GIANFRANCO
Prima trasferta europea della stagione. Dopo la consueta
lotta per l’acquisto del biglietto, rispetto alla quale
dirò qualcosa alla fine di questo breve resoconto,
arrivo a Minsk lunedì nel tardo pomeriggio pochi minuti
prima del charter della squadra che sfila accanto alla
sessantina di tifosi in coda per il controllo passaporti
nella quasi indifferenza.
Il giorno della partita arrivo a Borisov dove
convergono tre pullman di tifosi, uno dell’UTR, uno
credo organizzato dall’agenzia di viaggi legata alla
ASRoma e uno da 25 posti su cui viaggiavano quanti si
erano affidati per le attività di visto all’agenzia di
viaggi autorizzata dallo Stato Bielorusso. In tutto
quindi poco più di un centinaio. Alcune decine si
sistemeranno in tribuna gli altri nel settore ospiti,
come avrete visto dalle immagini in TV.
Lo stadio del Bate si trova appena fuori della
cittadina di Borisov (a 70 km da Minsk) ed appare
dall’esterno quasi come un Palasport. Nessuna zona di
prefiltraggio, parcheggi praticamente a 10 mt dai
cancelli. L’ingresso avviene tranquillamente mentre
intorno i tifosi locali si dirigono presso i propri
settori. Biglietto strappato dallo Stewart e tornello
sbloccato. Perquisizione classica con “palpeggio” molto
accurata effettuata da agenti di polizia anche con
l’ausilio del metal detector, il tutto ripreso da una
piccola videocamera posta su un treppiedi al lato del
cancello. Non vengono chiesti ovviamente documenti ed è
consentito l’ingresso agli striscioni che poi avrete
visto esposti sulla vetrata ed agli stendardi. Per
consentire il posizionamento di striscioni e pezze
sulla vetrata viene permesso dal poliziotto che presidia
l’accesso di sicurezza dagli spalti al campo
l’ingresso sul terreno di due tifosi alla volta,
in un clima di totale tranquillità. Ovviamente nel
settore ospiti ognuno si sistema dove vuole, chi seduto
chi in piedi, mentre la prima fila sta in piedi sul
classico “muretto”. Sono presenti anche alcuni tifosi
romanisti, credo russi, che a sprezzo della temperatura
si presentano in calzoncini!
Unica ferrea regola quella di non fumare sugli
spalti (è comunque consentito nell’antistadio davanti al
piccolo chiosco lì presente) e la cosa mi sorprende un
po’ avendo notato invece, tipico dei paesi un po’ più
poveri, come per strada la quasi totalità delle persone
sia sempre con la sigaretta accesa.
Come detto stadio piccolo (circa 12000 posti),
nella curva contrapposta la parte centrale è riservata
agli “ultras” locali, tutti in maglietta gialla (alla
fine quasi tutti a torso nudo per la gioia) durante la
partita cantano e ballano esponendo anche una piccola
coreo con il simbolo della loro città. Nella curva
accanto al nostro settore, anzi proprio vicino al vetro
divisorio, sono presenti un paio di armi di distruzione
di massa, infatti due attempati tifosi locali dettano il
ritmo dei cori dello stadio con una grancassa ed un
rullante….. Ultras locali a parte, date le dimensioni
dello stadio, il tifo è spesso spontaneo e nasce da
tutti i settori con il classico Bate…Bate ritmato che
coinvolge tutto il pubblico, complice l’insperato
andamento della partita, il tutto condito anche da due o
tre ola ….
Pur essendo in numero esiguo le dimensioni dello
stadio consentono di farci sentire e noto che durante i
cori molti spettatori locali guardano verso il settore.
Quella squadra in divisa grigia non suscita grandi
passioni ed anche il tentativo di rimonta finale non
riaccende gli entusiasmi.
Usciamo dal settore mentre ancora la squadra locale
festeggia in campo e riguadagniamo il parcheggio pullman
passeggiando tranquillamente in mezzo al deflusso.
La polizia consente la partenza dei pullman solo
quando tutti i parcheggi si sono svuotati per poi farci
da staffetta per una ventina di km facendoci superare la
lunga fila di auto incolonnate…mah.
Ho notato una fila quasi ininterrotta di traffico
tornando verso Minsk, a testimonianza che un grande
numero di tifosi era arrivato a Borisov proprio dalla
Capitale Bielorussa per l’occasione.
In definitiva una trasferta tranquilla, per pochi,
ma motivati, intimi in un calcio che, come la località
che ci ha ospitato, sembra a cavallo tra passato e
futuro.
PS
A proposito della vendita dei biglietti per questa
trasferta. Come molti sapranno i biglietti disponibili
erano 680.
Quasi il doppio delle persone si è presentato
davanti al Roma Store di Via Appia (a proposito qualcuno
ci può spiegare perché quando ci sono vendite tipo
questa che non hanno bisogno di supporti informatici,
non si sceglie una location un po’ più comoda sia per i
“clienti” che per la cittadinanza evitando che si
blocchi la via Appia con il consueto corollario di
interventi della Polizia e della Municipale?), dicevo
quasi il doppio delle persone quasi tutti con lo scopo
di prendere il biglietto, tra l’altro con un costo
ridotto rispetto alla media, solo per poter poi
esercitare la prelazione per le prossime trasferte. Per
carità tutto lecito e sintomo di grande voglia di
partecipazione, ma visto che per la trasferta a Borisov
si sapeva perfettamente il numero reale dei partecipanti
(bastava fare una telefonata al Consolato Bielorusso e
chiedere il numero dei visti rilasciati per il giorno
della partita) non si poteva fare una prevendita
riservata a chi poteva dimostrare di avere già
acquistato il volo e di avere il visto?
Si sarebbero evitate altre 100 persone in fila e
che qualcuno tra chi aveva già il biglietto aereo
potesse rimanere senza biglietto della partita (come è
poi accaduto) e che quindi per poter partire è stato
costretto a chiedere ad altri non partecipanti il
“titolo di accesso” per poi, pur avendo fatto la
trasferta, non avere il diritto di prelazione per
la prossima.
Chi
siamo noi e chi sono loro. Vedere per credere (e
giudicare): Bate Borisov-Roma, Champions League
Prologo: passato e presente
Doveva essere la stagione 96/97, quella di Carlos
Bianchi sulla panchina della Roma. Sì, era in settembre.
Dopo il Mondiale del 1994 avevo ben capito, nella mia
pur fluttuante testolina da bambino, che il calcio non
era solo uno sport. O almeno non lo era qui in Italia,
figuriamoci a Roma. In quella serata di settembre la
Roma era di scena a Mosca, contro la Dinamo, per i
trentaduesimi di Coppa Uefa (alzi la mano chi ricorda il
retro degli album panini in cui erano elencati tutti, e
ripeto tutti, i risultati delle competizioni europee
fino a dicembre).
Che l’annata fosse tra le peggiori della recente
storia giallorossa, ancora non lo sapeva nessuno. E poi
quella volta Fonseca, Tommasi e Berretta annullarono con
facilità l’iniziale vantaggio moscovita. Io ero seduto
davanti alla televisione, sul mio letto. Quasi come ora,
mentre scrivo. Mio padre non c’era, si giocava nel tardo
pomeriggio, come spesso accade in Russia, e per la prima
volta mi trovavo da solo di fronte a quella che poi, in
un futuro neanche tanto lontano, sarebbe diventata una
passione immensa, nel bene o nel male. Ricordo ancora
che pioveva allo “Stadio Dinamo” e i giocatori avevano i
guanti. Cosa davvero incomprensibile per la mia
ingenuità, impossibilitata a realizzare che non tutto il
globo terracqueo fosse ancora in piena estate a
settembre inoltrato.
Perché ho voluto riprendere questo ricordo?
