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0-0 Roma, Stadio Olimpico, 15 maggio 2005 ore 15.00 invia una e-mail per i resoconti |
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IL
MESSAGGERO
ROMA - Il calcio italiano è quello che è e negli anni siamo stati aggrediti da scandali fantasiosi e imprevedibili: nero, doping, passaporti falsi, Totonero, partite biscottate, portieri venduti, mediatori, acquisti falsi e bilanci gonfiati. Ne abbiamo viste di tutti i colori. Sappiamo com’è questo mondo. E può sembrare da ipocriti prendersela con il derby e tutti i suoi squallidi protagonisti: non fanno, anch’essi, parte del volgare teatrino calcistico? E allora, si potrebbe dire, lasciamoli in pace, uno schiaffetto e via. Non si può. C’è un limite a tutto e il derby, almeno quello, va rispettato. Da quando Roma e Lazio esistono mai era successo ciò che è successo ieri e il nome di questi signori lo ricorderemo per sempre. Va rispettato il derby, vanno rispettati i tifosi, va rispettato lo sport, va rispettata la storia delle due società. Tutto questo non è stato fatto. Il nome di Roma e Lazio esce infangato dalla vicenda più brutta e penosa che si ricordi. Abbiamo vissuto derby di ogni tipo: belli, brutti, noiosi, indimenticabili, come quello del tre a tre. Mai avremmo pensato di dover assistere a un derby biscottato. Le due squadrette hanno mimato una partita di calcio per quarantacinque minuti, nel corso dei quali c’è stato anche un tiro in porta di Mancini e Peruzzi ha parato. Poi, soddisfatte, hanno raggiunto un accordo. In campo. Sotto gli occhi degli spettatori, che avevano pagato il biglietto e avevano anche fatto la fila per acquistare il prezioso tagliando dello scandalo. La televisione non ha cuore o immaginazione. Freddamente ci ha fornito le immagini di Cassano e Liverani, mani sulla bocca o sul naso, per non far capire i termini del colloquio. Vergogna, ventiquattro volte vergogna, ventiquattro come il numero dei giocatori che hanno dato vita all’osceno balletto presentato all’Olimpico. I loro nomi compaiono nel tabellino, non staremo a ricordali. Fortunato Totti, che non c’era per via delle cinque giornate di squalifica. Potrà sempre dire che lui non c’entra, come effettivamente è. E non sappiamo come sarebbe andata a finire se ci fosse stato. Paolo Di Canio, invece, l’abbiamo visto: l’eroe dell’altro derby c’era. Ricordiamo i gesti e le parole della partita d’andata. Anche ciò che c’era scritto sulla sua maglietta. Quando si è capito che il derby stava prendendo una brutta piega, abbiamo confidato in lui, il samurai si arrabbia, manda tutti a quel paese e vincerà lo sport, si è pensato. Di Canio è stato trascinato dalla corrente, è andato a caccia ed è ritornato senza la testa del nemico. E poi c’è modo e modo di confezionare biscotti. I calciatori romani hanno scelto il peggiore e quello più facilmente individuabile: lo zero a zero senza calcio, senza calci, senza niente e anche un marziano avrebbe capito. Pure imbranati. Hanno preso un punto a testa, augurandosi chissà che. I risultati di Bologna e di Siena hanno capovolto pronostici e studi: il pareggio non serve a niente e forse, per salvarsi, bisognerà superare i quarantatrè punti. La Lazio non è al sicuro, come Papadopulo ingenuamente aveva cantato nel dopo derby. Figuriamoci la Roma, allora, che sta sotto. Vogliamo sperare che dirigenti e tecnici, ignari, siano indignati quanto i tifosi. Lo facciano sapere, se è così. Da oggi, prendendo le distanze da ciò che è successo. Anche se non è facile credere che certe decisioni vengano prese da calciatorini di passaggio. Roma e Lazio si sono messe d’accordo per non andare in serie B. Ma ciò che hanno fatto è peggio della retrocessione che hanno dimostrato di meritare e questa è una macchia che non andrà via. |
