Era il 2 dicembre del 1973 e a far fuoco ad un
supporter partenopeo di nome Alfredo Della Corte fu
un tifoso della Roma. Della Corte, 17 anni, era
giunto nella capitale a bordo di un pullman
noleggiato insieme con 45 amici per assistere alla
partita tra gli azzurri e i giallorossi.
Il Napoli
di Vinicio vinse 1-0 e quando uscì dallo stadio —
racconta Umberto Ottolenghi sul Messaggero di Roma
il 3 dicembre del '73 — Alfredo aveva una bandiera
in mano e la sventolava gridando "Forza Napoli". Fu
notato da un tifoso della Roma «tarchiato, con gli
occhiali e rossiccio di capelli» che decise di
aggredirlo con un coltello a serramanico. La lama
gli cadde a terra. A quel punto tirò fuori dalla
tasca una pistola calibro 22 e sparò due volte. Un
colpo andò a vuoto, l'altro,perforò la bocca di Alfredo,
attraversando il labbro, spezzando nove denti e
fermandosi miracolosamente nella mascella. Ad un
solo centimetro di distanza dalla giugulare. Alfredo
chiese aiuto a Vincenzo Del Vecchio, l'amico che
aveva accanto, mentre Gigino, un altro giovane
compagno di trasferta, fuggì impaurito alla vista
delle forze dell'ordine. Poi se ne pentì: <<Ho
pianto per la mia vigliaccheria>>. Alfredo su
portato al San Camillo, dove il professor Lionello
Ponti raccontò ai cronisti: <<E' vivo per
miracolo, la pallottola è stata rallentata da un
molare>>. L'ultrà romanista si diede alla fuga
con la pistola in pugno tra la folla terrorizzata.
I colpi di pistola sparati dall'ultrà
della Roma Daniele De Santis contro il tifoso del
Napoli Ciro Esposito hanno, nella storia del calcio
italiano e della violenza negli stadi, un solo
precedente. Che, per quelli che Giambattista Vico
chiamava «corsi e ricorsi storici», si verificò
proprio nella Capitale, al termine della partita
Roma-Napoli. Anche all'epoca a sparare fu un ultrà
giallorosso. E anche allora ad essere colpito fu un
tifoso napoletano. Correva il 2 dicembre del 1973,
il giorno della grande nevicata sull'Italia e della
crisi petrolifera. La chiamarono la «domenica
austera», e quel giorno nella Capitale (poche) bici
e carrozzelle presero il posto delle auto costrette
a restare ferme per la mancanza di benzina. Camminavano tutti a piedi, quella mattina. Come
il Presidente della Repubblica Giovanni Leone, che dal
Quirinale si incamminò verso Santa Maria della Vittoria
per assistere alla messa. O come il presidente del
Consiglio Mariano Rumor, che raggiunse passeggiando
Palazzo Chigi dopo aver preso la metro dall'Eur al
Colosseo. Ma, misteri italiani, l'emergenza che appiedò
il Paese non fermò né il calcio né i tifosi. Che, nel
giorno in cui fu vietato l'utilizzo di veicoli privati,
riuscirono a trovare abbastanza autobus e taxi per
partire da Napoli e raggiungere la Capitale. Erano in
trentamila, all'Olimpico.
E, tra loro, c'era il
diciassettenne Alfredo Della Corte, arrivato a
Roma a bordo di un pullman noleggiato insieme con 45
amici, ottomila lire a persona tutto compreso: biglietto
per la curva, colazione, pranzo, cena a Frascati e
ritorno a casa a mezzanotte. C'era da vedere il Napoli
quel giorno, la squadra allenata da Vinicio, quella di
Carmignani, Bruscolotti, Canè, Juliano, Clerici.
All'Olimpico arrivava da capolista, e contro aveva la
Roma di Nils Liedholm, quella con Domenghini e Prati. Lo
chiamavano ancora il «Derby del Sud», e grazie al gol di
Braglia finì uno a zero per i partenopei. Quando uscì
dallo stadio — racconta Umberto Ottolenghi sul
Messaggero di Roma il 3 dicembre del '73 — Alfredo aveva
una bandiera in mano. Una con il manico leggero, di
quelli da tenere con due mani che sennò si rompe. E di
plastica, «ché fosse chiaro che non la voleva usare come
arma». Era quella bandiera che il ragazzo stava
sventolando quando un tifoso della Roma «tarchiato, con
gli occhiali e rossiccio di capelli» decise di
assalirlo. Alfredo gridava «Forza Napoli», e lui voleva
ferirlo con un coltello a serramanico, che però gli
cadde a terra ancora chiuso. Così decise di tirare fuori
dalla tasca una pistola calibro 22 con proiettili
svedesi rinforzati e sparò due volte. Un colpo andò a
vuoto. L'altro, invece, centrò alla bocca Alfredo,
attraversando il labbro, spezzando nove denti e
fermandosi nella mascella dopo aver evitato per un
centimetro la giugulare.
Il ragazzo si accasciò
su Vincenzo Del Vecchio, l'amico che aveva
accanto. Un altro, Gigino, 18 anni, rimase impietrito,
poi fuggì alla vista delle forze dell'ordine che
accorrevano salvo pentirsene subito dopo: «Ho pianto per
la mia vigliaccheria». Della Corte, nel frattempo, fu
trasportato prima all'ospedale Santo Spirito, dove fu
sottoposto a un intervento chirurgico per estrarre il
proiettile dalla mascella, poi al San Camillo, dove il
professor Lionello Ponti raccontò ai cronisti: «È vivo
per miracolo, la pallottola è stata rallentata da un
molare». Era un ragazzo pulito, Alfredo. Non portava
coltelli o pistole. Anzi, aveva giubbetto e pantaloni
così attillati che all'inizio identificarlo fu
difficile, ché la carta d'identità l'aveva consegnata a
Gigino perché in tasca gli dava fastidio. Quella sera,
Alfredo, non cenò come aveva previsto a Frascati. Il suo
autobus ripartì nella notte, mentre la polizia dava la
caccia all'ultrà romanista che intanto era fuggito con
la pistola in pugno tra la folla che scappava
terrorizzata. Al San Camillo, accanto ad Alfredo Della
Corte, restarono due tifosi del Napoli, proprio come è
accaduto quarant'anni dopo a Ciro Esposito. Le analogie
tra i due casi sono impressionanti. Entrambi tifosi del
Napoli, entrambi feriti a colpi di pistola, entrambi
colpiti da un ultrà della Roma. Ciro è di Scampia,
Alfredo viveva a Chiaiano, un altro quartiere della
periferia nord di Napoli. Ciro ha un autolavaggio,
Alfredo lavorava come garagista. Quel che cambia,
invece, è il racconto «ufficiale» delle autorità di
sicurezza. Quarant'anni fa, per sminuire la gravità
dell'episodio, il brigadiere di turno disse che
l'agguato ad Alfredo era «solo una questione di tifo».
Sabato scorso, al contrario, per evitare problemi è
stato utilizzato lo stratagemma opposto, dicendo che il
ferimento di Ciro non era collegato a scontri tra
tifosi. Quelli che, dal 1973, attraversano la storia di
un calcio sempre più nel pallone.