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ROMA - LAZIO 2-0 Roma, Stadio Olimpico 27 ottobre 2001 ore 20:30 invia una e-mail per i resoconti |
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IL COVVIEVE DELLA SEVA
Lacrimogeni
in curva
Nord, coreografie annullate per protesta, le due tifoserie
solidali. I
romanisti ricordano Paparelli
Paura
all’Olimpico,
ultrà uniti contro la polizia
Prima e dopo il
derby
forze dell’ordine colpite da molotov e sassi. L’obiettivo
è la legge
antiviolenza
Pietro Pinelli
La rabbia degli Irriducibili
ROMA - Totti e
Nesta
non sono neppure arrivati negli spogliatoi, dove la boccetta
dell'olio
canforato giace ancora sigillata, ma il derby già vive
i suoi drammi.
Non è in palio lo scudetto, nessuno cita le campagne
d'Europa. Piuttosto,
a un'ora dalla partita, l'odore dei lacrimogeni sparati in
Curva Nord ricorda
che questa è una sera di guerra e pace, con gli oltre
duecento Paesi
collegati via tv ansiosi di vedere immagini diverse da quelle
che ci propinano
Al Jazeera e Cnn: attorno all'Olimpico si riunisce il mondo
che sogna la
spensieratezza di prima dell'11 settembre, che ha voglia di
celiare su
minutaglie di sport e campanile, ma che non può fare a
meno di ignorare
che, da un mese a questa parte, le cose non sono più
come prima.
Così, ed
è
uno scenario inedito, quando la polizia si inoltra sotto la
tana biancoceleste,
e dopo il blitz del pomeriggio davanti allo Stadio, nasce
spontaneamente
un'alleanza più improbabile di quella tra Usa e Iran.
Dalla Sud
inveiscono contro gli agenti, tolgono dalla pista d'atletica
lo scudettone
con il numero tre e lasciano esposto solo uno striscione,
quello che da
dopo Bologna-Roma dello scorso campionato chiede "giustizia
per Alessandro",
picchiato fin quasi alla tragedia sulle tribune del Dall'Ara.
La Repubblica
del Tifo accomuna per qualche decina di minuti le due sponde
capitoline:
è un patto provvisorio, certo, e al fischio d'inizio
nemici come
prima. Ma è un momento da segnare sul taccuino,
22-anni-meno-un-giorno
dalla morte di Paparelli, per quel razzo che non era un
Cruise, ma stroncò
una vita, sprofondò nel dolore una famiglia,
inaugurò la
stagione dell'orrore tra gli appassionati di calcio. Oggi che
l'umanità
è appesa a un filo Roma e Lazio scoprono inattese,
sotterranee complicità.
Riconfermate anche all'intervallo, quando la Sud propone un
"la morte non
ha colore, in ricordo di De Falchi, Paparelli e tutti gli
altri", accolto
dagli applausi dei dirimpettai. Poi, naturalmente, ognuno a
pensare ai
propri guai.
Ferilleide
Sotto la Sud si
formano
crocicchi improvvisati, nuclei di inconsolabili, grumi di
sbandati. E'
in discussione la virtù della Lupa Nutrice, e gli
argomenti usati
sono Fede, Verità, Coerenza, Sincerità. Tiene
banco un tracagnotto
con uno zucchetto da fruttivendolo, la voce inevitabilmente
roca, le braccia
mulinanti nella sera. Gli altri, variamente abbigliati, lo
ascoltano con
attenzione e annuiscono. «Va perdonata - strilla
l'oratore - perché
era 'na regazzina, nun ciaveva l'età della raggione, e
semmai la
dovemo eloggià». Gli astanti lo guardano
interrogativi. «Che
je conveniva - spiega - atteggiasse a madrina della Roma
quanno la Lazzio
annava mejo? Ndò sta l'opportunismo?» Uno tutto
secco e allampanato
prova a contestarlo: «Ennò, cià na macchia
sulla coscienza:
si je batteva er core pè Signori nun è pulita,
dico bbene???»
E si gira cercando consensi. Un terzo, uno scheletro
infagottato, cerca
di rafforzare il concetto: «Magari è pè
questo che
nun sè spojata der tutto, ar Circo Massimo: pè
nisconne er
tatuaggio dell'aquila dove nun batte er sole!!!».
Risate, applausi,
come a esorcizzare una ferita, uno squarcio nel petto che non
sarà
come quello sulle maglie dei laziali, però fa male.
