INTERVISTA A SERSE COSMI
Ottobre 2004
(tratto da www.botoliringhiosi.com)
                      - http://www.botoliringhiosi.com nasce come sito di ultras. Pensi che l’apporto della tifoserie possa
                        dare alla squadra quel qualcosa in più?
                        - Non lo penso e basta, ne sono certo. Avendo vissuto molti anni come tifoso, so cosa vuol dire
                        pensare dal lunedì alla partita della domenica. So cosa vuol dire farsi centinaia di chilometri per
                        andare in trasferta e so cosa vuol dire perdere serate per confezionare nuovi striscioni. Tutto
                        questo me lo sono portato dietro sia da giocatore che da allenatore. E i giocatori avvertono le
                        sensazioni del pubblico. Quindi nella maniera più assoluta un pubblico può incidere nel
                        rendimento di una squadra.

                       - Nella tua carriera hai incontrato molte tifoserie. Quali sono quelle che ti hanno colpito di più?
                        - Senza dubbio due. Napoli e Roma. Al San Paolo, che solo una volta mi ha visto avversario, c’è
                        realmente qualcosa di magico. Il pubblico partenopeo riesce a caricare la propria squadra come
                        pochi. L’atmosfera che c’è in quello stadio è davvero particolare. Simile solo all’Olimpico.
                        Quando gioca la Roma avverti immediatamente la sensazione che sta accadendo qualcosa di
                        diverso. Però altre due tifoserie mi hanno colpito. Mi ha fatto per esempio molto piacere
                        quando, alla vigilia di un Lazio-Perugia, i capi degli Irriducibili della Lazio vennero in ritiro e mi
                        regalarono una targa con una foto dello striscione di solidarietà che avevano esposto per me
                        dopo i fatti di “Striscia la Notizia” con la mia intervista rubata fuori onda. Quel gesto mi fece
                        molto piacere soprattutto alla luce delle mie simpatie giallorosse. L’altra tifoseria che mi piace
                        citare è quella atalantina. In tutte le gare che ho giocato da avversario a Bergamo ho sempre
                        ricevuto attestati di stima prima e dopo le partite.

                        - Cosa ti piace e cosa non ti piace delle curve italiane?
                        - E’ una domanda difficile, soprattutto perché per dare giudizi le curve andrebbero vissute al
                        proprio interno. Quando andavo in curva io il contesto era diverso quindi non è semplice
                        giudicare. Da esterno però quello che mi colpisce di più in positivo è l’attenzione sociale che i
                        gruppi organizzati hanno. Mi riferisco alle molte iniziative mai pubblicizzate di solidarietà ed
                        anche alla funzione aggregativa delle curve. In negativo invece mi disturba la troppa politica.
                        Identificandosi politicamente si rischia di perdere di vista il vero scopo per il quale uno va in
                        curva. Si rischia cioè di non pensare ai propri colori privilegiando quelli della propria idea
                        politica. Questa esasperazione andrebbe messa da parte.

                       - Alla luce di tutto questo, manderesti tuo figlio in curva?
                        - Edoardo è già stato in curva. Ti dirò di più. Io voglio che mio figlio frequenti la curva. Non
                        possiamo fare retorica anche perchè impedire ad un figlio di andare in curva equivale a
                        impedirgli di uscire di casa. Quello che può trovare in curva lo può trovare in qualunque altro
                        angolo della città: in curva c’è la vita. Se uno ragiona così dovrebbe vietare ai propri figli certe
                        scuole, certi amici, certi ritrovi e così via. Se poi devo essere sincero prima di impedirgli di
                        frequentare le curve, gli impedirei di frequentare certe tribune centrali…

                       - Il calcio sta attraversando un momento difficile. C’è in atto una sorta di trasformazione da
                        evento sportivo ad evento mediatico. Qual è la ricetta di Cosmi per uscire da questa situazione?
                        - Purtroppo il calcio sta cambiando. E’ difficile trovare la ricetta giusta. So solo però che non
                        bisogna perdere di vista l’elemento centrale del sistema che sono e devono rimanere i tifosi. Io
                        mi sono espresso in prima persona sullo spostamento al sabato poi rientrato proprio perché
                        credo che la componente più importante del sistema sia il tifoso. So benissimo che al giorno
                        d’oggi se vuoi stare nel calcio devi accettare certe regole mediatiche. Purtroppo i soldi che fanno
                        muovere il sistema sono quelli delle televisioni. Anche certi presidenti di trent’anni fa, oggi
                        considerati romantici, avrebbero agito diversamente se avessero avuto la possibilità di avere
                        entrate dalle televisioni come quelle di adesso. Alcuni presidenti si ritrovano al giorno d’oggi
                        senza pubblico pur avendo conseguito ottimi risultati sportivi. E’ normale che questi dirigenti
                        vadano a cercare introiti da altre parti. Però l’unica cosa da fare è quella di cercare di mediare
                        fra le varie posizioni dando sempre un ascolto privilegiato alle esigenze del tifoso.

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