Domenica 11 gennaio 2015 è stato per me un
giorno da ricordare.
Ho portato mio figlio Valerio, di soli 6 anni, al suo
primo derby.
Ricordo quando mi ci portò mio padre, più o meno alla
stessa età, ed ho vivido il ricordo dei tifosi
romanisti che facevano il giro del campo con undici
polli con le magliette della Lazio. Il coro dell’epoca
era “Aquile, coccodè”, cui i biancocelesti
(biancocelesti, non biancazzurri, men che meno il più
nobile bianco blu) rispondevano con “lupi bee bee”.
Ambiente diverso, anche se – oggi come allora – i
romanisti erano molti di più dei laziali, che per lo
meno all’epoca non lasciavano vuoti in quella che
dall’11 marzo 1973 è divenuta la loro curva.
Tanti buffetti sulle guance da parte dei ragazzi che
gli stavano intorno e si mette subito a suo agio
perché “qui è bello perché si può strillare” e
quindi – come intuibile - grida “cacchette”
agli avversari che sono sulla sua destra: ogni età ha
la sua parola.
Legenda per gli
analfabeti:
F = Figlio
P = Papà
F.: “Papà, chi sono quelle immagini?”
P: “Sai caro, quelli sono figli di Roma, capitani e
bandiere. I figli di Roma sono quelli che
rappresentano la romanità e sono nati a Roma, i
capitani sono i condottieri della nostra squadra, non
importa dove siano nati e le bandiere… beh, le
bandiere sono quelli che hanno rappresentato nel modo
più degno la nostra Roma, a prescindere dal luogo di
nascita. Non è difficile”.
F: “Ho capito papà, in effetti non ci vuole molto a
capirlo. Mi puoi spiegare chi sono?”
P: “Con piacere piccolo. Sai, il primo è Mario DE
MICHELI. Se qualche agreste legge Wikipedia, troverà
che si trattava di un terzino di livello medio basso,
dimenticando però che, sempre secondo quel portale,
aveva un elevato agonismo e a noi romanisti non
importa la tecnica ma la tenacia. Una volta, in un
derby, picchiò Giorgio Vaccaro (nomen omen),
nato a San Marzanotto d’Asti e che ringrazieremo
sempre per aver lasciato che la Lazio fosse UNA
squadra di Roma e non LA squadra di Roma, mantenendo i
colori della Grecia e il nome regionale. “De
Micheli scrucchia che ‘n piacere”, giocava con
la Roma di Testaccio ed è nato a Roma: è un figlio di
Roma”.
F: “Papà, la Lazio ha mai avuto un De Micheli?”
P: “No piccolo, per fortuna la Lazio aveva Vaccaro”.
F: “E poi?”
P: “E poi abbiamo Giorgio CARPI. Vedi, è nato a
Verona, il cui nome latino sempre Verona era. Pur
senza divenire titolare in alcun campionato, indossò
la maglia giallorossa per nove stagioni, senza mai
aver chiesto alcun compenso per l’onore di indossarla,
nonostante lavorasse in Borsa. Sai, chi lavora in
Borsa spesso vuole sempre più soldi, per Carpi i soldi
erano secondari. Un esempio di purezza assoluto, di
esempio a giocatori e, soprattutto, ai tifosi”.
F: “Papà, la Lazio ha mai avuto un Giorgio Carpi?”
P: “No figliolo, la Lazio non lo ha mai avuto”.
F: “Chi è quel giocatore lì?”
P: “E’ Giuliano TACCOLA. Sai, è morto a Cagliari prima
di una partita, e i laziali scrivevano sui muri
dell’Olimpico “Romanista attento, Taccola è solo
l’inizio”. Ai suo funerali c’erano 50mila Romani
e la sua morte destò grande impressione. Lo ricordiamo
perché la Roma fu la sua prima grande squadra, ma fu
stroncato troppo presto da un infarto. Sai, avremmo
potuto ricordare anche Mario Forlivesi, Romano de’
Roma morto a diciotto anni il 29 marzo 1945 dopo aver
segnato 8 gol in 7 partite, ma molti non avrebbero
capito, figuriamoci i laziali. Lo abbiamo voluto
degnamente ricordare”.
F: “Prosegui papà”
P: “Beh, c’è Giuseppe GIANNINI. Sai, i laziali dicono
che è nato a Frattocchie, che comunque per loro
dovrebbe essere Roma centro. In realtà nasce a Roma,
nel quartiere Africano. E’ quindi un figlio di Roma ed
anche capitano. Una di quelle figure che altri non
hanno mai avuto e che, se temporaneamente comparse, se
ne sono andate al Milan per trenta denari, giocando
più lì che nella Capitale. Pensa, nella Roma ha
giocato 318 partite e fatto 49 gol e la folla alla sua
partita di addio ha invaso il campo spaccando tutto.
