MARCO
"Ao e cammina a sinistra" esclamo mentre con la mano
accompagno dolcemente il volante per riportare la
macchina in carreggiata. "Ma che c'hai paura? Prima
se semo fatti tutta corsia d'emergenza" risponde
l'autista. "Si ma prima dormivo e non me ne
accorgevo...". La macchina sbanda un po' nel rientro
verso Roma, ondeggia a destra e sinistra aldilà
delle linee che delimitano le corsie nel modo che
avviene nel momento in cui alla guida si affiancano
- pericolosamente - altre attività. Fumare, bere,
mangiare, cercare la frequenza radio giusta, cercare
i video della partita, le fototifo... Sbandano un
po' anche i sentimenti, pericolosamente esposti ad
un dualismo che sempre più frequentemente turba il
tifoso romanista. Da un lato la gioia per il tifo, o
meglio per la sua tendenza a migliorare. Dall'altro
il rammarico per i risultati in campo, o meglio le
riflessioni che ne derivano. Perché - almeno nel mio
caso - la sofferenza non nasce dalle sconfitte, ma
dalla consapevolezza che in campo la Roma, quella
con la R maiuscola, non c'è. La Roma come la amo e
la sogno io, la Roma che lotta, la Roma che
rappresenta qualcosa. Un tempo vedevo in campo De
Rossi e vedevo uno come me. Oggi in chi ci si può
identificare? Abbiamo una rosa di calciatori di
passaggio che vestono la maglia della Roma solo
perché questo coincide con i loro obiettivi di
carriera personale. Una rosa che perde e non sembra
essere poi così dispiaciuta. La Roma è stata una
squadra che per lunghi anni non ha vinto nulla,
tuttavia in campo dava tutto. Anni in cui in campo
c'era Di Bartolomei e sugli spalti il Cucs, un
gruppo che ha sempre sostenuto la Roma aldilà dei
risultati. Ma la Roma di quegli anni non è la Roma
di oggi, chi non si impegna, chi non vuole
recuperare un pallone a fine allenamento, chi è
falso, chi gioca contro l'allenatore, merita di
essere sostenuto sempre?
Passo in rassegna la rosa della Roma attuale e la
confronto con quella di altre squadre sopra di noi.
Il Torino è più tecnico della Roma? No. Il Bologna?
L'Udinese? No. Eppure sono sopra di noi. Il problema
è psicologico, si perde perché non c'è voglia di
vincere.
La presidenza è assente, si preoccupa dello stadio e
dei profitti, i giocatori si preoccupano solo di se
stessi (tolti pochi esempi di professionalità come
Dybala) solo a noi preme vincere.
Poi è chiaro, la storia della Roma si intreccia alla
deriva generale del calcio moderno. È finita l'epoca
delle bandiere, e questo non riguarda solo la Roma.
Ma il punto è come vogliamo porci noi, rispetto a
questo calcio, rispetto a questa Roma.
Sono rimasto molto colpito vedendo il video di
Mancini fuori Trigoria, un video (per chi non l'ha
visto) in cui Mancini dà la sua parola che c'è
massima unità tra squadra e allenatore.
Il giorno dopo è stato lo stesso Jurich a smentirlo,
quando in conferenza stampa ha raccontato di forti
attriti tra lui e alcuni giocatori.
Non c'è rispetto, non c'è sincerità e allora ben
venga la contestazione.