Innanzitutto perché credo che sia sempre bello rivangare
nel passato e ricordarci da dove veniamo, e poi perché
mi viene il sorriso sulle labbra nel pensare che da
quella serata sono passati vent’anni (mi fa davvero
strano scriverlo), e il tempo si è portato via tanta di
quella magia con cui vivevo ed ho vissuto questo sport,
e non solo la squadra del cuore. Tuttavia un pizzico
d’orgoglio nel sapere che a così tanto tempo di
distanza, praticamente nello stesso periodo, non solo
potrò essere in quelle zone al seguito della Roma, ma
anche nel ruolo di cronista, ce l’ho.
Pronti, partenza…via!
Il traffico scorre veloce sull’autostrada per
l’aeroporto di Fiumicino. Il mio fedele zaino
dell’Invicta mi comprime le ginocchia, come ai tempi
delle superiori. In fondo lo spirito che mi fa muovere
da un paese all’altro, attraversando città, culture e
lingue differenti, è rimasto quello dell’adolescente. E
non me ne vergogno a dirlo. Senza di lui sarebbe
un’esistenza più piatta di quello che già non è. Seguire
il calcio deve essere un sogno, aperto a tutti. Come lo
è stato, in ultima battuta, per noi nati sul finire
degli anni ottanta.
Andare a Borisov è un qualcosa che mi riempie di
curiosità. Agli occhi di noi occidentali, la Bielorussia
è vista un po’ come il Vaso di Pandora del continente.
Quel paese che non è riuscito a scrollarsi di dosso la
tirannia del suo dittatore Lukashenko e dove ogni
libertà personale e collettiva è negata dal regime
oppressivo e dilaniante del suddetto. Sarà, ma per avere
un’opinione in merito credo sia importante tastare con
mano la realtà. Perché conoscendo “i miei polli”, so
quanto a queste latitudini esistano limitazioni in fatto
di libertà basilari e manipolazioni della stampa a
seconda delle esigenze.
In aeroporto mi aspetta Mauro, con cui condividerò
l’ennesimo viaggio Oltralpe. L’itinerario è semplice:
Wizzair fino a Vilnius e treno per Minsk la mattina
successiva. Nel mezzo un ostellaccio dove riposare
qualche ora. Le due ore e mezza che ci separano dalla
capitale lituana passano tutto sommato lisce. Al nostro
arrivo non ci aspetta certo un freddo polare, ma una
decina di gradi in meno di Roma richiedono comunque un
giacchetto e qualche accorgimento.
Nel piazzale antistante l’aeroporto troviamo una
soave coppia locale, che ci invita a prendere il taxi
per dividere la spesa. Considerato l’orario (mezzanotte)
e la mancanza di mezzi pubblici, accettiamo di buon
grado, cavandocela con due Euro a testa fino al centro
città. In ostello il primo siparietto di questo viaggio:
abbiamo prenotato per una sola persona, con l’intento di
posare i bagagli e farci la nottata “on the road”. Una
volta saggiato il tepore della struttura ci viene però
il dubbio che forse qualche ora di sonno si renda
necessaria. Peccato che i letti siano terminati.
Insomma, tra una cosa e un’altra, alla fine il timido
receptionist ci concede il divano della hall, in maniera
di dormire entrambi. L’italian style…non fallisce mai!
La mia sveglia suona imperterrita alle 6. Il treno
per Minsk lascerà Vilnius alle 8, ma trattandosi di un
viaggio “particolare”, è consigliato presentarsi in
stazione con un po’ di anticipo. Non senza qualche
difficoltà, siamo riusciti a comprare i biglietti
online, sull’ottimo sito delle ferrovie Bielorusse,
sponsorizzato dalla foto di una ferroviera in stile
“hard”, manco fosse la pubblicità di un night club.
Camminiamo abbastanza velocemente attraverso una
Vilnius che si è svegliata freneticamente. Sarebbe stato
bello visitarla, ma il tempo è tiranno. Come colui che
governa la Bielorussia (ma sarà vero?). Ci stiamo per
conficcare in un mondo nuovo e pieno di punti
interrogativi. Per farvi un’idea pensate solamente che
cercando notizie per il web su Minsk e il Paese in
generale, dopo Wikipedia, il portale più accreditato è
nientepopodimeno che l’esimio www.gnoccatravels.com. C’è
chi consiglia di non parlare mai in italiano, chi di non
fare foto ai palazzi istituzionali e chi dipinge i
bielorussi come burberi senza educazione. Peccato che
questi impeccabili consiglieri omettano di raccontare
espressamente le loro grandi performance da “latin
lover” a pagamento. Motivo per il quale verrebbero visti
male ovunque, con tutta probabilità.
Mentre pensiamo a tutto questo, riflettendo se sia
davvero il caso di entrare in questo inferno dantesco
dalla temperatura rigida, mostriamo i nostri passaporti
al gendarme lituano della dogana. Ci controlla i
biglietti dei treni e poi ci lascia andare sulla
banchina. Un fastidioso vento saluta il nostro addio
alla civile e tollerante Unione Europea (sic!), due
ferroviere ci parlano in russo, indicandoci posti e
carrozza dove salire. Due cose vanno chiarite: sul sito
delle Belarus Railways raccontano un sacco di balle,
‘ste due erano tanto gentili quanto stagionate. Poi, non
è che abbiamo capito cosa abbiano detto in russo, ma
siamo stati bravi ad interpretarne i gesti. Tipo pagina
777 del Televideo insomma.
Orbene, ecco il convoglio sferragliare libero nelle
campagne baltiche, per avvicinarsi con passo serrato al
confine. La curiosità è che le strade ferrate della
Bielorussia sono dotate di uno scartamento differente
rispetto al resto d’Europa, vale a dire quello russo.
Fatta eccezione per il collegamento con Vilnius. Così
facendo non c’è bisogno di cambiare i carrelli e l’unica
perdita di tempo è quella del controllo passaporti/visti
che avviene subito dopo il confine, quando nella
stazione di Hudahaj salgono in maniera silente e
ordinata gli uomini della Milizia.
Porgo loro il prezioso visto, ottenuto con vari
improperi e tanta, ma tanta, pazienza. Visto cui va
aggiunto quello necessario per esercitare la professione
giornalistica sul territorio nazionale. Per ottenerlo è
necessario inviare un modulo al Ministero degli Affari
Esteri bielorusso ed aspettare che la loro decisione
venga comunicata al consolato di Roma. Cervellotica e
sicuramente selettiva la cosa, però c’è da dire che le
risposte sono quasi sempre celeri ed in un inglese
perfetto. Gioie e dolori della burocrazia. Suoni
inquitanti della censura, probabilmente. Ma ogni
contrada, ahinoi, ha i suoi modi per porre le museruole
su chi vuol fare informazione.
Dunque, tra una sbirciatina al passaporto e un
controllata alla fauna del treno, composta più che altro
da pendolari, eccoci finalmente sbarcare a Minsk. Ci
accoglie un cielo plumbeo, che man mano si farà più
sereno mentre noi siamo severamente impegnati a
decifrare strade e indicazioni in cirillico per
raggiungere l’ostello. Ci riusciremo solo a tempo
debito, alzando i pugni al cielo per un’impresa titanica
che segna nettamente il nostro essere, fondamentalmente,
dei rincoglioniti cronici visto che la cosa si ripete
ciclicamente ogni qual volta ci avviciniamo agli Urali.
Essendo la Bielorussia un’ora avanti rispetto
all’Italia, la partita si giocherà alle 21,45. Sede
naturale dell’incontro la nuova Borisov Arena. Quasi
tutti gli italiani hanno scelto di raggiungerla con
transit organizzati dagli alberghi o da tour operator,
noi preferiamo il più sfizioso treno, in maniera da
passare un’altra ora in balia degli abitanti del posto.