Sai, il romanista è pur sempre un po’ teppista”.
F: “Quello mi sembra più vecchio!”
P: “Beh, sì. Si tratta di Fulvio BERNARDINI, nato a
Roma. Inizialmente giocò con la Lazio solo perché
trovò il cancello della Fortitudo chiuso. Poi però
divenne il capitano della Roma di Testaccio in cui
giocò per ben più stagioni e in tutte le interviste
rilasciate non parlò più dei biancocelesti ma solo
della Roma testaccina, per cui viene ricordato.
Il mazzo di fiori, quando morì, era giallorosso. E’
stato un capitano, della Roma”.
F: “Anche lui mi sembra antico…”
P: “Hai ragione. E’ Attilio FERRARIS IV, pure nato a
Roma e suo capitano per diversi anni. Solo sul finire
della carriera andò a svernare per un paio di stagioni
in una squadra minore, ma poi tornò nuovamente alla
Roma. Cedette il suo posto di capitano a Bernardini ed
è ricordato per lo slogan che, mani sul pallone,
recitava con i compagni di squadra giallorossi: “Dalla
lotta chi desiste fa una fine molto triste, chi
desiste dalla lotta è ‘n gran fijo de ‘na mignotta”
.
E’ stato un capitano, della Roma”.
F: “E Amadei?”
P: “Amedeo AMADEI è pure una bandiera della Roma e lo
striscione che leggi parla di “figli di Roma, capitani
e bandiere”. Una bandiera può essere nata a Frascati
come a Genova, a Milano come a Trapani: una bandiera
non ha città né nazionalità perché con tale termine si
definisce colui che ha degnamente rappresentato la
propria squadra e Amadei ha più che degnamente
rappresentato la Roma”.
F: “E quel piccoletto?”
P: “Giacomo LOSI, Core de’ Roma. Sai Valerio, i
laziali diranno che è nato a Cremona, ma noi non lo
celebriamo come Romano, se non d’adozione, ma come
grandissimo capitano, quello che loro non hanno mai
avuto, non hanno e mai avranno. Difensore fortissimo,
non venne mai espulso e solo a fine carriera rimediò
una ammonizione. Una volta con la Sampdoria, benché
infortunato, non uscì dal campo e realizzò di testa il
gol della vittoria, divenendo a quel punto “Core de
Roma”, appellativo che non si lega al territorio ma a
ciò che si fa in campo per i propri colori”.
F: “Papà, ma la Lazio ha mai avuto uno come Losi?”
P: “Fammici pensare caro… no, proprio no. Non lo hanno
mai avuto”.
F: “Ma quello ha un nome straniero!”
P: “Sì! E’ “Sigghefrido”, alias Rodolfo VOLK, anche
detto “Sciabbolone”. “Io non penso, io tiro”,
il suo motto. Alto, aitante, biondo: quanto sarebbe
piaciuto ai lazialotti d’oggi, alle prese con ben
altre realtà!
Non è un figlio di Roma, non ne è stato capitano, ma
lo ricorderemo per aver segnato 103 gol in 157 partite
e, soprattutto, per aver rifilato agli aquilotti
praticamente una rete ad ogni derby”.
F: “Papà, ma quello mi pare di averlo visto in
televisione ieri!”
P: “Si, può darsi figliuolo, forse nelle immagini di
qualche coppa del mondo. Si tratta di Bruno CONTI,
nato sì in quel di Nettuno e quindi non Romano
purosangue ma che, nella coreografia, sta a
simboleggiare la bandiera che è stato. La coreografia,
infatti, oltre che dei figli di Roma, parla anche di
bandiere e Bruno Conti appartiene a queste ultime, a
differenza dell’altro Bruno di cui al noto slogan,
quest’ultimo senz’altro romano e che non smetteremo
mai di ringraziare insieme all’amico Lionello ed altri
gloriosi calciatori per aver causato la retrocessione
in Serie B della Lazio a seguito del calcio scommesse,
un vizietto che mai hanno perso e che, ciò nonostante,
gli fa considerare i soggetti coinvolti vere e proprie
bandiere”.
F: “Papà, ma i laziali hanno mai avuto uno come Bruno
Conti?”
P: “No caro, i laziali non lo hanno mai avuto, come
campione del mondo oggi acclamano un tedesco, non una
loro bandiera… Ti ripeto, non ne hanno mai avute e uno
di quelli che reputano tale era nato in Inghilterra ed
alla fine è scappato in America. Sono sempre stati
anglofili, anzi, scozzesi in terra inglese”.