Prova a rimediare,
quasi pentito, il solito fruttivendolo. «Vabbè,
comunque tiramo
avanti. Diciamo che all'epoca Sabrina nun era ancora fidanzata
con noi,
mica potemo esse gelosi de quello che era prima, no?».
Sollevazione
popolare: tutti, all'unisono, gli danno addosso:
«Perché,
si tu moje te confessa che è annata da regazzina cor
tuo peggior
nemico, tu stai serafico?».
L'altro incassa.
«Io
capisco se avesse detto: ero della Fiorentina, der Perugia, me
spingo fino
ar Milan! - martella impietoso un nuovo arrivato - ma la
Lazio, la Lazio,
dico!!!» Il tracagnotto è distrutto: soffia a
mezza voce concetti
incomprensibili, fino a un più chiaro «ma lei
ciaveva anche
ragioni geografiche». E qui, finalmente, il deus ex
machina: per
dirimere la questione spunta un professorotto con scoppola e
burberry,
che alza un dito e ottiene silenzio: «E no, cari miei -
chiosa forbito
- qui non c'entra la geografia, ma la storia. Premesso che per
me Fiano
è Roma, con questo scherzetto sulla Ferilli i laziali
hanno inteso
vendicarsi di quello che loro considerano ancora, a
duemilaottocento anni
di distanza, un torto incancellabile». I nasi dei
presenti si protendono
verso l'erudito, come a dire: spiega.
«Vedete,
cari
miei, quando Romolo volle popolare l'Urbe appena fondata,
sapete cosa fece?
Andò dai Sabini, un popolo neppure troppo sanguinario
che abitava
nell'hinterland e fece rapire tutte le donne, che così
mescolarono
il loro sangue a quello romano: un'astuzia politica, se
vogliamo, perché
in questo modo il re dei Sabini, Tito Tazio, fu costretto a
venire a patti
con Romolo». Dalla platea si alza un sontuoso
«aaahhh»
di soddisfazione: non tutti sono certi di aver capito,
finché non
giunge la sintesi dell'allampanato: «Je avevamo fregato
le ragazze,
no?». Il professore conferma: «Proprio
così. I laziali
hanno voluto rifarsi con quello che potremmo definire il Ratto
della Sabrina!».
Il caso è
risolto,
la sventurata è riaccolta nella domus curvarola. La
Ferillona è
fra gli ultras, mezzo nascosta sotto un cappellino bianco,
agita la sciarpa
prediletta, dalla Nord la insolentiscono.
Parole e musica
Rinviato
giocoforza
il derby delle coreografie, restano gli epiteti: il tono
è soft,
la volgarità è bandita. La Sud manda ai cugini
le sue e-mail
di stoffa: "Il vostro inno dice la verità, 1000
bandiere fate sventolà,
e ve fermate là". Oppure: "Ciao frustrati". E ancora:
"E non v'è
quartiere che non mandi le sue schiere, che non innalzi le
bandiere della
Roma tricolore". All'annuncio delle formazioni, tutto lo
stadio eleva un
hurrah da psicoanalisi per Paolo Negro, l'autogoleador di un
anno fa, poi
spunta un perfido "sete come le Polo: er buco co' le maje
intorno".
Naturalmente,
l'incubo
dei biancocelesti si materializza, formato maxi, in Curva Sud:
e mentre
viene srotolato lo stemmone giallorosso, con triplice foro sul
richiamo
laziale, si alza il canto di "State a rosicà", sulla
stessa melodia
cara agli avversari: quel "Non mollare mai" composto, anni
addietro, (e
con altro testo) da Michael Jackson. Scelta curiosa, quella
dei biancocelesti:
un hit, neppure nuovo, della black music. Proprio loro che
sono stati tacciati
di razzismo: ma Jackson, in fondo, è un nero sbiancato.
Fantasmi buoni e
cattivi
Sul catino
dell'Olimpico
aleggiano spettri di ogni sorta: quelli laziali ciondolano tra
Manchester
e Torino. In campo c'è però Stam, con quella sua
faccia oltre
la legge: non da ladruncolo, piuttosto uno di quei geni in
calzamaglia
che si fregano il Topkapi senza far suonare l'allarme.
Dall'altra parte
si contano assenze nobili e meno: nessuno regala un pensiero a
Montella,
costretto in hangar per chissà quanto. Sic transit
gloria mundi.