Che poi, a dirla tutta, il rapporto con gli autoctoni si
rivelerà tutt’altro che conflittuale, smentendo una
delle tante nefandezze lette su internet. In fondo
l’essere umano è diverso ma uguale. E con le buone
maniere e il rispetto della cultura e delle tradizioni
altrui, difficilmente si ottiene scortesia o
indifferenza.
Rispetto all’Ucraina, dove anche chiedere
un’informazione era un’impresa titanica, con signore che
fuggivano al solo intendere una parlata terron/inglese,
manco fossimo il KGB (a proposito, la Bielorussia resta
l’ultimo paese post sovietico ad aver mantenuto questo
nome per i servizi segreti), qua tutti sembrano alquanto
disponibili e disposti ad aiutare. Inoltre al termine
dei quattro giorni di soggiorno, potrò tranquillamente
dire che sì, magari il governo di Lukashenko sarà
autoritario, ma in fondo la vita non mi è sembrata tanto
diversa da quella di noi “privilegiati” europei. Ho
visto tanta gente in giro, abbastanza aperta mentalmente
e vogliosa di confrontarsi. Ovvio, per un bielorusso
lasciare il proprio paese è un qualcosa di difficile,
vuoi per il poco valore della propria moneta, vuoi
perché ottenere un visto non sia la cosa più semplice di
questo mondo.
Ma nel nostro tanto amato Ovest, dietro lo sfrenato
consumismo e la vacua certezza di essere i più liberi,
belli e saggi, spesso si celano magagne ben peggiori.
Facendo un esempio calcistico: io, Simone Meloni,
residente a Roma, non posso seguire un Napoli-Roma o un
Napoli-Lazio se non con uno strumento di schedatura in
tasca (e comunque ormai non basta neanche quello). Se io
fossi nato a Minsk, potrei tranquillamente seguire la
Dinamo a Borisov piuttosto che a Gomel senza alcuna
tessera. Questione di punti di vista.
Ci pavoneggiamo di esportare democrazia infangando
posti come la Bielorussia per la scarsa libertà. Ma non
è l’Italia quel paese che non primeggia per libertà di
stampa e dove se scrivi un articolo scomodo o punti il
dito contro la stanza dei bottoni, rischi minacce e
rappresaglie? Inoltre, e qui mi vien da ridere, si dice:
“Eh ma in Bielorussia non ci sono vere elezioni dal
1994”. Scusate, miei prodi, mi dite chi di voi ha votato
gli ultimi Primi Ministri in Italia? Suvvia, diciamo che
è un po’ tutto relativo e le cose andrebbero analizzate
distaccandosi dalla propria realtà che induce, per forza
di cose, a considerare migliore tutto ciò che la compone
e la protegge (vedasi esportatori di democrazia con il
simbolo del Dollaro) e peggiore o inumano ciò che non
gli è congeniale.
Con questo non voglio certo dire di esser arrivato
nel posto dove le libertà personali siano ligiamente
rispettate, anzi nel racconto di Dinamo Minsk-Rapid
Vienna avrò modo di approfondire proprio questo aspetto,
ma desidererei indurre al ragionamento attraverso la
conoscenza di una cultura e di una storia profondamente
diversa dalla nostra, sia come italiani che come
europei.
Direzione Barysau
Terminato il primo giretto della capitale
bielorussa, tutto sommato accettabile, intorno alle 18
ci dirigiamo finalmente alla stazione armati di zainetti
e Rubli. E su questi ultimi ci sarebbe da fare una
riflessione. Praticamente non esistono monete di ferro,
ma soltanto contanti. Indice di quanto la valuta sia
inflazionata. Ci ritroveremo spesso ad avere in mano
mazzette di carta straccia equivalenti a poco più di un
Euro.
Marciamo verso la banchina dove il nostro treno
internazionale Varsavia-San Pietroburgo ci attende.
Ironizziamo su chi questo viaggio lo compie per intero
ed una volta saliti a bordo capiamo che ci si è
organizzati di conseguenza. Torniamo indietro con la
mente alle nostre scorribande ucraine, ed a quando
viaggiammo da una parte all’altra dell’immenso paese a
bordo di simili convogli. Tutti i vagoni sono dotati di
letti, coperte, cuscini e tavolini. Come tipico
dell’Est, un po’ tutti armeggiano con cibo e vettovaglie
sistemate un po’ ovunque. Sembra di essere in un bazar,
e la cosa, manco a dirlo, ci piace.
Approfittiamo dell’oretta di viaggio per
schiacciare un pisolino, senza prima aver buttato
l’occhio su alcune ragazze tanto carine quanto vestite
da soubrette Fininvest di fine anni ’80. “Cin-cin
cin-cin, diventeremo amici”, ridacchiamo ipotizzando si
tratti di un “Colpo grosso”.
Intorno alle 19,30 ecco palesarsi la stazione di
Barysau. La sua struttura verdognola ci dà il benvenuto,
come gli uomini della Milizia appostati sui binari. Ci
guardano senza proferire verbo, mentre noi usciamo nel
piazzale per cercare un autobus che ci porti allo
stadio. Di girare il piccolo centro posto a 70km da
Minsk non abbiamo molta voglia, fondamentalmente non c’è
nulla, a parte una chiesa ortodossa che esce ad ogni
ricerca su Google. Ed in effetti, al primo sguardo, si
capisce che grigiore e mestizia fanno da padrone. Del
resto basti pensare che la maggiore attrazione locale
viene identificata nella Borisov Arena.
Chiediamo informazioni a un autista, ma con il suo
sigarone in bocca mostra di mal sopportarci. Allora
entriamo in un tabaccaio e una signora sulla sessantina,
ovviamente non parlando una parola di inglese, capisce i
nostri primordiali gesti da uomini della pietra,
indicandoci la fermata dove passa il bus 10. “Spassiba”,
gli diciamo ed in men che non si dica ci posizioniamo in
attesa del piccolo Van che con 5.000 Rubli (40
centesimi) ci porta a destinazione in un quarto d’ora.
Scendiamo sotto lo sguardo vigile di una coppia con
le sciarpe del Bate. Costoro si disperdono poi nel
boschetto di fronte lo stadio, perché e per quale motivo
non è dato sapersi. Noi, ovviamente, prendiamo la
direzione opposta e dopo pochi metri si apre ai nostri
occhi la Borisov Arena. Sicuramente caratteristica vista
da fuori, molto piccola (13.000 posti) e costruita a mo’
di astronave.Dallo scorso anno è la casa del Bate, dopo
che per mezzo secolo il club ha disputato le sue
gare interne allo stadio Haradzki, dotato di 5.400 posti
ma ugualmente omologato per le competizioni europee. Il
Bate non è certamente una società che può vantare un
passato glorioso nel calcio sovietico. Va detto che il
club gialloblu è nato nel 1973 ma è stato rifondato nel
1996, tuttavia da quando esiste la Vysejsaja Liha (il
massimo campionato bielorusso), ha saputo conquistare
ben 11 volte il titolo nazionale, intaccando di fatto lo
strapotere della Dinamo Minsk (quest’ultima era stata in
grado di aggiudicarsi persino un campionato dell’Unione
Sovietica, che allora comprendeva squadre potenti e
titolate come quelle di Mosca o la Dinamo Kiev).
Certo, è inutile nascondere che un impianto del
genere ha parzialmente cancellato il fascino degli stadi
dell’Est. Quel tipico grigiore sulle gradinate aride,
con tifosi imbacuccati che ruotano attorno ad impianti
generalmente poco sviluppati e da un fascino retrò a dir
poco unico. La Borisov Arena assolve a tutte le
richieste della Uefa, oltre a quelle dettate dalla
logica del profitto (a proposito, per dice che la
Bielorussia è l’ultimo paese comunista in Europa, dal
nostro arrivo abbiamo visto Mc Donald’s, insegne della
Coca Cola e negozi dai brand internazionali a go-go.
