Gruppo E, VI Giornata
ASTRA GIURGIU- ROMA 0-0
Bucharest, Arena Națională
giovedì 8 dicembre 2016
Ore: 19.00


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Tabellino partita:
ASTRA GIURGIU (5-3-1-1)
Lung; Stan, Oros, Sapunaru, Fabricio (dal 27' s.t. Florea), Nicoara; Seto, Lovin, Filipe Teixeira; Budescu (dal 43' s.t. Boubacar); Alibec (dal 45' s.t. Niculae) (Gavrilas, Moise, Ionita, Gheorghe).
All. Sumudica

ROMA (4-3-3) Alisson; Bruno Peres, Vermaelen, Juan Jesus, Seck; Emerson (dal 44' s.t. Marchizza), Strootman (dal 25' s.t. Nainggolan), Gerson; Iturbe, Totti, El Shaarawy (dal 25' s.t. Dzeko) (Szczesny, De Santis, Franchi, Frattesi).
All. Spalletti

ARBITRO Gocek (Tur).
NOTE Spettatori diecimila circa. Ammoniti Lovin e Boubacar per gioco scorretto, Alibec per proteste. Recuperi: 1' p.t., 4' s.t..
 

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Intanto in Grecia...
























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Panoramica prepartita
Ingresso squadre
A petto nudo per Giorgetto
Furto pezza Restituzione pezza



 

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Il servizio







I violenti ricordano un teppista. Poi scontri e offese ai morti: Astra Giurgiu-Roma, Europa League

Quante persone hanno cliccato su questo articolo soltanto per il titolo? Sarebbe curioso saperlo. Sarebbe la giusta cartina al tornasole di una sempre più triste e radicata regola editoriale: parla di ciò che non vedi, spara su chi è sempre malvisto. Fai visite e vendi copie. Del resto fregatene.

Senza stadio, senza tradizione, senza tifosi

Se si giocasse contro una delle tante squadre della capitale romena questa partita avrebbe ben altro fascino. Invece, di pieno concerto con le regole di un calcio moderno che vuole sempre più club apolidi e senza storia, l’Astra Giurgiu è stata costretta a migrare di sessanta chilometri dalla sua sede naturale (ed è stata persino una fortuna, considerata l’ipotesi Cluj che a un certo punto pareva quasi certa. Un po’ come se il Siracusa giocasse a Tortona). Sebbene anche quest’ultima affermazione sia vera solo in parte, essendo il club la “prosecuzione” di quell’Astra Ploiesti acquistata da Ioan Niculae (uno tra gli uomini più ricchi di Romania) e trasferita nel 2012 a Giurgiu, piccolo centro posto al confine con la Bulgaria dove il sodalizio non ha mai fatto breccia nel cuore di possibili tifosi. Eppure giocare il match allo Stadionul Marin Anastasovici avrebbe avuto il suo fascino, oltre che un mero senso logico. Esattamente come accaduto nei preliminari, contro il West Ham. Peccato che la Uefa si sia messa di traverso, non ritenendo a norma la curva dello stadio. Cose che accadono, quando di mezzo ci sono i Paesi dell’Est. Cose curiose, se si pensa che lo stesso organo continentale giudica uno stadio come l’Olimpico a cinque stelle. Nonostante la presenza di numerose barriere architettoniche e molteplici falle strutturali che ormai da anni attanagliano l’impianto di Viale dei Gladiatori (basterebbe pensare all’acqua piovana che filtra ovunque). Ergo: meglio uno stadio immenso semivuoto che un piccolo impianto gremito e chiassoso. Ecco il calcio che tanto piace in quest’epoca grigia.

Ovviamente non si dovrebbe parlare di ciò che non si conosce. Ed è per questo (ma innanzitutto per la curiosità di sapere contro quale “comunità” si stia effettivamente giocando) che il giorno prima del match mi concedo una gitarella proprio a Giurgiu, che come tutta la Romania può vantare legami importanti con la storia e la cultura italiana. La città infatti fu fondata da mercanti genovesi, che in origine le diedero il nome di San Giorgio, in onore al santo patrono del capoluogo ligure mentre a livello nazionale può vantare un primato: quello di esser stata la prima città ad avere una linea ferroviaria collegata a Bucarest. Oggi Giurgiu è la classica cittadina post-comunista. Con i palazzoni, un paio di piazze giganti e tante case abusive costruite sulla strada che conduce al porto sul Danubio. Proprio al confine con la Bulgaria. Una linea di demarcazione segnata dal fiume e congiunta dal Ponte dell’Amicizia, una delle opere più importanti per i due paesi che ne fruiscono terminata a metà degli anni ’50.

