Il barone


Genoa/Roma 1-1, 1982/83



Intervista al Guerin Sportivo, 1982/83
"ZIO LIDDAS"


Intervista al Guerin Sportivo, 1988/89
"BARONEIDE"

PRESENZE

Dal cuore di una
                    curva al cuore di un maestro: resta Barone


Con Maestrelli




1980/81 Dopo Coma/Roma








ADDIO BARONE
L'avevamo sentito nel cuore dell'estate, per l'ultima intervista. Parlava con un filo di voce, ma con la lucidità e l'eleganza di sempre. Nils Liedholm non poteva essere entusiasta della gaffe commessa dai curatori della festa degli 80 anni della Roma: non un accenno importante alla sua straordinaria figura, non un video dedicato al più grande allenatore di sempre, l'assist bruciato come il peggior Vucinic da un attore comico di certo non preparatissimo («L'allenatore che ho più amato? Mazzone...»). Ma non lo avrebbe mai ammesso. Per dignità, per educazione, per rispetto di chi il 26 luglio scorso allo stadio Olimpico c'era. «Io sono solo un povero vecchio, l'altra sera ho cominciato a seguire la festa alla tivù, ma prima delle dieci già dormivo... L'importante è che fossero presenti i miei ragazzi, i protagonisti dell'impresa dell''83. Loro in fondo erano lì anche per me». S'era trattenuto a telefono quasi una mezzora, dribblando le preghiere del figlio Carlo («Dai, papà: ti stanchi») come avrebbe fatto con qualsiasi avversario - perché da calciatore se possibile è stato più grande che in panchina - sessant'anni fa, quando batteva il Brasile alle Olimpiadi o s'arrabbiava con Viani che voleva togliergli la maglia numero 10 del Milan per darla a Schiaffino. In mezzo a pause lunghissime, ci aveva parlato del gioco di Spalletti («Quello della mia Roma era più elaborato: ma questo mi piace tanto, l'allenatore è proprio bravo»), di Totti («Credevo di aver scoperto il più grande talento della mia carriera a Milano, quando lanciai Paolo Maldini ad appena sedici anni. Ma ancora non avevo visto Francesco... 
Questo però non scriverlo: in A l'ha fatto esordire Boskov, non voglio prendermi meriti che non ho»), di Franco Sensi («Come sta? Ho lavorato di più con Dino Viola, ma lui è un grandissimo dirigente: ogni volta che la Roma vince penso prima di tutto alla gioia che prova. E' un tifoso sfegatato, se la merita tutta»), della malattia che lo aggrediva sempre più («Mi distrugge soprattutto dover stare tanto tempo a letto: mi manca il sole, mi mancano le passeggiate»), della prossima vendemmia. Nascerà un gran vino anche quest'anno, dai dodici ettari della tenuta di Cuccaro Monferrato. Nils ne era sicuro e ne parlava dimenticando la sua indescrivibile passione per la cabala e per la scaramanzia: «Il Grignolino sarà una meraviglia. Ma anche il Barbera, il Cabernet, il Sauvignon».
Prima che calciatore e allenatore, era nato contadino. E scaramantico: giocatori selezionati con un occhio allo zodiaco (una predilezione per la Bilancia, il suo segno), collaboratori-maghi come il famoso Mario Maggi di Buscate, amuleti spars ovunque. Lui nato sì davanti al mare, ma non quello di Forcella: a Valdemarsvik, su un fiordo, sulla costa orientale della Svezia, i pescherecci ancorati alle banchine: «L'uva mi ha sempre affascinato più dei merluzzi. Mio padre aveva un po' di terra, quando giocavo nel Norkoping mi chiese qualche corona per farci sù un po' di lavori: ti restituisco tutto nel giro di qualche mese, mi disse. Di lì a poco mi acquistò il Milan. Tranquillo, papà, gli feci sapere: sto in Italia due, tre anni, poi torno a giocare qui e a lavorare nei campi con te. E' passata una vita, papà se ne fece una ragione. A Valdemarsvik da allora mi rivide solo a Natale e qualche giorno d'estate». Sarà la produzione più triste, quella di Villa Boemia, il buen retiro scelto all'inizio degli Anni Settanta, l'angolo di paradiso impiantato a vigneti che sforna ogni anno poco meno di centomila eccellenti bottiglie. Nils ce le aveva mostrate con orgoglio, qualche anno fa. Ne aveva stappata una di purissimo spumante, mostrandoci orgoglioso l'etichetta: «L'ho chiamato 'Raggio di luna', il soprannome di Selmonsson. Non perché fossi più amico di Arne, rispetto ad altri. 'Raggio di luna' piaceva a mia moglie, è stata lei a sceglierlo. E io ho accettato: potevo mica chiamare un vino così 'Professore', come Gren, o 'Pompiere', come Nordhal». Sarà la produzione più triste, tra i filari del Monferrato, che ieri Liedholm ha salutato per sempre. In punta di piedi, a modo suo. Il clamorenon gli è mai piaciuto, da quando è uscito dagli stadi. Per questo ci si era riaffacciato così di rado, negli ultimi dieci anni. Il calcio lo seguiva sempre, sia chiaro. Senza smarrire un'oncia del suo fiuto di talent-scout. A primavera del 2000, aveva segnalato a Sensi due giocatori svedesi, due attaccanti grandi e grossi così: Elmander, che in estate Pradé ha cercato di strappare al Tolosa, e soprattutto Ibrahimovic. Non se ne fece nulla sola perché il presidente, che stravedeva per lui, stava già svenandosi per Batistuta. Liedholm commentò con lo stile e l'intuito di sempre: «Quelli possono essere il futuro, Batistuta è il presente: con quel carrarmato vicino a Totti, arriverà il terzo scudetto». Chissà che qualcuno anche allora non abbia pensato ai suoi celebri paradossi. Alle partite che si giocano meglio in dieci, agli schemi che funzionano alla perfezione solo in allenamento e senza avversari, a Valigi che poteva diventare un altro Falcao, alla sua precisione nei passaggi che una volta fece letteramente esplodere San Siro, «perché finalmente, dopo due anni, ne avevo sbagliato uno».
Grande strepitoso Nils, maestro di calcio e di ironia, di buona tavola e di scaramanzie. Aveva compiuto ottantacinque anni poco più di un mese fa, l'8 ottobre. Se ne è andato ieri, inarrivabile anche nella discrezione con cui ci ha lasciato in balia del ricatto dei ricordi. Maledizione: non è passato neanche un giorno e già ci manca orribilmente. 
2 Gennaio 2005
Nils Liedholm si fa aspettare, deve finire la seduta di fisioterapia.
"Ho fatto con le braccia venti sollevamenti di venti chili" racconta poi fiero, seduto sulla poltrona, dove smaltisce il malore dell'estate. Villa Boemia è immersa nella nebbia, le vigne sono nascoste.