Quindi per un momento lasciate perdere ciò che vedete in
apparenza, e ragionate sulla sostanza), con palestre,
ristoranti e fan shop situati proprio al di sotto delle
gradinate.
La gara contro la Roma è ovviamente sentita da
queste parti. Il Bate ha avuto il merito di portare il
calcio bielorusso per la prima volta in Champions
League. Era la stagione 2008/2009, ed in quell’occasione
i gialloblu riuscirono persino a strappare un punto alla
Juventus, pareggiando per 2-2 dopo esser stati in
vantaggio per 2-0. Pertanto, i biglietti sono andati
quasi tutti esauriti, mentre nel settore ospiti
alloggeranno poco più di 100 supporters italiani,
nonostante i 680 biglietti venduti (in tanti, visto il
basso costo del tagliando, hanno deciso furbamente di
acquistarlo per avere la prelazione nelle gare
successive).
Un’ora prima del fischio d’inizio decido di entrare
in tribuna stampa. Dopo aver subito la classica
perquisizione della polizia locale salgo le scalette che
mi portano sulle gradinate. I seggiolini dell’impianto
sono multicolor, un po’ come è stato deciso di fare a
Udine, ed è possibile girare attorno al perimetro dello
stadio liberamente, come avviene in Germania. Mi
colpisce invece il divieto di fumo sugli spalti. Per
strada e nei locali di tutto il Paese un po’ tutti hanno
la sigaretta in bocca, ed il bielorusso medio sembra
proprio non poterne fare a meno. Invece qui dentro, a
riprova di come un tutti ormai si pieghino alle
richieste europeiste e spesso idiote della Uefa, fumare
è proibito. Bah!
Sistemo il mio computer sulla postazione ed osservo
i seggiolini riempirsi minuto dopo minuto. Alla fine ci
sarà quasi il tutto esaurito. La curva del Bate è alla
mia sinistra e nella sua parte centrale si annidano gli
ultras di casa. Tutti indossano una maglia gialla e
questo dà comunque un tocco di colore al settore; da
segnalare anche la presenza dei gemellati polacchi del
Piast Gliwice. Dirimpetto loro, nel settore ospiti, sono
presenti tutte le attuali insegne del tifo romanista e i
primi cori, manco a dirlo, sono diretti allo sceriffo
Gabrielli, per poi virare all’incitamento della loro
squadra impegnata nel riscaldamento.
Una specifica va fatta: la tenuta di gioco con cui
la Roma scenderà in campo rientra di diritto nelle prime
dieci oscenità viste da me sui campi di gioco. Maglia,
pantaloncini e calzettoni totalmente bianchi con effigi
e strisce nere griffate Nike. L’annullamento di
qualsiasi tradizione esistente dal 1927 ad oggi.
La gara sta per iniziare e la classica musichetta
della Champions risuona dagli altoparlanti dello stadio.
Gli ultras di casa si raggruppano e seppur in numero
minuto riusciranno a fare un discreto tifo per tutti i
90′, aiutati anche da una buona partecipazione dello
stadio. Ora, noi possiamo dire quel che vogliamo.
Sicuramente in Bielorussia il movimento ultras è un
qualcosa di recente e non ramificato come lo era da noi.
Intanto c’è da prendere atto di una cosa: nel Paese
dipinto come privo di qualsiasi diritto, i tifosi
possono introdurre striscioni, tamburi e megafoni senza
alcun problema. Poi non mi aspettavo che anche il
pubblico normale spesso partecipasse ai cori della
curva, seppur in maniera primordiale, ma comunque
rumorosa.
I padroni di casa mostrano due coreografie durante
la gara e tre belle esultanze ad ogni gol. Per me sono
promossi a pieni voti, da noi sarebbero perfetti per una
Lega Pro o una Serie D. Su fronte ospiti la prestazione
è a luci alterne. Primi venti minuti abbastanza buoni,
con belle manate e cori tenuti abbastanza a lungo.
Dopodiché, con il tracollo dei giallorossi che subiscono
tre reti in trenta minuti, il settore ospiti si
ammutolisce riprendendosi di tanto in tanto per invitare
la squadra a tirar fuori gli attributi.
Inutile dire che il pubblico di casa è a dir poco
galvanizzato sul 3-0. Un momento storico per il calcio
bielorusso che non viene scalfito neanche dalle due reti
giallorosse nella ripresa e dalla traversa di Florenzi
che per poco non pareggia i conti allo scadere. Vince il
Bate, meritatamente, e per i supporters gialloblu è
festa grande che fa da contraltare all’umiliazione di
quelli italiani, ancora increduli di aver perso
nettamente contro una compagine che occupa attualmente
il sessantaduesimo posto nel Ranking Uefa.
Freddo e stanchezza, così finisce il mio esordio
bielorusso
Osservo gli ultimi ringraziamenti della curva di
casa ai propri idoli e poi mi avvio anche io verso
l’uscita. Il freddo ora è calato sovente su Borisov: il
termometro segna infatti 5 gradi, resi ancor più
pungenti da un breve sgrullone che ha preceduto
l’incontro. La mia prima tappa alla Borisov Arena sta
per terminare, vi farò ritorno due giorni dopo per
Dinamo Minsk-Rapid Vienna. La stanchezza ed il sonno
cominciano a prendere possesso di me, e non mi rimane
che recuperare Mauro per poi avviarci silenziosamente
verso il ritorno a Minsk.
Il primo giorno di Bielorussia in fondo è stato
intenso, e ci ha fornito delle indicazioni basilari: non
siamo sbarcati in un universo intriso di cattiveria e
malvagità d’animo, possiamo sopravvivere altri tre
giorni. Abbiamo avuto l’onore di assistere a un momento
storico per il calcio nazionale; almeno la figura del
romano egoista e presuntuoso per stasera è andata a
farsi benedire grazie a dell’ottima beneficenza.
Ah, infine. Vi starete chiedendo come sia finita la
cavalcata della Roma nella Coppa Uefa 96/97. Ovviamente
al turno successivo, vale a dire i sedicesimi. Malamente
estromessa dal Karlsrhue, vittorioso per 3-0 in terra
tedesca ed inutilmente battuto per 2-1 all’Olimpico. Ci
ripenso mentre il pullman arranca nel traffico
dell’unica strada che unisce Borisov alla capitale, una
sorta di Pontina adibita ad autostrada. Ma invece di
arrivare a Latina verremo scaricati a venti minuti dal
nostro ostello, che raggiungeremo con una simpatica
camminata. In fondo anche questa è andata, e l’ho potuta
raccontare!
Simone Meloni
Chi siamo noi e chi sono loro. Vedere per credere (e
giudicare):
Bate
Borisov-Roma,
Champions
League
Prologo: passato e presente Doveva essere la stagione
96/97, quella
di Carlos
Bianchi sulla
panchina della
Roma. Sì, era
in settembre.
Dopo il
Mondiale del
1994 avevo ben
capito, nella
mia pur
fluttuante
testolina da
bambino, che
il calcio non
era solo uno
sport. O
almeno non lo
era qui in
Italia,
figuriamoci a
Roma. In
quella serata
di settembre
la Roma era di
scena a Mosca,
contro la
Dinamo, per i
trentaduesimi
di Coppa Uefa
(alzi la mano
chi ricorda il
retro degli
album panini
in cui erano
elencati
tutti, e
ripeto tutti,
i risultati
delle
competizioni
europee fino a
dicembre).
Che l’annata
fosse tra le
peggiori della
recente storia
giallorossa,
ancora non lo
sapeva
nessuno. E poi
quella volta
Fonseca,
Tommasi e
Berretta
annullarono
con facilità
l’iniziale
vantaggio
moscovita. Io
ero seduto
davanti alla
televisione,
sul mio letto.