Se l’aspetto storico e antropologico è un qualcosa da cui non si deve mai trascendere visitando un qualsiasi posto, per noi calciofili subito dopo viene lo stadio. Proprio quello stadio negato di cui parlavo qualche riga prima. Un impianto che appare moderno, forte dell’opera di rinnovamento posta in essere tra il 2012 e il 2014, persino migliore di buona parte delle nostre strutture calcistiche. Sarebbe stato uno spettacolo vedere il contingente romanista “stiparsi” nella “gabbia” costruita appositamente per gli ospiti e forse anche per la squadra avrebbe costituito uno stimolo in più giocare una partita inutile in un ambiente più raccolto. Ma tant’è, come sempre ci si deve adeguare, totalizzando un computo del girone che parla di una partita giocata nella sede naturale del club avversario ma con una curva chiusa (Plzen) e altre due giocate negli stadi nazionali per indisponibilità di quelli dei club (Austria Vienna e, per l’appunto, Astra). Complessivamente non bene per chi è amante di stadi, tifoserie e ambiente calcistico retrò. Con questa conclusione posso riprendere il pullman alla volta di Bucarest, “ammirando” la strada piana e spesso impregnata di mercatini ambulanti che lentamente si inoltra nella periferia della capitale.

È stato bellissimo viaggiare insieme

È proprio la mia ostinazione nel raggiungere l’Arena Nationala a piedi che mi dà l’opportunità di vedere alcuni aspetti di Bucarest che sfuggono a molti forestieri, limitati dentro al perimetro del centro storico e totalmente disinteressati a conoscere in toto la conformazione di una città così particolare. Bucarest non quella che si può definire una bella città, va detto. Eppure conserva un fascino tutto suo. Basti pensare alle file di case lussuose che, di tanto in tanto, vengono spezzate dai palazzoni in pieno stile sovietico e dalle strutture diroccate, che fioccano qua e là, smorzandosi sui numerosi Boulevard voluti da Ceaușescu. Solo all’indomani, recandomi allo stadio del Rapid Bucarest, avrò l’occasione di spingermi anche oltre la Gara de Nord, tra gli immensi palazzi che custodiscono migliaia di famiglie e nascondono, nei loro anfratti, gli angolo più sinistri e a tratti lugubri della città.

Per questo la pomposa modernità dell’Arena Nationala stride fortemente con gran parte del paesaggio che la circonda. Fa freddo. La colonnina di mercurio è scesa di molto sotto lo zero quando l’orologio segna ancora le 19. Per noi “terroni d’Europa” è un colpo difficile da assimilare e persino maglie termiche, guanti e sciarpe respingono a fatica le bordate di gelo. I dati ufficiali parlano di 800 biglietti venduti a Roma (a occhio nudo direi qualcosa in meno) e già dalla sera che precede la partita per le strade del centro sono ben riconoscibili le tante comitive di italiani.

Non è una settimana qualunque. La vittoria nel derby è stata subito smorzata da una tragica notizia: la morte di Giorgetto, storica colonna del tifo romanista. La cosa ha colpito tutto l’ambiente e, lo dico francamente, se qualcuno stasera aveva aspettative di un tifo spumeggiante e spensierato si sbagliava di grosso. Impossibile chiedere a ragazzi e ragazze che hanno condiviso viaggi, gioie ed emozioni con lui di essere quelli di sempre. Impossibile pretendere sorrisi, abbracci, battute. Si è fatta una scelta diversa. Si è deciso di far guidare la Curva Sud proprio a Giorgetto. E idealmente lui lo ha fatto dal cielo, con la solita goliardia e l’originalità di sempre. Rispolverando vecchi cavalli di battaglia e nuove “hit”. Ironia della sorte quella di giocare contro la squadra dell’assonante Giurgiu, sicuramente se ne sarà fatto beffa anche lui. Una sorte che ha deciso per il più struggente e doloroso dei finali. Quasi come se fosse un obbligo far calare il sipario di una vita ultras all’indomani della partita che ogni ultras aspetta per tutto l’anno.

Vero o falso l’importante è scriverlo

Un peccato che queste sensazioni non siano condivise e carpite anche da chi dovrebbe raccontare il mondo dello sport. Perché lo sport è anche e soprattutto questo, non dovremmo mai dimenticarcene. Eppure i soliti noti erano più impegnati a sottolineare il coro contro la Lazio partito durante il minuto di silenzio in ricordo di un’altra sciagura, quella della Chapecoense. “Vergogna internazionale”, “Follia ultrà”. Quasi non si aspettasse altro. Senza certificarsi, innanzitutto, se il coro fosse partito realmente dal settore ospiti o da altri punti dello stadio (cosa non impossibile, considerata l’ingente presenza di tifosi romanisti del luogo, mischiati tra i supporter provenienti da Giurgiu e quelli, in maggioranza, neutri). L’importante è gettare nel fuoco della legna. Che arda quanto prima e accenda il veleno dello scalpore e dello sdegno nei confronti del tifo organizzato. La domanda che io mi faccio, a posteriori, è: ma è davvero importante se il coro sia venuto dal settore ospiti, dalle tribune, dagli ultras o da una famiglia? Posto che si tratta sicuramente di un comportamento sciocco, perché non si riesce ad entrare nell’ottica che la responsabilità è un qualcosa di individuale? Inoltre, perché non si sottolinea come l’intero contingente romanista abbia subissato di fischi questi cori partiti fuori luogo? Ma il ruolo dell’informazione mainstream è quello di comprendere come si svolgano i fatti o scrivere “a capocchia” la prima cosa utili ad aizzare i maniaci del web e i moralisti da quattro soldi che spadroneggiano e dettano legge nel Belpaese? Oppure l’unico obiettivo di determinate testate sportive è quello di criminalizzare qualsiasi contesto si avvicini al mondo del tifo e non fare mai e poi mai lo sforzo in più di capire e analizzare ciò di cui si sta parlando (capisco che richiede tempo e attenzione, ma sarebbe doveroso)?

Forse a rispondere palesemente a questi quesiti ci hanno pensato i commenti e gli articoli usciti relativamente agli episodi accaduti a metà primo tempo. Quando gli steward, con fare assai prepotente, hanno cominciato a guadagnare lentamente centimetri pressando i tifosi del settore ospiti verso l’altro cordone. Alla volontà degli stessi di recuperare gli striscioni rimasti ormai incustoditi, gli uomini (i giganti, è meglio dire) in pettorina gialla hanno risposto con ingiustificata aggressività, provocando qualche minuto di tensione e (peccato che nessuno lo abbia riportato) alcuni feriti tra i tifosi: percossi, attinti da spunti e bersagliati da spray al peperoncino proprio dagli steward. Del resto l’arrivo della polizia locale è sembrato più volto ad allontanare questi “omoni” che ad agire nei confronti dei tifosi. Strano no? Chi gira sovente gli stadi, e ha visitato con una certa frequenza quelli dell’Est, sa bene che spesso e volentieri la sicurezza privata è affidata a personaggi quanto meno discutibili, che godono di una certa libertà nel compiere atti violenti e intimidatori nei confronti del pubblico ospite (nella fattispecie, come detto nel precedente articolo di Gianvittorio De Gennaro, gli stessi steward di Astra Giurgiu-Roma si resero protagonisti, due anni or sono durante un caldissimo Romania-Ungheria, di pestaggi indiscriminati nei confronti dei tifosi di casa).

Se vogliamo anche il furtivo ingresso in campo di un tifoso romeno, con tanto di furto di una pezza poi recuperata dagli steward, fa parte dell’ambiente retrò degli stadi dell’Est (inutile fare morali, succedeva anche da noi fino a qualche anno fa). Certo, qua si dovrebbe entrare nell’eterna disputa sulla giustezza di “grattare” una pezza mentre la tifoseria che ne è in possesso è impegnata ad arginare l’attacco degli steward. Ma è un discorso in cui, avendo seguito il match da un altro settore, non mi permetto di metter bocca. Limitandomi a riportare l’accaduto, per dovere di cronaca.

