bologna cerca di far passare per un banale incidente ciò che invece è stata una spinta di un celerino ad un tifoso che ne ha provocato la caduta per le scale ed il conseguente coma.
     Solo sulla spinta dell’indignazione pubblica la Procura della Repubblica ha aperto l’indagine, seppur a malincuore, in quanto sono ben noti i rapporti “d’amore” tra procure e questure di tutt’Italia.
     Nei salotti bene della buona borghesia si incontrano pubblici ministeri e questori, giudici  e generali: vi pare veramente possibile che per un tifoso qualsiasi in coma questi rapporti possano saltare?
     Quanto detto non è certo una novità ma neanche può passare sotto silenzio né può essere tabù parlarne.
 Facendo comunque un bilancio di questi ultimi dieci anni, la bilancia della giustizia pende solo da una parte ma solo raramente il mondo ultras ha saputo tirar fuori una voce compatta, unita, contro quest’ingiustizia sociale.
     E’ accaduto solo nel caso del tifoso atalantino morto d’infarto durante una carica  della polizia, episodio a seguito del quale praticamente tutte le curve d’Italia esposero lo striscione “10-1-93 la morte è uguale per tutti”.
 Per il resto non si è riusciti a far molto di più.
 Per ora.
 Ma sta a noi ultras trasformare quello che oggi è solo un grido senza parole contro il potere antico in qualcosa di più grande e temibile, a difesa dei nostri valori.
S.P.Q.R., anno 2001.


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