Alla fine la parola la trova Mara, 70 anni, che
nelle complicate discendenze dell'albero genealogico è
madre di Antonella e Carlo, padre di Simona. Lei, la Roma,
l'ha conosciuta nel '38, quando bambina andava allo stadio
tenuta per mano dal papà, gerarca fascista e tifoso.
Mara,
tifosa dal 1938
Ricorda
il saluto al duce degli spettatori, tra cui spuntavano i
cappellini di poche, temerarie signorine, e quello dei
giocatori. E si ricorda di lei, seduta sulle panche di
legno, in quello stadio detto de' Cocci perché a ridosso
di un cumulo di lavandini e cianfrusaglie abbandonate a
fare un monte. Testaccio, core de Roma e dei romanisti.
Una squadra vera, alla buona, con i calzoncini corti e i
giocatori che provvedevano da soli alla propria divisa di
gara. "Si compravano i calzettoni, le scarpette da gioco e
lavavano tutto in casa. Dopo la partita, la domenica -
racconta Mara, muovendo le sue lunghe mani smaltate - mio
padre e gli altri dirigenti accompagnavano i giocatori a
mangiare trippa, pajata e coda alla vaccinara in
un'osteria del quartiere", alla faccia delle tabelle
nutrizionali tanto in voga al giorno d'oggi.
Lei era giusto una bambina, aveva sì e no otto anni. "Ma - dice - ascoltavo i discorsi dei grandi. Le più audaci allo stadio non passavano inosservate". Quando è diventata una signorina, ai tempi del liceo, dopo la scuola, spesso andava al bar Masetti a largo Argentina. Era il locale di uno dei più popolari calciatori dell'epoca (Amedei, altro campionissimo, era fornaio). "Segno - sottolinea - che a quei tempi, comunque, si doveva lavorare". Faceva merenda, in pieno stile autarchico, con medaglioni di cicoria e pane di segale insieme alle sue compagne di classe. "Loro non seguivano il calcio - spiega - perché non era affatto signorile. Andavano al palazzetto dello sport, quello sì, a vedere il basket, considerato molto più nobile ed elegante". Nessun giocatore del cuore? Nient'affatto. "A dire il vero - confessa arrossendo - a un certo punto è arrivato Iacobini. Lui aveva 17 anni, io 12. Non era neanche un granché, ma che volevi fare allora? Tutt'al più, potevi sognare gli attori, Amedeo Nazzari, Antonio Centa, Rossano Brazzi. Loro sì erano divini".
Di pazzie fatte per la Roma ne ha viste tante: prima ha dovuto superare gli shock procuratele dalla figlia, poi quelli dovuti alle pazzie della nipote. "Certo che i tempi - sospira - sono proprio cambiati. Oggi vedo mia nipote e le sue amiche uscire di testa per questi giocatori miliardari. Ma bisogna stare attenti, perché le ragazze sono in buona fede ma chi le avvicina non sempre. E non mi riferisco ai calciatori".