Il Testaccio
è una collina artificiale con base
vagamente triangolare, posta sulla sponda
sinistra del Tevere, nella zona sud - est
di Roma. Alta circa 35 m, ha un perimetro
di 1490 m e una superficie complessiva che
si aggira intorno ai 2200 mq.
Si tratta di
un piccolo monte, ma un tempo era definito
il maggiore dei sette colli artificiali di
Roma: Augusto, Cenci,Citorio, Giordano,
Savelli, Secco.
Il
suo nome attuale deriva dall’etimo latino
"testa" che significa coccio: deve infatti
la sua origine allo scarico regolare dei
frammenti delle anfore rotte, per lo più
olearie. Da qui il nome popolare di Monte
dei Cocci.
Per i romani
del periodo di Cervantes, il Testaccio era
infatti una discarica ove erano state
buttate le anfore, che arrivavano a Roma
con vari prodotti pagati come tributo da
tutte le provincie dell'Impero Romano.
Questa
discarica, quindi, era considerata il
simbolo dell'orgoglio e del potere di Roma
antica.
Probabilmente
è proprio per questo motivo che il Monte
si è conservato nei secoli: monte che,
secondo la documentazione conosciuta, era
di proprietà del popolo romano che difese
strenuamente questa sua prerogativa fino
al punto di prevedere pene detentive per
chi asportava cocci dal Monte.
Le
tradizione popolare aveva ragione solo in
parte; certamente nel Testaccio si trovano
i contenitori che portavano i tributi a
Roma, ma sono quasi tutti provenienti da
un'unica provincia, la Betica, e portavano
prevalentemente un solo prodotto, l'olio
d'oliva.
Il Testaccio sino alla fine del secolo
scorso è
stato un punto di incontro per il popolo
romano; nel
medioevo vi
si tenevano feste di carnevale e per lungo
tempo, per la sua somiglianza con il
Calvario, si effettuarono delle vie
crucis, ricordate dalla croce che ancora
oggi rimane sulla sua cima.
Dal secolo sedicesimo in poi all'interno delle
sue pendici si costruirono cantine ove il
vino si conservava particolarmente fresco.
L'esistenza di queste cantine rinforzò il
carattere ludico del Monte e dei suoi
dintorni fino
alla
fine del secolo scorso quando cominciò
l’urbanizzazione della zona.
I prati di
Testaccio, 1870
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La
canzone
di Testaccio
Cor core
acceso de la passione
undici
atleti Roma chiamò
e sott'ar
sole der Cuppolone
'na bella
maja e du' colori je portò.
Li du'
colori de Roma nostra
oggi signora
der futtebbal,
non più
maestri né professori
mo' sò
dolori
perché
"Roma" ce sa fà.
C'è Masetti
ch'è primo portiere;
De Micheli
scrucchia ch'è 'n piacere;
poi c'è quer
torello de Bodini;
cor gran
Furvio Bernardini,
che dà scòla
all'argentini.
Poi c'è stà
Ferraris er mediano,
granne
nazionale e capitano;
Chini,
Fasanelli e Costantino,
cò Lombardi
e cò D'Aquino;
Vorche (Volk, n.d.r.) è 'n mago pe' segnà!
Campo
Testaccio
ciai tanta
gloria,
nessuna
squadra ce passerà.
Ogni
partita
è 'na
vittoria,
ogni romano
è n'bon tifoso e sà strillà.
Petti
d'acciaio, astuzia e core
corpi de
testa da fa 'ncantà.
Passaggi ar
volo co' precisione
e via er
pallone che la rete và a trovà.
Quanno che
'ncomincia la partita
ogni
tifosetta se fà ardita,
strilla
Forza Roma a tutto spiano
co' la
bandieretta 'n mano,
perchè cià
er core romano.
L'ala centra
e Vorche (Volk, n.d.r.) tira e
segna,
questo è er
gioco e "Roma" ve lo 'nsegna!
Cari
professori appatentati
sete belli e
liquidati
perché Roma
ce sa fà.
Semo
giallorossi e lo sapranno
tutti
l'avversari de st'artranno.
Fin che
Sacerdoti ce stà accanto
porteremo
sempre er vanto
Roma nostra
brillerà
Clicca qui sotto per
ascoltarla!
"La canzone
di Testaccio"
Ode al
Testaccio
Servizio del TG3
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