F: “E che significa papà?”
P: “Non lo so figliolo, loro sono internazionali”.
F: “Papi, mi avevi detto che uno c’aveva il soprannome
di una moto…”
P: “E’ vero! Kawasaki. Francesco ROCCA giocava con il
numero 3 e quando si metteva sulla fascia era ben più
veloce di Gervinho. Lui è stato una bandiera della
Roma e dopo un gravissimo infortunio venne gratificato
dai biancocelesti con l’elegante striscione “Rocca
bavoso, i morti non resuscitano”. Rocca è un
altro “Core de’ Roma”, dopo Giacomino Losi.
F: “Papà, ma i laziali hanno mai avuto uno come
Francesco Rocca?”
P: “No caro, i laziali non lo hanno mai avuto, è per
questo che lo hanno insultato. Loro vivono in quanto
noi esistiamo”.
F: “Papà, perché ti commuovi?”
P: “Vedi figlio, quello è Agostino. Il cognome neanche
serve. I laziali facevano il coro “Ago Ago Ago
Agostino bum” dopo che lo stesso si suicidò con un
colpo di pistola il 30 maggio del 1994.
Lui appartiene alla categoria “capitani”, “figli di
Roma” e “bandiere” e sarà sempre IL capitano della
Roma, in qualunque epoca. Sai, chi non ha mai avuto la
gioia e l’orgoglio di avere giocatori simili si
attacca a piccolezze, come quando – ceduto al Milan –
litigò con Ciccio Graziani al suo ritorno
all’Olimpico. Sai caro, all’epoca anche io cantai quel
coro contro di lui, perché al tempo pensai, del tutto
erroneamente, che in quel momento lui non fosse la
Roma, quando invece proprio in quell’istante la sua
romanità e il suo romanismo si sublimò. Anche con
un’altra maglia, quel giorno era comunque il più
grande romanista in campo. Lo capimmo, tutti, poco
dopo e quel giorno lo rimproverammo per il troppo
amore, come quando un giorno litigherai con tua moglie
e poi ci farai pace. Senza che me lo chiedi: quegli
altri un giocatore così non lo hanno mai avuto, non lo
hanno, non lo potranno mai avere.
F: “Quello è un portiere papà?
P: “Si piccolo, è il portiere del primo scudetto,
Guido MASETTI: “Volk segna e Masetti non fa
segnare”, si cantava a Testaccio. Nacque a
Verona (anche prima di Cristo sempre Verona si
chiamava) e morì a Roma. Della squadra con i colori
capitolini fu bandiera e, pensa, in un'amichevole la
folla dei “popolari” costrinse l’arbitro a non
invertire il campo alla fine del primo tempo, perché
il pubblico ivi assiepato voleva continuare a vedere
le sue parate”.
F: “E gli altri hanno mai avuto un portiere così?”
P: “Sono sincero, caro. Non lo so, ma se lo hanno
avuto non lo sa nessuno”.
F: “E quello con la faccia tonda?”
P: “Giancarlo “Picchio” DE SISTI. Giocò più o meno lo
stesso numero di partite nella Roma e nella
Fiorentina, uniche due squadre in carriera. E’ un
figlio di Roma, tifoso della Roma”.
F: “Quello invece ancora gioca, è Daniele De Rossi, lo
riconosco!”
P: “Sì, quello è Daniele DE ROSSI, di Ostia, che
qualcuno volle come mare di Roma. Anche lui è un
giocatore che quelli che hai alla tua destra non hanno
mai avuto e mai potranno avere. Ha giocato sempre e
solo nella Roma, squadra di cui è tifoso. In una
coreografia entra il cuore e Daniele De Rossi è
semplicemente uno di noi, a prescindere dalle
prestazioni in campo”.
F: “Il capitano papà, lui è il capitano!”
P: “Sì, caro. Capitano è riduttivo, perché Francesco
Totti è la somma di tutto.
Romano, romanista, capitano, bandiera.
Il più grande calciatore che la Roma abbia mai avuto.
Non è conosciuto fuori dal raccordo anulare, però ieri
ho letto il Sydney Morning Herald e c’era lui in prima
pagina. Pensa che quegli altri avevano provato a
paragonarlo con tale Di Canio, che ha vestito dieci
maglie diverse in venti anni di carriera!
Vabbé, fantascienza a parte, gli rimprovero solo una
cosa: non avergli fatto il terzo gol, perché a quel
punto poteva tranquillamente andare sotto la Curva
Nord, levarsi la maglietta, i calzoncini, gli scarpini
e regalarglieli.
A loro, non a noi.
Ora hai capito la coreografia, piccolo?”
F: “Si papà, in effetti non ci vuole molto”.
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