sms uno spettatore dalla Tribuna Tevere: "Un po' troppi 75 euro per un biscotto". Il migliore in campo: la cornacchia sul prato dell'Olimpico. Almeno ha passeggiato. La scena più brutta: Cassano che bisbiglia con Liverani coprendosi la bocca con una mano. Fingeva di pulirsi il naso, Antonio, poi ha chiamato De Rossi e gli ha detto qualcosa continuando a nettarsi le narici per evitare di far capire il labiale. Intorno tutti erano fermi. Erano fermi da parecchio se è per questo. E così sono rimasti fino alla fine. Palese l'imbarazzo di Bruno Conti quando gli hanno mostrato le immagini in tv: "Antonio parla così". Dispiace per Brunetto nostro che solo sabato aveva giurato di non voler sentir parlare di un pareggio apparecchiato. Se è per questo, dobbiamo dire che è stato apparecchiato pure male. Coi piatti di carta. Parlava da romanista, sabato, Bruno Conti, sapeva benissimo che questa non era solo uno spareggio salvezza (ci sono ancora due partite per raggiungerla, per fortuna) ma soprattutto l'ultima occasione di questi giocatori per riscattarsi agli occhi dei tifosi dopo una stagione orribile. Una squadra di campioni, che finisce in fondo alla classifica perdendo tutte le partite che contano e soprattutto la doppia sfida con la Juve e il derby della Befana. Questa era l'ultima occasione per darci una gioia, un motivo per festeggiare, una giornata da ricordare. Mica penserete che andremo in giro per la città con i clacson spiegati e le bandiere al vento se ci salveremo all'ultima giornata col Chievo? O forse sì, lo faremo, il 29 maggio magari lo faremo. Il cuore dei romanisti non ha limiti. MA NON è questo il punto. Il punto è che questa è una squadra senza grinta, né orgoglio, né ardore. Non chiedevamo la luna, ieri, ci bastava una partita vera. Il pareggio andava anche bene, lo avevamo scritto. Ma non così. Mi chiedo: c'era bisogno di andare quattro giorni in ritiro per offrire uno spettacolo simile? Se il campionato durasse ancora un mese finiremmo dritti in B. Pazzesco, visti gli ingaggi dei nostri campioni. Ma a Villa Pacelli sono tranquilli: quelli che una settimana fa dicevano che oramai siamo salvi e che dovevamo pensare alla Coppa Italia, oggi ti consolano dicendo che con altri due pareggini ce la facciamo, forse. La verità è che il calcolo della quota salvezza, con dieci squadre in ballo e due giornate da disputare, è così complesso che l'unica ricetta possibile è quella ribadita ieri da Zeman: giochiamocele tutte e poi facciamo i conti. A proposito, il suo Lecce in dieci ha pareggiato col Milan, levandogli lo scudetto. Complimenti. E complimenti a Chievo e Brescia, che hanno vinto fuori casa dove tutti li davano spacciati. E complimenti all'Atalanta che è da gennaio che dovrebbe rassegnarsi alla serie B ma ancora non lo fa. Sono le imprese di queste piccole squadre che tutti vorrebbero vedere retrocesse perché non servono alla serie A, che hanno trasformato in una beffa il misero accordo fra Roma e Lazio per non farsi male. Mi spiego, io non credo che Rosella Sensi e Claudio Lotito si siano incontrati da un notaio in settimana e abbiano firmato per il pareggio. Non ci credo affatto. Credo che piuttosto che i nostri giocatori non abbiano più niente da dare. Né come gambe né come testa. Per loro il derby di Roma non significa nulla: e quindi benvenga la manfrina. Il problema è che prima del derby eravamo a quattro punti dalla retrocessione, ora a tre. Bel capolavoro. Un consigliere della Famiglia Sensi mi dice: "Non c'è scandalo, lo fanno tutti e questa Roma nelle condizioni in cui si trova non ha alternative". Veramente una alternativa c'era e l'avevamo anche segnalata una settimana fa: risparmiare le poche energie rimaste mercoledì con l'Udinese per giocarci tutto ieri con la Lazio. Ma la società è allo sbando e mentre da un lato ti dice che si rischia la retrocessione perchè la squadra è defunta dall'altro continua a inseguire la speranza di entrare in Europa attraverso la finale di Coppa Italia. E giovedì l'errore rischia di ripetersi: per favore, a tre giorni dalla sfida di Bergamo con