E che dire dei pamperos invisibili, quei Cejas e Cufrè
sottratti
alle certezze dell'emisfero australe per immalinconirsi in
Europa, tra
alberghi e tribune? Per il difensore argentino c'è pure
la riscrittura
beffarda del pseudo-inno vendittiano: "Che c'è? Sognavo
Cannavaro
e c'ho Cufrè", ironizzavano nei giorni scorsi proprio
quelli della
Sud. E così si torna all'innocenza perduta, a quel
Circo Massimo
che sigilla e contiene un'epoca che non c'è più.
Pensare
a una festa da un milione di persone sembra impossibile, in
questo Olimpico
che è una delle strutture che il "piano Augustus"
assicura di proteggere
in caso di attacco terroristico. Qui, in questa serata dove il
rombo di
un aereo pubblicitario farebbe tremare tutti.
Nella gioia di un
due a zero inappellabile, senti sottopelle questa angoscia che
al Circo
Massimo nessuno avvertiva: sembra un secolo fa, quando
Antonello azzardò
il playback nel megaconcerto, e si poteva discettare sui
litigi tra Sensi
e Capello, tra lo stesso Venditti e Totti, e via così.
Quella sera,
alla festa dello scudetto giallorosso, era presente un tifoso
di nome Carlo
Giuliani, che poi sarebbe morto negli scontri del G8, a
Genova. Per quel
summit un tale di nome Osama Bin Laden progettò un
attentato aereo.
Fu sventato, e tutti tirarono un sospiro di sollievo.
Ricominciò
il campionato, e presto i romanisti si concentrarono sul
debutto in Champions
League, previsto per l'11 settembre. Alla vigilia, i giornali
titolarono:
"Sarà una notte indimenticabile". Accadeva un mondo fa,
prima di
questo derby di guerra e pace.
«Per
una vita migliore
la
Roma col tricolore»
che Giovanni,
lupo
diciottenne, ha scelto per la maglietta del giorno, lettere
gialle e rosse
sfondo blu notte: ne crea una nuova ad ogni partita,
figuriamoci per il
derby. Sul fronte opposto, avvistata supporter over 60 con
aquila di plastica
di oltre 500 grammi in cima al cappellino.
Aspettando lo
sfarzo
e la creatività delle curve, a due ore dal via, il
cielo sopra Kabul
appare, per contrasto, ancora più orrifico e
incombente. Inquina,
con diritto, il gusto dell’evento di sport, simbolico, antico,
estetico
al di là dei miliardi, nel suo tempo circoscritto e
fermo che vede
in gioco 22 gladiatori a caccia di se stessi. La sera scende
in fretta.
Domani — pensi — con l’ora legale, se ne andrà l’idea
di luce che
ha pervaso una troppo lunga estate, il brusio degli spalti si
ferma allora
per un attimo, e i tifosi si trasformano in folla di fantasmi
saccenti.
Ci si sente scolari della Classe morta di Tadeusz Kantor. Ma
è solo
un episodio. Quando entra in pista, su ruote, lo scudetto
tricolore gigante
che i lupi hanno preparato, facendolo attraversare da una
sciarpa giallorossa,
e la Sud inalbera lo striscione «Se Lima...gnamo»,
l’orizzonte
colpevolmente si spiana, perde le rughe. Che derby sia.
«Laziale,
va
pe’ castagne». Il cartello sbuca a un certo punto, retto
da anonima
mano iconoclasta, nel marasma della Sud. Dall’altra parte, il
popolo biancazzurro
attende, campione di appena ieri pungolato dal campione di
oggi. Che Sabrina
Ferilli intervenga (o meno) alla gran cerimonia, non interessa
francamente
nessuno. Del resto, la madrina della Roma l’ha detto da
sé, chiaro
e tondo, con la consueta freschezza: «La Roma è
la Roma anche
senza la Ferilli». Dominante, massiccio, ruggente come
un rombo dell’Etna,
il «Siamo noi, siamo noi» dei lupi autocelebranti.
Ci vorrebbe
un pontifex maximus. All’improvviso, rischiarate da bengala,
strane marette
fanno il vuoto al centro della Nord: fumo, fuggi fuggi. Dio
del calcio,
tieni lontana dal derby la stupidità, di qualsiasi
colore essa sia.
I pompieri ghiacciano da par loro i bollenti spiriti con
sventagliate di
getti d’acqua. «Al di là dei colori — giura uno
striscione
romantico, dalla Sud — vale ti amo». Esorcismi, a
parziale risarcimento
dell’inconscia austerità, comunque evidente, che ha
innervato i
preliminari. E non solo.