Quasi come
ora, mentre
scrivo. Mio
padre non
c’era, si
giocava nel
tardo
pomeriggio,
come spesso
accade in
Russia, e per
la prima volta
mi trovavo da
solo di fronte
a quella che
poi, in un
futuro neanche
tanto lontano,
sarebbe
diventata una
passione
immensa, nel
bene o nel
male. Ricordo
ancora che
pioveva allo
“Stadio
Dinamo” e i
giocatori
avevano i
guanti. Cosa
davvero
incomprensibile
per la mia
ingenuità,
impossibilitata
a realizzare
che non tutto
il globo
terracqueo
fosse ancora
in piena
estate a
settembre
inoltrato.
Perché ho
voluto
riprendere
questo
ricordo?
Innanzitutto
perché credo
che sia sempre
bello
rivangare nel
passato e
ricordarci da
dove veniamo,
e poi perché
mi viene il
sorriso sulle
labbra nel
pensare che da
quella serata
sono passati
vent’anni (mi
fa davvero
strano
scriverlo), e
il tempo si è
portato via
tanta di
quella magia
con cui vivevo
ed ho vissuto
questo sport,
e non solo la
squadra del
cuore.
Tuttavia un
pizzico
d’orgoglio nel
sapere che a
così tanto
tempo di
distanza,
praticamente
nello stesso
periodo, non
solo potrò
essere in
quelle zone al
seguito della
Roma, ma anche
nel ruolo di
cronista, ce
l’ho.
Pronti,
partenza…via!
Il traffico
scorre veloce
sull’autostrada
per
l’aeroporto di
Fiumicino. Il
mio fedele
zaino
dell’Invicta
mi comprime le
ginocchia,
come ai tempi
delle
superiori. In
fondo lo
spirito che mi
fa muovere da
un paese
all’altro,
attraversando
città, culture
e lingue
differenti, è
rimasto quello
dell’adolescente.
E non me ne
vergogno a
dirlo. Senza
di lui sarebbe
un’esistenza
più piatta di
quello che già
non è. Seguire
il calcio deve
essere un
sogno, aperto
a tutti. Come
lo è stato, in
ultima
battuta, per
noi nati sul
finire degli
anni ottanta.
Andare a
Borisov è un
qualcosa che
mi riempie di
curiosità.
Agli occhi di
noi
occidentali,
la Bielorussia
è vista un po’
come il Vaso
di Pandora del
continente.
Quel paese che
non è riuscito
a scrollarsi
di dosso la
tirannia del
suo dittatore
Lukashenko e
dove ogni
libertà
personale e
collettiva è
negata dal
regime
oppressivo e
dilaniante del
suddetto.
Sarà, ma per
avere
un’opinione in
merito credo
sia importante
tastare con
mano la
realtà. Perché
conoscendo “i
miei polli”,
so quanto a
queste
latitudini
esistano
limitazioni in
fatto di
libertà
basilari e
manipolazioni
della stampa a
seconda delle
esigenze.
In aeroporto
mi aspetta
Mauro, con cui
condividerò
l’ennesimo
viaggio
Oltralpe.
L’itinerario è
semplice:
Wizzair fino a
Vilnius e
treno per
Minsk la
mattina
successiva.
Nel mezzo un
ostellaccio
dove riposare
qualche ora.
Le due ore e
mezza che ci
separano dalla
capitale
lituana
passano tutto
sommato lisce.
Al nostro
arrivo non ci
aspetta certo
un freddo
polare, ma una
decina di
gradi in meno
di Roma
richiedono
comunque un
giacchetto e
qualche
accorgimento.
Nel piazzale
antistante
l’aeroporto
troviamo una
soave coppia
locale, che ci
invita a
prendere il
taxi per
dividere la
spesa.
Considerato
l’orario
(mezzanotte) e
la mancanza di
mezzi
pubblici,
accettiamo di
buon grado,
cavandocela
con due Euro a
testa fino al
centro città.
In ostello il
primo
siparietto di
questo
viaggio:
abbiamo
prenotato per
una sola
persona, con
l’intento di
posare i
bagagli e
farci la
nottata “on
the road”. Una
volta saggiato
il tepore
della
struttura ci
viene però il
dubbio che
forse qualche
ora di sonno
si renda
necessaria.
Peccato che i
letti siano
terminati.
Insomma, tra
una cosa e
un’altra, alla
fine il timido
receptionist
ci concede il
divano della
hall, in
maniera di
dormire
entrambi.
L’italian
style…non
fallisce mai!
La mia sveglia
suona
imperterrita
alle 6. Il
treno per
Minsk lascerà
Vilnius alle
8, ma
trattandosi di
un viaggio
“particolare”,
è consigliato
presentarsi in
stazione con
un po’ di
anticipo. Non
senza qualche
difficoltà,
siamo riusciti
a comprare i
biglietti
online,
sull’ottimo
sito delle
ferrovie
Bielorusse,
sponsorizzato
dalla foto di
una ferroviera
in stile
“hard”, manco
fosse la
pubblicità di
un night club.
Camminiamo
abbastanza
velocemente
attraverso una
Vilnius che si
è svegliata
freneticamente.
Sarebbe stato
bello
visitarla, ma
il tempo è
tiranno. Come
colui che
governa la
Bielorussia
(ma sarà
vero?). Ci
stiamo per
conficcare in
un mondo nuovo
e pieno di
punti
interrogativi.
Per farvi
un’idea
pensate
solamente che
cercando
notizie per il
web su Minsk e
il Paese in
generale, dopo
Wikipedia, il
portale più
accreditato è
nientepopodimeno
che l’esimio
www.gnoccatravels.com.
C’è chi
consiglia di
non parlare
mai in
italiano, chi
di non fare
foto ai
palazzi
istituzionali
e chi dipinge
i bielorussi
come burberi
senza
educazione.
Peccato che
questi
impeccabili
consiglieri
omettano di
raccontare
espressamente
le loro grandi
performance da
“latin lover”
a pagamento.
Motivo per il
quale
verrebbero
visti male
ovunque, con
tutta
probabilità.
Mentre
pensiamo a
tutto questo,
riflettendo se
sia davvero il
caso di
entrare in
questo inferno
dantesco dalla
temperatura
rigida,
mostriamo i
nostri
passaporti al
gendarme
lituano della
dogana. Ci
controlla i
biglietti dei
treni e poi ci
lascia andare
sulla
banchina. Un
fastidioso
vento saluta
il nostro
addio alla
civile e
tollerante
Unione Europea
(sic!), due
ferroviere ci
parlano in
russo,
indicandoci
posti e
carrozza dove
salire. Due
cose vanno
chiarite: sul
sito delle
Belarus
Railways
raccontano un
sacco di
balle, ‘ste
due erano
tanto gentili
quanto
stagionate.
Poi, non è che
abbiamo capito
cosa abbiano
detto in
russo, ma
siamo stati
bravi ad
interpretarne
i gesti. Tipo
pagina 777 del
Televideo
insomma.
Orbene, ecco
il convoglio
sferragliare
libero nelle
campagne
baltiche, per
avvicinarsi
con passo
serrato al
confine. La
curiosità è
che le strade
ferrate della
Bielorussia
sono dotate di
uno
scartamento
differente
rispetto al
resto
d’Europa, vale
a dire quello
russo. Fatta
eccezione per
il
collegamento
con Vilnius.
Così facendo
non c’è
bisogno di
cambiare i
carrelli e
l’unica
perdita di
tempo è quella
del controllo
passaporti/visti
che avviene
subito dopo il
confine,
quando nella
stazione di
Hudahaj
salgono in
maniera
silente e
ordinata gli
uomini della
Milizia.
Porgo loro il
prezioso
visto,
ottenuto con
vari improperi
e tanta, ma
tanta,
pazienza.
Visto cui va
aggiunto
quello
necessario per
esercitare la
professione
giornalistica
sul territorio
nazionale. Per
ottenerlo è
necessario
inviare un
modulo al
Ministero
degli Affari
Esteri
bielorusso ed
aspettare che
la loro
decisione
venga
comunicata al
consolato di
Roma.