l'Atalanta, risparmiamo qualche titolare e al diavolo la semifinale di Coppa Italia. Purtroppo in questo momento definire la società in affanno equivale ad essere ottimisti. Del Grande Progetto si sono perse le tracce. Rosella Sensi è sparita dalla scena, eccezion fatta per un roboante comunicato con il quale ha provato tardivamente a mettere tutti in riga. Mentre Daniele Pradé si danna per mettere pezze su tutto, negare che Cassano lo abbia aggredito negli spogliatoi mercoledì quando è stato annunciato il ritiro, e smentisce la visita di Alessandro Moggi a Trigoria mentre i cancelli erano sbarrati a tutti. Intendiamoci, è ammirevole Pradè, come lo è Conti che qualche giorno fa negli spogliatoi ha messo in riga il solito senatore che lo criticava dicendogli: quando parli di calcio con me abbassa la testa. Sono ammirevoli tutti quelli che cercano disperatamente di salvare la Roma. A cominciare dai tifosi che aspettano pazienti una resurrezione. La barca affonda e non c'è tempo per litigare. |
Il festival del retropassaggio: l’Olimpico alla fine insorge I cori più gentili rivolti dal pubblico ai signori calciatori sono «buffoni buffoni», «cialtroni cialtroni» e anche «ci avete rotto li co...», gemellando così, negli accidenti inviati all’unisono ai propri beniamini, due tifoserie storicamente rivali. Molto stranamente, dunque, la partita tra quelli che dovevano «sfondare» gli altri per vendicare il derby dell’andata, e quelli che dovevano mandare i nemici in serie B, finisce zero a zero. Nello squallore più assoluto. E’ stato il festival dell’orrore, novantaquattro minuti di tristezze tra stop di stinco, cross a vanvera, rinvii in tribuna, lisci, svarioni e calci d’angolo battuti direttamente in curva Nord, più grandi bevute d’acqua e misteriose confabulate a centrocampo. Oltre naturalmente a millemila passaggi indietro. E quindi la vera impresa è stata quella dell’arbitro Collina, capace di ammonire la bellezza di sei giocatori in una partita che sembrava la finale del torneo di calcetto femminile tra le squadre del Beato Sacramento della Misericordia e quella del Sacro Cuore del Buoncammino. A Curci, guardiano della porta giallorossa, mancavano solo i Ray-Ban e la crema abbronzante tanto che è uscito dal campo con i guanti bianchi immacolati (domanda: se la sarà fatta la doccia?); mentre il suo dirimpettaio Peruzzi ha toccato una sola palla dopo 28 secondi, quella sul tiro di Mancini, capace di divorarsi un gol che avrebbe segnato anche sua zia dalla casa di Belo Horizonte, in Brasile. Già: per 28 secondi è sembrato un derby vero, poi al silenzio stampa i nostri eroi hanno aggiunto anche il silenzio di gioco. Il tiro più pericoloso di Montella è stato 27’ del secondo tempo quando ha scaraventato il pallone in tribuna Tevere per consentire l’ingresso in campo al medico della Lazio che doveva soccorrere un giocatore infortunato; mentre Cassano ha trotterellato tutta la ripresa all’ombra della Monte Mario, e lì restando al fresco, come se al posto della striscia di gesso che delimitava l’area di rigore della Lazio ci fosse un insormontabile filo spinato. Fosse stato un match di boxe, l’arbitro avrebbe sospeso il match per «no decision», in gergo sospensione della borsa e incontro nullo per scarsa combattività dei pugili. Ma era solo il derby, e questo resterà. Un reality come quelli che si vedono in televisione. Meglio un cuscino o un materasso? Abbioccati dallo scirocco, e persi nell’immensità di questo interrogativo, in tribuna s’è visto di tutto, sbadigli, dormiveglia, sonni totali, vip stramazzati sui tavolini, bibitoni di caffè, per poi scuotersi e risvegliarsi improvvisamente di nuovo ulcerati nella fede. A un certo punto Bruno Conti per tenere allegro lo stadio ha inserito Matteo Ferrari, uno sempre spassoso, che infatti, sistamatosi come vicino d’ombrellone di Mexes, ha immediatamente sciorinato il suo repertorio migliore, un paio di lisci e un fantastico stop a