Maestro, siamo ancora qui, ma ci farà bene questa nostalgia?

"A me di sicuro no, e a voi?"

Certamente no, ma il calcio adesso sembra così malato che si ha voglia di sentire qualche parola di saggezza dall'ultimo santone.

"Non dite così, non sono l'ultimo. Ho avuto decine di bravi giocatori e adesso sono tutti allenatori!"

Si diverte ancora a prendere in giro se stesso, gli alunni, chi lo ascolta, ovviamente più gli alunni e chi lo ascolta.

 "Mi telefonano in tanti qui per sapere come sto, per salutarmi. Ha chiamato Capello, ha chiamato Ancelotti. Con Carlo ci facciamo sempre delle grandi risate. Quando era giocatore invece era sempre molto silenzioso: si vede che stava studiando".

Villa Boemia è uno strano posto, dovrebbe essere un museo del calcio e invece si cura solo di vino: ma ugualmente emana sapienza e umori che il 
santone sparge livemente intorno. Che cosa le chiedono i suoi 'alunnì , consigli, idee. schemi?
"Mi dicono che non vengono capiti, si lamentano dei dirigenti. Io non dico niente loro, non è che vengano a studiare da me. Ma mi sembra che abbiano preso degli insegnamenti da me. Adesso gran parte delle squadre puntano al mantenimento della palla".
 