Cervellotica e
sicuramente
selettiva la
cosa, però c’è
da dire che le
risposte sono
quasi sempre
celeri ed in
un inglese
perfetto.
Gioie e dolori
della
burocrazia.
Suoni
inquitanti
della censura,
probabilmente.
Ma ogni
contrada,
ahinoi, ha i
suoi modi per
porre le
museruole su
chi vuol fare
informazione.
Dunque, tra
una
sbirciatina al
passaporto e
un controllata
alla fauna del
treno,
composta più
che altro da
pendolari,
eccoci
finalmente
sbarcare a
Minsk. Ci
accoglie un
cielo plumbeo,
che man mano
si farà più
sereno mentre
noi siamo
severamente
impegnati a
decifrare
strade e
indicazioni in
cirillico per
raggiungere
l’ostello. Ci
riusciremo
solo a tempo
debito,
alzando i
pugni al cielo
per un’impresa
titanica che
segna
nettamente il
nostro essere,
fondamentalmente,
dei
rincoglioniti
cronici visto
che la cosa si
ripete
ciclicamente
ogni qual
volta ci
avviciniamo
agli Urali.
Essendo la
Bielorussia
un’ora avanti
rispetto
all’Italia, la
partita si
giocherà alle
21,45. Sede
naturale
dell’incontro
la nuova
Borisov Arena.
Quasi tutti
gli italiani
hanno scelto
di
raggiungerla
con transit
organizzati
dagli alberghi
o da tour
operator, noi
preferiamo il
più sfizioso
treno, in
maniera da
passare
un’altra ora
in balia degli
abitanti del
posto. Che
poi, a dirla
tutta, il
rapporto con
gli autoctoni
si rivelerà
tutt’altro che
conflittuale,
smentendo una
delle tante
nefandezze
lette su
internet. In
fondo l’essere
umano è
diverso ma
uguale. E con
le buone
maniere e il
rispetto della
cultura e
delle
tradizioni
altrui,
difficilmente
si ottiene
scortesia o
indifferenza.
Rispetto
all’Ucraina,
dove anche
chiedere
un’informazione
era un’impresa
titanica, con
signore che
fuggivano al
solo intendere
una parlata
terron/inglese,
manco fossimo
il KGB (a
proposito, la
Bielorussia
resta l’ultimo
paese post
sovietico ad
aver mantenuto
questo nome
per i servizi
segreti), qua
tutti sembrano
alquanto
disponibili e
disposti ad
aiutare.
Inoltre al
termine dei
quattro giorni
di soggiorno,
potrò
tranquillamente
dire che sì,
magari il
governo di
Lukashenko
sarà
autoritario,
ma in fondo la
vita non mi è
sembrata tanto
diversa da
quella di noi
“privilegiati”
europei. Ho
visto tanta
gente in giro,
abbastanza
aperta
mentalmente e
vogliosa di
confrontarsi.
Ovvio, per un
bielorusso
lasciare il
proprio paese
è un qualcosa
di difficile,
vuoi per il
poco valore
della propria
moneta, vuoi
perché
ottenere un
visto non sia
la cosa più
semplice di
questo mondo.
Ma nel nostro
tanto amato
Ovest, dietro
lo sfrenato
consumismo e
la vacua
certezza di
essere i più
liberi, belli
e saggi,
spesso si
celano magagne
ben peggiori.
Facendo un
esempio
calcistico:
io, Simone
Meloni,
residente a
Roma, non
posso seguire
un Napoli-Roma
o un
Napoli-Lazio
se non con uno
strumento di
schedatura in
tasca (e
comunque ormai
non basta
neanche
quello). Se io
fossi nato a
Minsk, potrei
tranquillamente
seguire la
Dinamo a
Borisov
piuttosto che
a Gomel senza
alcuna
tessera.
Questione di
punti di
vista.
Ci
pavoneggiamo
di esportare
democrazia
infangando
posti come la
Bielorussia
per la scarsa
libertà. Ma
non è l’Italia
quel paese che
non primeggia
per libertà di
stampa e dove
se scrivi un
articolo
scomodo o
punti il dito
contro la
stanza dei
bottoni,
rischi minacce
e
rappresaglie?
Inoltre, e qui
mi vien da
ridere, si
dice: “Eh ma
in Bielorussia
non ci sono
vere elezioni
dal 1994”.
Scusate, miei
prodi, mi dite
chi di voi ha
votato gli
ultimi Primi
Ministri in
Italia?
Suvvia,
diciamo che è
un po’ tutto
relativo e le
cose
andrebbero
analizzate
distaccandosi
dalla propria
realtà che
induce, per
forza di cose,
a considerare
migliore tutto
ciò che la
compone e la
protegge
(vedasi
esportatori di
democrazia con
il simbolo del
Dollaro) e
peggiore o
inumano ciò
che non gli è
congeniale.
Con questo non
voglio certo
dire di esser
arrivato nel
posto dove le
libertà
personali
siano
ligiamente
rispettate,
anzi nel
racconto di
Dinamo
Minsk-Rapid
Vienna avrò
modo di
approfondire
proprio questo
aspetto, ma
desidererei
indurre al
ragionamento
attraverso la
conoscenza di
una cultura e
di una storia
profondamente
diversa dalla
nostra, sia
come italiani
che come
europei.
Direzione
Barysau
Terminato il
primo giretto
della capitale
bielorussa,
tutto sommato
accettabile,
intorno alle
18 ci
dirigiamo
finalmente
alla stazione
armati di
zainetti e
Rubli. E su
questi ultimi
ci sarebbe da
fare una
riflessione.
Praticamente
non esistono
monete di
ferro, ma
soltanto
contanti.
Indice di
quanto la
valuta sia
inflazionata.
Ci ritroveremo
spesso ad
avere in mano
mazzette di
carta straccia
equivalenti a
poco più di un
Euro.
Marciamo verso
la banchina
dove il nostro
treno
internazionale
Varsavia-San
Pietroburgo ci
attende.
Ironizziamo su
chi questo
viaggio lo
compie per
intero ed una
volta saliti a
bordo capiamo
che ci si è
organizzati di
conseguenza.
Torniamo
indietro con
la mente alle
nostre
scorribande
ucraine, ed a
quando
viaggiammo da
una parte
all’altra
dell’immenso
paese a bordo
di simili
convogli.
Tutti i vagoni
sono dotati di
letti,
coperte,
cuscini e
tavolini. Come
tipico
dell’Est, un
po’ tutti
armeggiano con
cibo e
vettovaglie
sistemate un
po’ ovunque.
Sembra di
essere in un
bazar, e la
cosa, manco a
dirlo, ci
piace.
Approfittiamo
dell’oretta di
viaggio per
schiacciare un
pisolino,
senza prima
aver buttato
l’occhio su
alcune ragazze
tanto carine
quanto vestite
da soubrette
Fininvest di
fine anni ’80.
“Cin-cin
cin-cin,
diventeremo
amici”,
ridacchiamo
ipotizzando si
tratti di un
“Colpo
grosso”.
Intorno alle
19,30 ecco
palesarsi la
stazione di
Barysau. La
sua struttura
verdognola ci
dà il
benvenuto,
come gli
uomini della
Milizia
appostati sui
binari. Ci
guardano senza
proferire
verbo, mentre
noi usciamo
nel piazzale
per cercare un
autobus che ci
porti allo
stadio. Di
girare il
piccolo centro
posto a 70km
da Minsk non
abbiamo molta
voglia,
fondamentalmente
non c’è nulla,
a parte una
chiesa
ortodossa che
esce ad ogni
ricerca su
Google. Ed in
effetti, al
primo sguardo,
si capisce che
grigiore e
mestizia fanno
da padrone.
Del resto
basti pensare
che la
maggiore
attrazione
locale viene
identificata
nella Borisov
Arena.