Penso a questo mentre torno a Roma, con un occhio
osservo il monotono paesaggio fuori il finestrino,
con l'altro il ragazzo maldestro che guida e nel
frattempo aumenta la consapevolezza di ciò che è
davvero importante. Se ho fatto tutti questi
chilometri, non è per Mancini, Cristante o Dovbyk, è
per rappresentare la mia città, è per portare avanti
un idea, è per non rassegnarmi al grigiore. "In un
mondo che non ha bandiere, siamo solo noi vecchie
maniere" cantavano già nei primi 2000 gli asroma
ultras. Guardo la Roma attuale e mi persuado che se
lo stato dell'arte è drammatico, la cornice
acquisisce più significato del quadro. Avanti ultras
I VOSTRI RESOCONTI.... ....E QUELLI DELLA STAMPA
DA
IL ROMANISTA (Fabrizio Pastore)
C'è qualcosa di peggio che assistere
all'ennesimostrazio
fornito da questa squadra. C'è qualcosa di
peggio degli otto gol incassati nell'ultima
settimana e perfino dei tre subiti dal derelitto
Verona (a un misero punto da
noi nonostante le sei sconfitte in sette
partite), dopo i cinque che hanno trasformato la
Fiorentina in un incrocio fra
Brasile del '70 e grande Real.
C'è
di peggio che lanciare uno sguardo alla deprimente
classifica e cominciare a fare i
conti concentrandosi sulle poche che seguono più
che sulle tante che precedono.
C'è
di peggio di un allenatore che si
dichiara ancora soddisfatto (sigh)
della prestazione, proprio come dopo quella
invereconda contro l'Elfsborg.
C'è
di peggio che pensare a Mourinho
relegato a oltre duemila chilometri di distanza,
mentre si infiamma difendendo l'ultima piazza
che lo ha accolto come un eroe. Giustamente.
E c'è di peggio che seguire tramite i social il
girovagare di De Rossi per il
globo, pur di stare lontano da casa sua. Quella
dalla quale è stato sfrattato senza
giusta causa.
L'elenco
potrebbe diventare ancora più corposo, in
ossequio all'antico adagio secondo cui «non
c'è limite al peggio». Ma sarebbe
fuorviante, perché al di là dei paradossi uno
spartiacque esiste eccome. E purtroppo è stato
raggiunto. Uno di quei fondi oltre il quale non
c'è più nulla da scavare. Rappresentato dalla
cosa che più di qualsiasi altra manca.
Oggi
alla Roma manca la Roma. Sic et
simpliciter. Non si tratta di un'iperbole. Non
più di quanto non lo sia la realtà. Quella che
stiamo vivendo è svilita, svuotata,
annichilita. È il trionfo dell'apatia
emotiva, che ha travolto tutti. A ogni livello.
Quando viene a mancare perfino la forza
d'incazzarsi; quando tutto sembra ineluttabile,
già visto prima ancora che accada, in un
continuo déjà-vu infernale
degno dei gironi danteschi; quando le speranze
sono annientate dal senso d'abbandono; è allora
che il danno diventa serio. Serissimo. Se i
sentimenti non rispondono più agli stimoli,
appaiono soltanto vicoli ciechi. Con tutto il
senso di claustrofobia che può seguire. Molto
meglio lo strapiombo, che almeno tiene viva la
paura e lo spirito di sopravvivenza. Qui
invece si vivacchia. Nella mediocrità
che rischia di assuefare.
Non
è questione di risultati. Non
soltanto perlomeno. Quelli non sono arrivati
diverse volte nella nostra storia e quando è
successo hanno generato reazioni, sia pure
negative ma comunque vitali: angoscia,
apprensione, tormento, ansia, rabbia.
Ora si respira soltanto un senso di
frustrazione. Atmosfera tetra e priva
d'orgoglio. E perciò antiromanista. Come vivere
ogni partita come uno stillicidio, nella sola
attesa che finisca presto. Ora tutto è lontano
dal cuore.
Ma
la Roma è altro. È sempre stata
altro, fin dalla fondazione. La Roma è tutta
nell'innato moto di fierezza del suo popolo,
perfino negli anni più bui. La Roma è
sentimento, anche il più tumultuoso.
Ma sempre dirompente, focoso, sanguigno.
Ridatecelo. Basterebbe anche soltanto questo per
farci ritrovare se non il sorriso, la
voglia di tornare a lottare.