Eh già, cominciò lei con Roma, trent' anni fa.
"Certo, è meglio stancarsi avendo la palla che stancarsi dovendo rincorrerla".
 
Il pellegrinaggio dalla Svezia è ininterrotto: prima sono passati 26 membri della federazione, poi una quarantina di soci di un gruppo guidato da Tomas Nordahl, il figlio di Gunnar. Salutano Nils e partono con il vino, una buona scusa per venire fin qui, a Natale l'intera Svezia ha stappato il Barbera liedholmese. Da Norkkoeping gli hanno chiesto maglie di quando giocava.
"Non ne ho avuta nessuna, le restituivo sempre, perché le maglie erano della società".

Insomma, non le ha mai tirate in curva agli ultrà. Della nazionale campione olimpica del '48 sono rimasti solo Liedholm e il portiere Torsten Lindberg, che ha 86 anni.

"Fa parte a Malmoe di un club di gente che fa il bagno a mare tutto l'anno".

Acqua gelata d' estate gelata d' inverno. Ma è stata più importante quella vittoria o il secondo posto del '58, dietro il Brasile?

"Più importante la vittoria olimpica. Venivamo dalla guerra, eravamo stati isolati, non sapevamo cosa potevamo valere".

Liedholm olimpionico, e chi se lo ricorda mai in mezzo a Falcao, Schiaffino, San Siro e a tutte le barzellette che ha raccontato nella sua vita. Maestro, e quando nella finale di Stoccolma siete andati in vantaggio, avete pensato che potevate vincere?

"Il guaio di questa finale è che noi non avevamo visto nessuna partita del Brasile prima. Loro invece ci conoscevano".

E poi avevano tirato fuori il genio di Pelè.

"Ma l'impressione che ha lasciato Pelè quel giorno non è nulla in confronto a quella che lasciò Garrincha". 

Finì 5-2 per il Brasile, per chi non dovesse ricordarlo.

"E la medaglia d' oro del '48 è in cassaforte" rassicura Liedholm.

Alt. Non divaghiamo, concentriamoci sulle miserie
presenti. Torniamo al pane quotidiano: la crisi, gli arbitri, le tv.
"Sapete cosa dicono in Svezia? Che Kakà ricorda un poco il Liedholm giovane.  Mi piace molto. Io forse ero più potente, ma anche lui, che sembra esile, ha invece insieme intelligenza e forza. E una rapidità che lo fa essere un buon giocatore e anche oltre".

Ma qual è la partita che le è piaciuta di più quest' anno?

"Juventus-Milan".
 
Strana scelta, uno 0-0.
"Lì meritava di vincere il Milan, Ancelotti è proprio bravo. La Juve mi ha deluso ma penso che possa vincere lo scudetto".

Sicuro che guardando questa partita non stesse pensando ad altri Juve-Milan?

"Il primo anno che ero in Italia, perdemmo in casa 1-0, loro segnarono e poi noi fummo sempre all'attacco ma senza riuscire a pareggiare. Brera ci 
criticò tantissimo. Al ritorno ci preparammo in maniera speciale. In panchina c' era l'ungherese Czeizler: allenamenti durissimi e poi da metà 
della settimana a riposo. Vincemmo 7-1. Era anche la rivalità tra gli svedesi del Milan e i danesi della Juve".

Rivalità che non si è vista nel 2-2 chiacchierato degli Europei. Ma mettendo da parte Danimarca e Svezia, che pensa di questo campionato con due squadre in testa e le altre tutte lontane, le piace questa dittatura?

"Ma una dittatura di due squadre è sempre meglio di una dittatura di una squadra sola, non vi pare?"

E la povera Roma, che ne sarà di lei? Perderà Totti e Cassano?