«Col bruco
giallorosso
sei boro fino all’osso»: trovata di parte laziale delle
ore 20, un
po’ criptica, ma pur sempre in rima. Segue, fulminante:
«Totti pallone
boro»: fanno male ad inquietarsi i lupi, il capitano ha
acquisito
sense of humour, si sarebbe divertito anche lui. Replica
giallorossa in
Monte Mario: «Er tanfo der porcello ve richiama ar
paesello».
Bucolica. E ancora, in Sud, a caratteri cubitali:
«Eccomi».
Shakespeariana. Segna e sorregge la presenza della "Sabrina
madrina" finalmente
giunta, e piazzata, per ribadire la propria fede nel pieno
della lava giallorossa.
«Siete come le polo, per buco co’ la maglia
’ntorno», perfeziona
un creativo a un quarto d’ora dal fischio di inizio.
Sfottò vecchia
maniera, come auspicava, alla vigilia, il presidente laziale
Cragnotti.
Che peccato, a
dieci
dall’inizio, la notizia-bomba: curva Nord senza fantasmagorie
per protesta
contro le perquisizioni e l’arresto "patiti", nelle loro sedi,
dagli Irriducibili
biancocelesti. Il materiale preparato sarà messo in
mostra durante
Lazio-Brescia. «Ciao, frustrati», innalza,
velenosa, la Sud.
E gli altri: «Il tricolore non cancella l’odore».
Tutto da
inserire in un manuale di lirica demenziale metropolitana.
Infine, apoteosi
giallorossa: inno, colate di bandierine con i colori sociali,
lenzuolone
oceanico a centro curva, svolto piano piano, con arte, per
mostrare staticamente
date e simboli dell’orgoglio.
Quanto teatro,
allo
stadio? Scenograficamente, non è stato un catino di
gloria. I tempi
non l’avrebbero nemmeno autorizzato. Cuore e voce, quelli
sì, hanno
ballato sulla scena. Mentre i toreri, nell’arena verde,
facevano la loro
parte. Il resto è Roma, è Totti, stirpe di
drago.
GIOVANNA VITALE
Scontri e
cariche della
polizia; coltelli, bottiglie e striscioni sequestrati. Il
bilancio del
derby, al netto dei gol, conta tre arresti, cinque denunce, un
blindato
dei carabinieri e una macchina della polizia distrutti.
Neppure l'appello
congiunto dei capitani di Roma e Lazio ha dunque fermato la
furia degli
ultrà. È bastato che, un'ora dopo l'apertura dei
cancelli,
si diffondesse la notizia delle perquisizioni della Digos a
casa di alcuni
supporter, perché sotto la Nord si scatenasse la
bagarre. Sono da
poco passate le sei. Una sassaiola parte dagli spalti:
l'obiettivo è
il cordone di carabinieri che fa da filtro all'interno dello
stadio. È
il segnale per dare battaglia anche all'esterno: sassi e
bottiglie cominciano
a piovere sulla polizia che presidia l'ingresso della Curva
biancazzurra.
È un attacco concentrico, su due fronti. Esplodono i
lacrimogeni,
le siepi di bosso prendono fuoco. L'asfalto si trasforma in un
prato di
cocci. Nel fuggifuggi generale qualcuno cade, i motorini
vengono travolti,
i genitori fanno da scudo ai figli. Le forze dell'ordine
caricano.
Torna la calma,
ma
dura poco. Mezz'ora e la scena si ripete, più violenta
di prima.
Arrivano i rinforzi, chi è già entrato viene
rimandato sulle
gradinate, fuori la fila tenta di riorganizzarsi. Ma ormai
quella che tutti
si auguravano fosse la festa dello sport è
irrimediabilmente rovinata.
Eppure era iniziata davvero come una festa: i bagarini a
vendere i biglietti
davanti a pattuglie di vigili preoccupati solo di controllare
il traffico,
tutt'intorno stuoli di tifosi festanti. Fino alla Curva Nord,
all'esplosione
della rabbia ultrà, alla reazione delle forze
dell'ordine. Reazione
subito bollata dagli Irriducibili come «una retata
gratuita e immotivata»,
talmente «provocatoria» da indurli a non
presentare più
la coreografia preparata apposta per il derby.
Per 90 minuti
trionfano
i cori. Poi, sotto la Nord, si riaffaccia la guerriglia: tre
ragazzi vengono
arrestati, mentre i lacrimogeni offuscano la notte
dell'Olimpico. Ma per
i giallorossi è già festa. Le strade di Roma
rimbombano di
clacson e caroselli: "Siamo noi, siamo noi, i campioni
dell'Italia siamo
noi".
VAI A: GO TO: