È stata l’ultima cosa che ha toccato da romanista
Agostino quella Coppa. Era quella dei grandi sì,
ma era la Coppa Italia, vinta contro il Verona 26
giugno 1984, nemmeno un mese dopo quella notte la
cui ombra nascondeva il sorriso spento di Ago
mentre l’alzava. Con una mano. Più che il ricordo
del Liverpool (che non lo avrebbe mai lasciato,
che non ci avrebbe mai lasciato…) quella
vittoriosa melanconia era perché se ne stava
andando da Roma dopo una vita iniziata proprio con
la Primavera. Tutta la trafila si dice. Tutta la
vita per lui si deve dire. Liedholm lo vide fare
un discorso ai compagni dopo la conquista dello
Scudetto nel ‘73: lì decise che quel ragazzo così
in anticipo sulla sua maturità e col piglio così
responsabile un giorno sarebbe stato il suo
capitano. Anche Liedholm se ne andò dopo la finale
di Coppa Italia del 1984 dalla Roma, ma il Barone
ebbe modo di tornare sia (per un po’) come
tecnico, sia come consulente. Agostino no.
Agostino è tornato ieri.
È tornato quando i ragazzini della Primavera gli
hanno portato quella Coppa, proprio lì dove –
comunque – ha scelto di andarsene, lì dove ha
finito prima di giocare al calcio (in un giro di
campo senza vaso di fiori da lanciare alla sua
città) e dove ha finito di vivere. Agostino torna
ogni volta che la Roma va da lui, anche perché lui
non se ne sarebbe mai andato. Sta là che ci
aspetterà sempre. Torna nei cori della Sud, nella
bandiera col suo volto, nei ragazzini che al
torneo De Falchi intonavano “Oh Agostino” con il
loro pugno d’anni diventati una carezza l’altro
giorno.
La Roma è andata dove lui se ne è andato. E’
stato un po’ come ritrovare se stesso, perché
Agostino Di Bartolomei per tutti e per sempre è il
ragazzino che tirava le pezze a Tor Marancia, con
i capelli scolpiti come lo sguardo nella serietà
di una missione da realizzare: la Roma campione.
Si è specchiato più che nei riflessi della coppa
nella compostezza di quei ragazzi. Associare la
gioventù e la Primavera a chi per sempre resterà
un uomo senza invecchiare è un miracolo gentile.
È stata l’ultima cosa che ha toccato da romanista
Agostino quella coppa, ma anche la prima quando
l’alzò con la Primavera. Sbocciavi e adesso puoi
guardare un fiore che non appassisce. La prima e
l’ultima cosa: perché non c’è inizio e non c’è
fine quando sei diventato eterno come Roma.
È stata l’ultima cosa che Agostino ha toccato
quella coppa, ed è stato un po’ restituirgliela:
non la coppa, ma la Roma. È come se ci avessero
regalato un dopo, dopo la fine: magari stavolta
guardandola non hai visto il Liverpool o un futuro
che non vedevi, ma hai sorriso. Magari alla fine
c’è un sorriso.
GUIDI: "GIOIA IMMENSA,
SONO ORGOGLIOSO DI TUTTI I RAGAZZI"
Così mister Guidi ha commentato ai media del Club il
trionfo della Roma in finale di Coppa Italia
Primavera, la sesta della nostra Storia!
"I ragazzi sono stati bravi - ha detto l'allenatore -
a interpretare ogni fase. C'è stato un momento in cui
abbiamo sofferto la qualità, la fisicità e
l'esperienza della Fiorentina. Poi abbiamo cominciato
a prendere campo. Siamo stati chiaramente
avvantaggiati dall'episodio dell'espulsione, però non
abbiamo mai perso la bussola.
Abbiamo avuto pazienza, come deve essere in questo
tipo di partite, delle partite secche, delle finali,
perché come ho detto ai ragazzi prima della partita
bisognava essere pronti anche a poterla vincere al
119'. Ci siamo andati veramente vicini (il mister
sorride, ndr), quindi oggi c'è grande soddisfazione,
perché penso che i ragazzi abbiano dato un senso a
tutti sacrifici che hanno fatto non solamente in
questa stagione, ma in tutti gli anni. E ai sacrifici
che hanno fatto anche loro famiglie. Quindi oggi sono
veramente contento e orgoglioso di ognuno di loro".
Parliamo spesso anche di età, di
esperienza: quanto è importante per la Roma vedere
un 2005 come Misitano entrare in campo e sbloccare
una gara del genere?
"Secondo noi, è questa la strada. Chiaramente, avevamo
di fronte una squadra costruita per provare a vincere
i trofei, perché hanno messo in campo tutti e cinque i
2003: nel secondo tempo è entrato anche Capasso. Molti
di loro erano già titolari nella stagione scorsa,
quando hanno vinto la Coppa Italia. Per Krastev
addirittura era la terza finale. Quindi, noi in
termini di esperienza eravamo in deficit, e dovevamo
sopperire con la qualità, con la sofferenza, con
l'essere squadra in ogni momento.
Se non lo avessimo fatto, sarebbero emerse le loro
grandi qualità. Oggi siamo stati squadra e di questo
sono veramente contento".
Che slancio può dare anche per
il campionato questa grande vittoria?
"Penso che ora i ragazzi debbano perseverare sull'onda
di questa grande forte emozione, di questa grande
soddisfazione. Devono portarsi dentro ciò che stanno
vivendo dentro lo spogliatoio e che hanno vissuto
alzando la coppa, in maniera tale da avere grande
motivazione in ogni singola partita del campionato,
che è estremamente complicato: è molto equilibrato e
ogni partita può determinare l'accesso o no alle
finali.