inseguire; ma poi è tornata la noia e il pubblico ha ripreso a fischiare. Sugli striscioni da stadio di qua e di là c’erano simboli di guerrieri, gladiatori, lottatori, spade, scudi, elmi, frecce, addirittura indiani, ma nessuno ha avuto il coraggio di provare a schiodarsi dallo zero a zero. Bene così, l’importante era muovere la classifica. Forse proprio per questo in campo non si è mosso nessuno. In panchina sì, eccome se si sono mossi. Papadupolo sembrava tarantolato, come se il vigile di piazza Venezia fischiasse e spalettasse in una piazza senza macchine. Alla stessa maniera di Conti, agitato più del solito, anche se ora rischia di passare alla storia come l’unico allenatore di serie A incapace di vincere una partita. Vedremo. In realtà, in tempi recenti, avevamo già visto una partita così, la sublime Danimarca-Svezia un anno fa agli Europei portoghesi terminata con un fantastico 2 a 2 che mandò a casa la Nazionale di Trapattoni. Quello sì fu un biscotto ben confezionato, roba da pasticceria fine, con pareggio in mischia a tre minuti dalla fine. Ma lì c’erano dietro una regina e un re; questo invece era solo un Roma-Lazio per evitare la retrocessione. Non si poteva andare troppo per il sottile. |
GOALCITY
adesso tutti al mare Ragazzi che trascorrono settimane disegnando magnifiche coreografie. Una citta' in fibrillazione. Gente in fila per trovare i biglietti. C'e' addirittura chi senza ansiolitici non puo' andare allo stadio. E tutto per una stramaledetta partita. Da ieri stramaledetta e finta. Finta come tutte le altre. Esattamente come le partite delle squadre che a fine campionato si spostano quando arrivano le potenti a strisce. Finta come i pareggi annunciati che poi casualmente si avverano. Una gara speciale - fino a domenica alle ore 14:59 - anche tra due squadre a 40 e 41 punti. Per noi il derby e' l'Evento. Si inizia a vivere da quando, in estate, escono i calendari. Data segnata con una croce sul calendario e nessuno si azzardi a sposarsi o battezzare il figlio proprio quella domenica. Saremo infantili, stupidi, anacronistici, ma siamo fatti cosi' e pretendiamo rispetto. Se qualcuno ancora conosce questa parola. Da ieri questo derby non esiste piu': ventidue pavidi lo hanno svuotato. Ventidue, perche' Peruzzi la pagnotta se l'e' guadagnata e Curci, poverino, che c'entra? Ventidue, perche' un tecnico che davanti a siffatto scempio non adopera neanche un cambio (salvo poi dare la colpa al caldo) non merita una riga di commento. A proposito: chi pensa di rappresentare un popolo e non si presenta neanche in tribuna dovrebbe restituire la fascia di capitano prima delle nozze. E all'operazione ha contribuito anche il prefetto Serra impedendo l'ingresso degli striscioni goliardici, da sempre il sale, anema e core, del derby romano. Pasquino fa parte della storia dell'Urbe. Volete veramente portare avanti il progetto tolleranza zero? Iniziate ad aprire un inchiesta su Roma-Lazio e sugli altri risultati annunciati. L'acchitto di domenica pomeriggio, pero', un merito ce l'ha avuto: segnare definitivamente la superiorita' umana di chi il calcio lo vive in curva. E' meglio perdere un derby lottando fino alla fine che mendicare un punto miserabile in modo esecrando. Concetto ripetuto per un'intera settimana. Niente. I signorini non hanno la necessaria materia celebrale neanche per recepire messaggi cosi' banali. E dov'e' il tanto decantato spirito sportivo? Sugli spalti, nelle curve - a dispetto delle menate che va dicendo chi non conosce certe realta' - questo spirito e' ancora vivo, palpita. Non altrettanto si puo' dire per i sedicenti protagonisti della domenica. Per non parlare di chi giustifica certi spettacoli in nome di un "e' sempre successo" che altro non fa che smascherare il retroterra culturalmente mafioso di una certa scuola di pensiero. Italiani brava gente. Proprio brava. Addio vecchia sfera di cuoio e buon mondiale su Sky a tutti i telespettatori. |