UN PENSIERO DI VALERIO
Un cane sciolto col mal di pancia. Oggi, a campionato finito da due settimane, mi sento di capire meglio le ragioni del mio malessere.
Il “caso” Irriducibili si è parzialmente sgonfiato ed è forse il momento buono per ragionarci sopra a mente fredda. Di loro non mi frega nulla, in quanto tali. Delle conseguenze dei loro gesti si.
Io odio la Lazio. Di solito mi vedo solo un derby perché due rischio (seriamente) di non reggerli, tanto odio la Lazio. Ma non odio i laziali. Ho pochi amici, parenti o conoscenti della Lazio. Li sfotto, ci
discuto animatamente, ma non li odio. La trasmissione degli Irriducibili ha secondo me molte colpe, ma
una più di tutte. Nei giorni che hanno preceduto Lazio-Inter, nei confronti dei romanisti (e non della Roma) è partito un attacco di una virulenza senza precedenti, con un’unica parola d’ordine: mai
vedere festeggiare i romanisti napoletani, zozzi, vergogna de sta città, ecc.
Il tutto ha portato ad una decisione “storica” per Roma: una intera tifoseria che decide di tifare contro la proprio squadra, cosa per me inconcepibile.
Mi sono chiesto se dietro a questo ci sia solo l’odio per i nostri colori o se invece non ci sia anche altro.
Secondo me c’è anche altro e ed in particolare l’attitudine ad intendere il gruppo (in questo caso gli Irriducibili) come un vero e proprio partito, con tutto ciò che ne consegue: campagne martellanti per “vendere” delle idee, il culto autoreferenziale della proprio gruppo-parrocchia ( che è cosa diversa dalla “tribù” stile John King), un’idea di autofinanziamento che sconfina nettamente nel business.
E’una cosa che riguarda loro. Per ora, peggio per loro. Per ora. Perché se questo modo di intendere il tifo dovesse attecchire anche da noi, beh, il discorso sarebbe molto diverso.
La mia tribù è quella che difende e trepida per la maglia sangue e oro. E basta.
A me non frega un cazzo di aprire venti negozi in città, di tifare allo stadio per la Palestina o per Bobby Sands. Di preoccuparmi di gestire trattative economiche, ora con la società per il servizio
d’ordine allo stadio, ora con gli sponsor, ora con Italia 1. Di ordinare alla squadra quando impegnarsi e quando no. Di fare show in tv. Di decidere con quante sciarpe e quale tipo di cappello si deve entrare in curva. Di condividere in maniera più o meno velata ideali che vanno oltre l’amore per la stessa squadra. Di farmi le pippe mentali su “mentalità” e “stile”, concetti vacui, che non potranno mai essere interpretati allo stesso modo (e le recenti vicende di curva lo dimostrano) e che soprattutto non reggono quasi mai alla prova della coerenza.
E IL TIFO PER LA SQUADRA CHE FINISCE SULLO SFONDO.
Se tutto ciò dovesse diventare cultura imperante anche da noi, per quanto mi riguarda, preferirei non tifare spalla a spalla con certa gente e rimanere me stesso. Fino all’isolamento e al silenzio, se
necessario.
Ora e sempre con tutti quelli che ci stanno solo per la maglia e  che hanno come riferimento il poderoso ROMA,ROMA,ROMA urlato a S.Siro negli ultimi minuti della partita con il  Milan.
Valerio


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