La firma

Nemmeno una riga su tutto questo. Tante (forse troppe e sproporzionate) sul tifo della Roma. Ho letto un commento su Facebook. Non do quasi mai peso ai commenti di Facebook. Ma questo riassume il tutto: “La firma. Occorre firmare gli articoli. La firma per un giornalista è la sua faccia. E nella vita, nel bene o nel male, bisogna sempre metterci la faccia. Anche perché l’occhiello del pezzo riporta una cosa specifica: “500 ultrà romanisti hanno intonato cori contro i cugini biancocelesti”. Si parla espressamente di 500 ultrà romanisti. Perché continuare a mettere in croce una tifoseria che è già sotto il fuoco di fila, quando tutti sappiamo che, in circostanze drammatiche come quelle che hanno coinvolto i giocatori del Chape, gli ultrà, di qualunque squadra, sono i primi a mobilitarsi? Ma soprattutto perché enfatizzare questo gesto, che può essere definito vile o vergognoso proprio nella settimana del caso Lulic-Rudiger. Cazzo, e lo dico da giornalista, ricordiamo cos’era questo mestiere. Ricordiamo che non dovremmo essere al servizio di nessuno, eccetto della verità. Abbiamo dimenticato cos’è la verità, per questo è un mestiere morto”.

Amen.

Simone Meloni
http://www.sportpeople.net/i-violenti-ricordano-un-teppista-poi-scontri-e-offese-ai-morti-astra-giurgiu-roma-europa-league/


Le verità nascoste: Astra Giurgiu-Roma, Europa League

Si dice che il Paradiso si trovi qualche metro più in là di questo enorme banco di nuvole tagliato dall’ala di un Airbus A320-200 battente bandiera greca. Da qua su, mentre con occhi sognanti scorgo l’orizzonte rientrando a casa da una nuova avventura, tutto sembra esser così calmo, pacioso, angelicato.
Né tempesta né mare mosso in prossimità dell’Olimpo, ma una Terra che sembra sonnecchiare beata, come un guerriero stremato dopo una battaglia. L’ultima.
Ero partito per Bucarest nella serata romana di mercoledì con la speranza di dar sfogo ai sentimenti più genuini e raccontare minuziosamente, dopo lungo tempo, le emozioni che una trasferta del genere sa regalare; smanioso nel voler descrivere: le dinamiche di tifo, una seppur non irresistibile contesa sul campo e le gesta di poche centinaia di persone accorse per sostenere la squadra e omaggiare la memoria di una colonna portante caduta troppo in fretta.
Così non è stato né sarà.
Perché alte si son levate al cielo le penne inquisitorie, capaci di plasmare con fare demiurgico una serie di menzogne con il fine di donare ad esse una parvenza di verità e render il racconto fruibile all’ignaro e lontano pubblico.
Sono riuscite nell’intento, ça va sans dire, forti del potere persuasivo proprio di una madre verso il nido di uccellini, i quali ingurgitano cibo dalla bocca senza porsi domanda alcuna.
Chi era lì, all’Arena Nazionale della capitale rumena, ha visto e sentito qualcosa di diametralmente diverso rispetto a ciò che alcuni hanno raccontato: vuoi a causa di fonti poco attendibili, vuoi per l’ormai diffusa tendenza alla demonizzazione della passione viscerale e popolare.
Ciò mi ha costretto ad impugnare penna e taccuino in fretta e furia, mentre sorvolavo Corfù dopo aver fatto scalo ad Atene, tentando di rompere questa coltre di bugie alla ricerca di una fioca luce spesso bistrattata: la verità. Una verità volutamente nascosta, celata sotto un tappeto come polvere.
Questa è la storia di Astra Giurgiu-Roma.

Pur possedendo un impianto di proprietà nella cittadina distante circa sessanta chilometri dalla capitale, l’Astra ha disputato le ultime sfide di coppa lontana da Giurgiu. Ulteriore harakiri di un calcio post-moderno in cui tradizione e campanilismo sono puntualmente schiaffeggiati in nome del denaro. Uno stadio non a norma e il conseguente spostamento di dimora, mi avevano perciò fatto immaginare un afflusso di poco rilievo da parte della tifoseria di casa; consentendo così ai pochi tifosi romanisti di ammirare una Bucarest che ha il profumo di povertà diffusa e l’odore tipico della sofferenza di un paese martoriato dalla dittatura, con gli aromi del capitalismo occidentale a tentar di modificare qua e là l’ambiente circostante.
La moneta locale, nota come Lei o come la chiamano gli autoctoni Ron – da non confondere con Rosalino Cellamare – rispecchia in pieno le difficoltà economiche del paese: basti pensare ai due euro e cinque centesimi richiesti da Daniel, simpatico tassista simpatizzante Steaua Bucarest, per portarmi dal centro allo stadio (circa 20 minuti, traffico escluso).
Il bar adiacente l’impianto gremito di romanisti mischiati ai locali, attaccati ai maxischermi con gli occhi che come una sfida di ping pong palleggiano da destra a sinistra assistendo alla debacle della squadra cittadina sul campo del Villareal, come cartolina di un incontro che, in campo quanto sugli spalti, sembrava indirizzato verso i binari della calma assoluta.