Chiediamo
informazioni a
un autista, ma
con il suo
sigarone in
bocca mostra
di mal
sopportarci.
Allora
entriamo in un
tabaccaio e
una signora
sulla
sessantina,
ovviamente non
parlando una
parola di
inglese,
capisce i
nostri
primordiali
gesti da
uomini della
pietra,
indicandoci la
fermata dove
passa il bus
10.
“Spassiba”,
gli diciamo ed
in men che non
si dica ci
posizioniamo
in attesa del
piccolo Van
che con 5.000
Rubli (40
centesimi) ci
porta a
destinazione
in un quarto
d’ora.
Scendiamo
sotto lo
sguardo vigile
di una coppia
con le sciarpe
del Bate.
Costoro si
disperdono poi
nel boschetto
di fronte lo
stadio, perché
e per quale
motivo non è
dato sapersi.
Noi,
ovviamente,
prendiamo la
direzione
opposta e dopo
pochi metri si
apre ai nostri
occhi la
Borisov Arena.
Sicuramente
caratteristica
vista da
fuori, molto
piccola
(13.000 posti)
e costruita a
mo’ di
astronave.Dallo
scorso anno è
la casa del
Bate, dopo che
per mezzo
secolo
il club
ha disputato
le sue gare
interne allo
stadio
Haradzki,
dotato di
5.400 posti ma
ugualmente
omologato per
le
competizioni
europee. Il
Bate non è
certamente una
società che
può vantare un
passato
glorioso nel
calcio
sovietico. Va
detto che il
club gialloblu
è nato nel
1973 ma è
stato
rifondato nel
1996, tuttavia
da quando
esiste la
Vysejsaja Liha
(il massimo
campionato
bielorusso),
ha saputo
conquistare
ben 11 volte
il titolo
nazionale,
intaccando di
fatto lo
strapotere
della Dinamo
Minsk
(quest’ultima
era stata in
grado di
aggiudicarsi
persino un
campionato
dell’Unione
Sovietica, che
allora
comprendeva
squadre
potenti e
titolate come
quelle di
Mosca o la
Dinamo Kiev).
Certo, è
inutile
nascondere che
un impianto
del genere ha
parzialmente
cancellato il
fascino degli
stadi
dell’Est. Quel
tipico
grigiore sulle
gradinate
aride, con
tifosi
imbacuccati
che ruotano
attorno ad
impianti
generalmente
poco
sviluppati e
da un fascino
retrò a dir
poco unico. La
Borisov Arena
assolve a
tutte le
richieste
della Uefa,
oltre a quelle
dettate dalla
logica del
profitto (a
proposito, per
dice che la
Bielorussia è
l’ultimo paese
comunista in
Europa, dal
nostro arrivo
abbiamo visto
Mc Donald’s,
insegne della
Coca Cola e
negozi dai
brand
internazionali
a go-go.
Quindi per un
momento
lasciate
perdere ciò
che vedete in
apparenza, e
ragionate
sulla
sostanza), con
palestre,
ristoranti e
fan shop
situati
proprio al di
sotto delle
gradinate.
La gara contro
la Roma è
ovviamente
sentita da
queste parti.
Il Bate ha
avuto il
merito di
portare il
calcio
bielorusso per
la prima volta
in Champions
League. Era la
stagione
2008/2009, ed
in
quell’occasione
i gialloblu
riuscirono
persino a
strappare un
punto alla
Juventus,
pareggiando
per 2-2 dopo
esser stati in
vantaggio per
2-0. Pertanto,
i biglietti
sono andati
quasi tutti
esauriti,
mentre nel
settore ospiti
alloggeranno
poco più di
100 supporters
italiani,
nonostante i
680 biglietti
venduti (in
tanti, visto
il basso costo
del tagliando,
hanno deciso
furbamente di
acquistarlo
per avere la
prelazione
nelle gare
successive).
Un’ora prima
del fischio
d’inizio
decido di
entrare in
tribuna
stampa. Dopo
aver subito la
classica
perquisizione
della polizia
locale salgo
le scalette
che mi portano
sulle
gradinate. I
seggiolini
dell’impianto
sono
multicolor, un
po’ come è
stato deciso
di fare a
Udine, ed è
possibile
girare attorno
al perimetro
dello stadio
liberamente,
come avviene
in Germania.
Mi colpisce
invece il
divieto di
fumo sugli
spalti. Per
strada e nei
locali di
tutto il Paese
un po’ tutti
hanno la
sigaretta in
bocca, ed il
bielorusso
medio sembra
proprio non
poterne fare a
meno. Invece
qui dentro, a
riprova di
come un tutti
ormai si
pieghino alle
richieste
europeiste e
spesso idiote
della Uefa,
fumare è
proibito. Bah!
Sistemo il mio
computer sulla
postazione ed
osservo i
seggiolini
riempirsi
minuto dopo
minuto. Alla
fine ci sarà
quasi il tutto
esaurito. La
curva del Bate
è alla mia
sinistra e
nella sua
parte centrale
si annidano
gli ultras di
casa. Tutti
indossano una
maglia gialla
e questo dà
comunque un
tocco di
colore al
settore; da
segnalare
anche la
presenza dei
gemellati
polacchi del
Piast Gliwice.
Dirimpetto
loro, nel
settore
ospiti, sono
presenti tutte
le attuali
insegne del
tifo romanista
e i primi
cori, manco a
dirlo, sono
diretti allo
sceriffo
Gabrielli, per
poi virare
all’incitamento
della loro
squadra
impegnata nel
riscaldamento.
Una specifica
va fatta: la
tenuta di
gioco con cui
la Roma
scenderà in
campo rientra
di diritto
nelle prime
dieci oscenità
viste da me
sui campi di
gioco. Maglia,
pantaloncini e
calzettoni
totalmente
bianchi con
effigi e
strisce nere
griffate Nike.
L’annullamento
di qualsiasi
tradizione
esistente dal
1927 ad oggi.
La gara sta
per iniziare e
la classica
musichetta
della
Champions
risuona dagli
altoparlanti
dello stadio.
Gli ultras di
casa si
raggruppano e
seppur in
numero minuto
riusciranno a
fare un
discreto tifo
per tutti i
90′, aiutati
anche da una
buona
partecipazione
dello stadio.
Ora, noi
possiamo dire
quel che
vogliamo.
Sicuramente in
Bielorussia il
movimento
ultras è un
qualcosa di
recente e non
ramificato
come lo era da
noi. Intanto
c’è da
prendere atto
di una cosa:
nel Paese
dipinto come
privo di
qualsiasi
diritto, i
tifosi possono
introdurre
striscioni,
tamburi e
megafoni senza
alcun
problema. Poi
non mi
aspettavo che
anche il
pubblico
normale spesso
partecipasse
ai cori della
curva, seppur
in maniera
primordiale,
ma comunque
rumorosa.
I padroni di
casa mostrano
due
coreografie
durante la
gara e tre
belle
esultanze ad
ogni gol. Per
me sono
promossi a
pieni voti, da
noi sarebbero
perfetti per
una Lega Pro o
una Serie D.
Su fronte
ospiti la
prestazione è
a luci
alterne. Primi
venti minuti
abbastanza
buoni, con
belle manate e
cori tenuti
abbastanza a
lungo.
Dopodiché, con
il tracollo
dei
giallorossi
che subiscono
tre reti in
trenta minuti,
il settore
ospiti si
ammutolisce
riprendendosi
di tanto in
tanto per
invitare la
squadra a
tirar fuori
gli attributi.