Già lunedì ci aspetta una partita di grande spessore,
di grande importanza in termini di classifica:
affronteremo la Juventus a Torino, e non sarà facile.
Dobbiamo smaltire velocemente la sbornia, la gioia e
ricaricare le batterie per farci trovare pronti in
campionato".
Dopo la semifinale con l'Inter
mi aveva detto di essere emozionato per la prima
finale sulla panchina della Roma. Adesso?
"Una gioia immensa, perché sono stato chiamato a
succedere a quello che per me è sempre stato un punto
di riferimento, per me come per tutti gli allenatori
più giovani: Alberto De Rossi, che chiaramente ha
scritto la storia del settore giovanile italiano ed è
la Roma. Era per me - ed è - una forte responsabilità
e, come ho detto nelle interviste precedenti, questa è
una vittoria anche di Alberto, perché è stato il primo
che mi ha fatto una chiamata e mi ha fatto l'in bocca
al lupo.
So quanto ha lavorato con questi ragazzi, perché molti
li aveva l'anno scorso nel gruppo Primavera, e quindi
questa forte emozione la condivido con lui e con tutti
i tecnici che hanno allenato questi ragazzi nel loro
percorso.
Per me è un'emozione fortissima: lo è stata la
chiamata della Roma e lo è oggi. Anche perché davanti
avevo un pezzo di cuore, perché sono cresciuto nella
Fiorentina, sono stato 12 anni là, e sono di Firenze.
Per me non era una partita normale. Quindi, emozione
doppia".
VERGINE:
"UNA VITTORIA ESPRESSIONE DELLA NOSTRA FILOSOFIA"
Vincenzo Vergine è stato intervistato dai media
ufficiali del Club al termine della finale di
Primavera Tim Cup, vinta contro la Fiorentina.
Il responsabile del settore giovanile della Roma ha
commentato il successo nella competizione nazionale
(la sesta coppa nella storia della Società).
Partiamo dalle sue emozioni: dal
suo primo trofeo con la Roma.
“Le mie emozioni sono emozioni ovviamente forti, però
diciamo che dopo tanti anni, quello che a me
interessa, ed è quello che ho visto, è che i ragazzi
facciano quello step che noi chiediamo per cercare di
avvicinarsi al calcio dei grandi.
Ovviamente, sapevamo che di fronte avevamo una grande
squadra, che aveva vinto questa coppa in sequenza
negli ultimi anni. E per potergliela strappare di mano
abbiamo affrontato una partita dura, difficile. I
ragazzi hanno messo cuore, anima, ovviamente con tanti
errori, tipici di questa età, nella gestione di tante
situazioni, situazioni che poi il mister analizzerà.
La cosa che più di tutte mi rimane nella testa è il
fatto che ci tenevano proprio tanto ad alzare questo
trofeo. Perché era un momento in cui avevano bisogno
di certezze. Quindi sono questi quegli step che noi
osserviamo. E con orgoglio, con soddisfazione, diciamo
che c'è tanto da migliorare però su questi aspetti
siamo sulla buona strada”.
Questa squadra ha proposto
giocatori del 2005, tipo Misitano. Dall’altra parte
tanti 2003. Questo è anche il modo di vincere della
Roma?
“Sì, noi abbiamo la nostra linea, la nostra strada.
Quando sono arrivato l’abbiamo tracciata con Tiago
Pinto, in condivisione con l’allenatore della prima
squadra: ovvero, prendere il calciatore e attorno a
lui fare un progetto che abbracci tutte le aree per
perfezionare le lacune e cercare di avvicinarlo quanto
più possibile al mondo dei grandi.
Non a caso il CIS, che è un organo internazionale
esterno, ha detto che la Roma è la società la prima in
Italia in assoluto per minutaggio fatto effettuare ai
ragazzi che provengono dal vivaio in prima squadra.
Questo è possibile se c'è una strategia, se c’è una
filosofia, una connessione con la prima squadra, con
il suo direttore, Tiago Pinto, il suo allenatore José
Mourinho, il sottoscritto che è a capo del settore
giovanile.
Solo attraverso questa connessione costante e continua
si può creare questa magia. E ovviamente determinati
momenti ci servono per dare a tutti questi ragazzi
l'entusiasmo che serve. Ma, come ho detto prima a
Cherubini e a Faticanti, che si festeggi fino a
mezzanotte perché nella prossima partita affronteremo
la Juventus e bisogna continuare così.
Inoltre, ci tengo in modo particolare ad un’altra
cosa: voglio dedicare questo trofeo ai nostri
proprietari, alla famiglia Friedkin. Perché da subito
loro hanno voluto investire nel nostro vivaio,
seguendo la tradizione della Roma, ma mettendo dentro
anche ulteriori risorse. E non ci fanno mancare nulla
per quello che a noi serve come facility, però anche
come strumenti di lavoro. Quindi lo voglio dedicare
perché se lo meritano, perché è una proprietà attenta
che ci segue e vuol sapere esattamente il progetto a
medio lungo termine. È giusto che questo trofeo sia
nelle loro mani”.
Lo ha detto già a Faticanti e
Cherubini: c’è ancora da giocare in questa stagione.
“Esatto. In questa stagione ci sono ancora tante
partite da giocare, è ancora tutto aperto, il
campionato è molto complesso e difficile. Dove tra
essere sesti e primi il divario è minimo. Bastano due
o tre partite in cui inciampi e rischi.
Anche questo fa parte di quello step che noi
chiediamo, quella continuità di rendimento che ne deve
fare di tutti questi prospetti dei calciatori che poi
li possiamo vedere nel calcio le grandi quanto prima”.