L’ingresso nel settori ospiti regalava ai miei occhi di sognatore l’immagine di un impianto moderno, ma accogliente. Gli spalti a pochi passi (passi, non metri) dal manto verde e l’assenza di barriere – come richiesto dalla UEFA in tutti gli stadi europei. Purtroppo vuoto per lunghi tratti, ad eccezione della curva popolata dai tifosi romanisti e la tribuna assiepata da sostenitori locali misti a simpatizzanti giallorossi; nonostante i prezzi, almeno per noi, fortemente popolari.
Dopo l’ingresso in campo dei ventidue giocatori, l’arbitro da buon direttore d’orchestra li disponeva in cerchio per omaggiare la scomparsa degli sfortunati colleghi brasiliani della Chapecoense, mentre nel settore ospiti gli occhi di molti si erano rapidamente gonfiati di lacrime.
Giorgetto vive”, lo striscione che campeggiava in prima linea nella parte destra di un settore ospiti in rispettoso e doveroso silenzio. Fino a quando…

“Ero in tribuna, impegnato nel girare il video del minuto di silenzio. All’improvviso da qualche fila sopra di me, sento partire un coro. Dal timbro di voce e dall’accento potrei dire con buona probabilità che fossero stranieri. Romanisti stranieri presenti in tribuna per assistere alla partita. Non sono stati i tifosi presenti nel settori ospiti, come molti hanno scritto”

Siccome ritengo quantomeno doveroso il raccontare qualcosa avendo fonti certe, così, non volendo fidarmi soltanto del mio giovane udito e di lenti a contatto capaci di mascherar la miopia, mi son preso la bega di rintracciare una testimonianza imparziale e da un altro punto di vista per avvalorare la mia tesi. Guardare le cose a tutto tondo, considerando e ascoltando le diverse campane non dovrebbe esser un esercizio straordinario in questo lavoro, ma la norma.
B.A. (nome di fantasia, ndA) ha così confermato ciò che ricordo di aver visto nitidamente dal settore, ovvero la presenza di un paio di persone che, dalla tribuna, avevano interrotto l’assordante silenzio per insultare una squadra rivale.
Romanisti, è vero, ma non ultrà. E soprattutto non provenienti da Roma.
Stranamente nei racconti sono rimasti celati i fischi indirizzati dal settore verso quel coro, la tornata di disapprovazione seguita da un lungo, intenso applauso alla fine dei sessanta secondi di commemorazione. No, il titolo era già bello e pronto:
Vergogna internazionale, caos e scontri causati da romanisti”.
Eppure non più di qualche ora prima gli stessi avevano descritto come semplice “tensione tra tifosi” i disordini di Torino in occasione della sfida di Champions League dei bianconeri contro la Dinamo Zagabria. Due pesi e due misure: da una parte la demonizzazione di un gruppo sociale, dall’altra la descrizione corretta di un fenomeno che, se non fosse un prodotto commercialmente vendibile, sarebbe destinato a meri trafiletti a fin di pagina.

Per non parlare poi del fatto che, senza voler per forza giustificare la reazione di alcuni supporters giallorossi, basterebbe indagare sull’operato degli steward dell’Arena Nazionale per capire al cospetto di chi si son trovati i romanisti. Sarebbero bastate alcune ricerche per notare come l’agenzia addetta alla sicurezza dell’impianto, la BGS, sia finita nell’occhio del ciclone in molteplici occasioni – a partire dal 2009 – a causa della violenza inaudita e gratuita dei suoi dipendenti, descritti dalla stampa locale come “carnefici dall’ignobile fedina penale” (grazie, amico Google Translate).
Sarebbe bastato, ad esempio, il rileggere gli articoli dell’ottobre 2014 per scoprire come gli steward romeni, insieme alla polizia, si sono resi protagonisti di oltre 40 feriti nel corso della sfida casalinga contro la Bulgaria, i cui tifosi sono stati letteralmente assaltati a colpi di “manganellate, spray al peperoncino, calci e pugni menati a destra e a manca”.
Eppure no, il mostro da sbattere in prima pagina era un altro, sempre lui.
Quel mostro che a Bucarest si è limitato a qualche coro in ricordo di un amico partito per un lungo viaggio, omaggiato dai suoi amici con una mezz’ora di tifo a petto nudo a quattro gradi sotto zero mentre la società si presentava all’intervallo con una busta contenente la maglietta della AS Roma. Dono speciale fortemente apprezzato dai presenti.