Inutile dire
che il
pubblico di
casa è a dir
poco
galvanizzato
sul 3-0. Un
momento
storico per il
calcio
bielorusso che
non viene
scalfito
neanche dalle
due reti
giallorosse
nella ripresa
e dalla
traversa di
Florenzi che
per poco non
pareggia i
conti allo
scadere. Vince
il Bate,
meritatamente,
e per i
supporters
gialloblu è
festa grande
che fa da
contraltare
all’umiliazione
di quelli
italiani,
ancora
increduli di
aver perso
nettamente
contro una
compagine che
occupa
attualmente il
sessantaduesimo
posto nel
Ranking Uefa.
Freddo e
stanchezza,
così finisce
il mio esordio
bielorusso
Osservo gli
ultimi
ringraziamenti
della curva di
casa ai propri
idoli e poi mi
avvio anche io
verso
l’uscita. Il
freddo ora è
calato sovente
su Borisov: il
termometro
segna infatti
5 gradi, resi
ancor più
pungenti da un
breve
sgrullone che
ha preceduto
l’incontro. La
mia prima
tappa alla
Borisov Arena
sta per
terminare, vi
farò ritorno
due giorni
dopo per
Dinamo
Minsk-Rapid
Vienna. La
stanchezza ed
il sonno
cominciano a
prendere
possesso di
me, e non mi
rimane che
recuperare
Mauro per poi
avviarci
silenziosamente
verso il
ritorno a
Minsk.
Il primo
giorno di
Bielorussia in
fondo è stato
intenso, e ci
ha fornito
delle
indicazioni
basilari: non
siamo sbarcati
in un universo
intriso di
cattiveria e
malvagità
d’animo,
possiamo
sopravvivere
altri tre
giorni.
Abbiamo avuto
l’onore di
assistere a un
momento
storico per il
calcio
nazionale;
almeno la
figura del
romano egoista
e presuntuoso
per stasera è
andata a farsi
benedire
grazie a
dell’ottima
beneficenza.
Ah, infine. Vi
starete
chiedendo come
sia finita la
cavalcata
della Roma
nella Coppa
Uefa 96/97.
Ovviamente al
turno
successivo,
vale a dire i
sedicesimi.
Malamente
estromessa dal
Karlsrhue,
vittorioso per
3-0 in terra
tedesca ed
inutilmente
battuto per
2-1
all’Olimpico.
Ci ripenso
mentre il
pullman
arranca nel
traffico
dell’unica
strada che
unisce Borisov
alla capitale,
una sorta di
Pontina
adibita ad
autostrada. Ma
invece di
arrivare a
Latina verremo
scaricati a
venti minuti
dal nostro
ostello, che
raggiungeremo
con una
simpatica
camminata. In
fondo anche
questa è
andata, e l’ho
potuta
raccontare!
Simone Meloni
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I VOSTRI RESOCONTI....
....E QUELLI DELLA STAMPA
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corrieredellosport.it
Bate
Borisov-Roma 3-2: blackout giallorosso, Gervinho
e Torosidis non evitano il ko
BORISOV
(BIELORUSSIA) - La Roma
si sveglia tardi. La squadra eroica
vista contro il Barcellona, quella dei sogni di
gloria e del gol di Florenzi, a Borisov
mette a rischio la qualificazione agli
ottavi di finale di Champions League
e, notizia ancora più preoccupante, nel
primo tempo viene addirittura spazzata via
dal Bate, che in base ai
pronostici doveva essere la cenerentola del
Gruppo E. La Roma vista nei primi 45' minuti
della gara della Borisov-Arena è una delle
peggiori versioni della gestione Garcia, seconda
forse solo a quella che lo scorso marzo, in
Europa League, incassò tre reti dalla Fiorentina
in 21 minuti. Un blackout
totale: squadra distratta in difesa,
messa all'angolo dal pressing indiavolato dei
padroni di casa e punita anche dagli
errori di Szczesny sul secondo e sul terzo gol
dei bielorussi. Nel secondo tempo, complice
anche il calo vistoso degli avversari, le reti
di Gervinho e Torosidis riaccendono le speranze,
ma non riescono a evitare la sconfitta. Finisce
3-2. La vittoria del Barcellona in rimonta
contro il Leverkusen almeno consente alla
squadra di Garcia di non perdere altro terreno
dai tedeschi.
ROMA SENZA PUNTE -
Garcia non rinuncia al 4-3-3. De Rossi fa coppia
con Manolas in difesa, Florenzi terzino destro;
a centrocampo c'è Vainqueur con Pjanic e
Nainggolan regista; in attacco, tridente
"leggero" Iturbe-Gervinho-Salah. Nel Bate
Borisov, non c'è l'ex Arsenal e Barcellona
Aljaksandr Hleb, il peso dell'attacco è sul
giovane talento Volodko. I
giallorossi in grigio (debutta la terza
maglia) cominciano con un buon ritmo.
Il Bate è squadra che fa della forza fisica la
sua arma migliore, soprattutto in difesa, e i
veloci attaccanti di Garcia danno l'idea di
poter creare pericoli, come il cross velenoso di
Vainqueur non sfruttato dagli attaccanti.
TREMENDO UNO-DUE -
In un buon momento per la formazione di Garcia
arriva però inatteso il vantaggio del Borisov.
La Roma difende malissimo sul triangolo
Signevich-Volodko, con quest'ultimo che anticipa
Szczesny in uscita e mette al centro per
Gordeichuk, che colpisce la traversa; sulla
palla vagante in area si avventa Stasevich che
trova la deviazione vincente da pochi passi.
Passano appena quattro minuti e i giallorossi
incassano il raddoppio. Mladenovic da fuori area
vede Szczesny piazzato male e scarica di
sinistro in porta. La Roma è in confusione,
lasciata senza ossigeno dal pressing duro dei
bielorussi. E, dato che le brutte notizie non
vengono mai da sole, da Barcellona arriva la
notizia del vantaggio del Leverkusen.
CROLLO ROMA - La
reazione romanista è affidata ai tiri da fuori:
quello di Nainggolan, potente, trova i pugni del
portiere Chernik; il tentativo di Pjanic, su
punizione, termina fuori non di molto. Sulla
fascia sinistra però il Bate fa quello che vuole
e alla mezz'ora il disastro è completo. La
squadra di casa trova addirittura la terza rete
ancora con Mladenovic, che stavolta può calciare
quasi indisturbato dall'interno dell'area. È
la prima doppietta di un giocatore del Bate in
Champions League. Garcia sbilancia
ancora di più la Roma al 39', quando inserisce
Iago Falqué per Vainqueur.
SCOSSA GERVINHO - La
ripresa si apre con l'ammonizione di De Rossi
dopo appena 13 secondi. La Roma non sembra
essere da subito in grado di cambiare passo e
sbanda al 58', quando il capitano salva la porta
più volte respingendo le conclusioni degli
attaccanti del Bate. I giallorossi sono
sfortunati cinque minuti più tardi: il tiro di
Iago Falqué viene deviato prima da un difensore,
poi dal portiere ed esce di poco. Al 66' è
Gervinho a scuotere i romanisti e a riapre
parzialmente la partita grazie:
l'ivoriano sfrutta l'assist di Falqué e
batte Chernik in uscita.
TOROSIDIS, CHE
FINALE! - I giallorossi avrebbero
anche l'occasione per raddoppiare subito dopo,
ma Salah dimostra di non essere in serata: solo
davanti al portiere, spara alto e sciupa una
grande chance. Il Bate è stremato, non ha più la
forza di ribaltare l'azione e la Roma insiste.
All'82' arriva la seconda rete e nei minuti
finali può sperare. Bella discesa di Digne sulla
sinistra e cross al centro sul quale arriva
Torosidis, che non sbaglia. Un minuto dopo,
Florenzi centra una clamorosa traversa con
destro da posizione defilata. Garcia inserisce
addirittura il giovane Soleri,
attaccante della Primavera, ma non basta. La
Roma perde una grande occasione. E ora per la
qualificazione ai quarti di finale si fa dura:
nel doppio confronto contro il Bayer Leverkusen
non potrà permettersi passi falsi.
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