I romanisti hanno rispettato il dolore altrui unendolo a quello proprio senza che il primo fosse, per dirla alla De André “un dolore a metà”. Quindi hanno reagito, sbagliando, ad una provocazione fatta di pugni e sputi, spray urticante e minacce, pezze volutamente isolate per consentire ad un invasore di superare un cordone di colleghi e fuggire a mo’ del peggior Lupin. Questo è avvenuto in questa fredda serata rumena, senza manipolazione alcuna degli eventi.
Ma tanto, come disse William Blake parlando del difficile lavoro di chi è addetto al raccontare la realtà delle cose:
noi non dobbiamo dire la verità per convincere quelli che non la conoscono, ma per difendere quelli che la conoscono

Gianvittorio De Gennaro
http://www.sportpeople.net/i-violenti-ricordano-un-teppista-poi-scontri-e-offese-ai-morti-astra-giurgiu-roma-europa-league/



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corrieredellosport.it

Astra Giurgiu-Roma 0-0: partita senza emozioni

Poche occasioni: le seconde linee della squadra di Spalletti non brillano

giovedì 8 dicembre 2016 19:50

ROMA - Per la Roma, già aritmeticamente qualificata da prima del girone, la partita contro l'Astra Giurgiu contava zero a livello di risultato. L'ultimo match della fase a gironi di Europa League doveva servire ai rientranti dagli infortuni (Vermaelen ed El Shaarawy) per mettere nelle gambe minuti importanti e a Spalletti per vedere all'opera qualche seconda linea. Così è stato.

LA PARTITA - Per la cronaca in Romania finisce 0-0. Match poverissimo di occasioni, nessuno brilla. Qualche progresso per Gerson, soprattutto nel primo tempo: il brasiliano è sembrato più mobile e ha giocato con più personalità rispetto alle altre volte, pur senza strappare applausi. Seck a sinistra ha mostrato fisico e corsa, ma qualche evidente limite tecnico. Ennesima occasione da sfruttare per Iturbe: l'ex Verona si è visto poco e ha sbagliato tanto. Da segnalare novanta minuti in campo per Totti. 

Primo tempo senza emozioni. La Roma comanda il gioco (sopra al 66% il possesso palla), ma non trova mai l'imbucata vincente. L'Astra è tutta difesa e contropiede, ma la tecnica è quella che è. E in più i romanisti sono attenti, con tutta la squadra a ripiegare quando serve. Gerson è più brillante del solito: tocca molti palloni e ogni tanto fa vedere qualche spunto interessante.
Un brivido ad inizio ripresa: Alibec va in gol dopo un'indecisione della difesa romanista, ma l'arbitro Gocek annulla per fallo dell'attaccante su Emerson Palmieri. L'Astra si fa vedere in avanti un po' di più rispetto al primo tempo, ma non spaventa mai la squadra di Spalletti. A pochi minuti dal novantesimo, soddisfazione per il giovane Marchizza, che entra al posto di Emerson Palmieri. Il match finisce con l'esultanza dello stadio per la qualificazione dell'Astra come seconda del girone. Dopo questa parentesi europea, ora la mente dei romanisti può andare al big match di lunedì contro il Milan: quella sì una partita da non sbagliare.


Roma, scontri e cori anti-Lazio nel minuto di silenzio per la Chapecoense

Brutto episodio a Bucarest, prima della sfida tra la squadra di Spalletti e l'Astra Giurgiu

giovedì 8 dicembre 2016 20:27

BUCAREST (Romania) - Un minuto di silenzio rovinato da cori anti-Lazio. Brutto episodio a Bucarest con protagonisti i sostenitori della Roma in trasferta per la sfida di Europa League con l'Astra Giurgiu.

I cori sono stati coperti, in parte, dai fischi dei tifosi romeni. Da registrare anche scontri tra steward e supporter della Roma, sedati dall'intervento della polizia locale in assetto antisommossa.


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