"Totti ha uno spirito molto romano, con il quale ci si può intendere subito oppure mai. Io penso che non sia la Roma che deve fare grande lui ma lui che deve fare grande la Roma. Lui e Cassano sono particolari, sembrano leggeri ma poi ti danno di più di quello che ti aspetti. E sono molto allegri, e questo è un bene, vuol dire che mettono poi allegria nel gioco che fanno. E un allenatore deve stare su questo loro piano".

Cioè, prenderli da parte, raccontare loro delle barzellette?

"Certo, perché no?"

Nel salone del camino c' è una foto, Liedholm che stringe la mano a papa Wojtyla. Ci si immaginava di trovare lui che si abbraccia a Di Stefano.

"Ah, il più grande di sempre, un motore abbinato alla tecnica. Alla vigilia di Roma-Real Madrid quanto siamo stati insieme a ricordare quella volta  che... "

Certamente la finale di Coppa dei Campioni del '58, che il Milan perse 3-2 ai supplementari mangiandosi gol su gol: di nuovo la nostalgia che ci
prende.
"Sapete perché i campioni del passato sembrano più grandi di quelli di adesso? Perché allora giocavano con compagni più scarsi, e allora la loro  luce brillava molto di più. Ma anche adesso che lo so preferisco il calcio degli anni '50".

Alcune rivoluzioni fa: ma ha visto che Berlusconi si è dimesso? E' in buoni  rapporti con lui?

"Ottimi. Quando portò Sacchi al Milan voleva che rimanessi come dirigente ma  io avevo la proposta di tornare alla Roma. Ha organizzato una cena a San Siro per il mio 80 compleanno c' erano tutti, lui, Confalonieri, Galliani, i giocatori. Io me lo ricordo da giocatore, l'ho visto tante volte quando faceva il centravanti".

Ha visto giocare Berlusconi!?

"Oh, sì, era un centravanti velocissimo".

Questa è davvero l'ultima battuta da applausi, che combatte una metafora un po' deprimente, la notte che fuori sta scendendo sulle Langhe, nebbia
seguita da notte.
Progetti per il futuro?
"L'anno prossimo ricominceremo a produrre il 'Raggio di luna , lo spumante".
 
Riappare così Selmosson, in questo museo del calcio mancato, il laziale diventato romanista. Non potrà venire all'Olimpico per il derby, lo vedrà in tv.
"Ma credo che vincerà la Roma".
 
Che dobbiamo dire per lasciarci, forza Roma o forza Milan?

"Tutte e due, naturalmente". 
 
"Ci sentivamo liberi grazie a Liedholm. Talmente liberi, che una volta ci ha mandati all'ospedale. Tutti insieme, in trasferta con la barella. Dovevamo andare ad Avellino per la Coppa Italia, il programma era il solito: allenamento al mattino, pranzo insieme a Trigoria e poi partenza. Purtroppo quella volta eravamo in anticipo e il nostro allenatore ha avuto l'idea del secolo. Ci ha portati a vedere la Lazio al Flaminio. ‘ragazzi, è di strada…’ Li morta…. sua. La Lazio. Siamo arrivati senza avvertire nessuno e, come dire?, non siamo passati inosservati. Una macchia giallorossa sul tappeto buono del nemico. I tifosi si sono accorti di noi e ci hanno accolti da veri cugini: ‘merde!’. Tutto lo stadio girato verso la tribuna, la nostra. Così per ottanta minuti; a dieci dalla fine ce ne siamo andati via. Il pullman della squadra era parcheggiato a duecento metri dalla tribuna. Liedholm aveva due amici vigili e si è barricato nel loro camioncino, noi ci siamo dovuti arrangiare. Siamo scesi dalla chetichella, siamo arrivati nel piazzale e abbiamo trovato tutta la curva della Lazio ad aspettarci. Che carini. Camminavamo e ci prendevano a calcio. Allungavamo il passo e ci insultavano. Correvamo e ci facevano lo sgambetto. Un assalto in piena regola, roba pesante. Mi hanno tirato di tutto, per la prima volta ho messo in pratica gli insegnamenti del maestro. ‘palleggia di destro’ e ho dato un calcio nel sedere a un laziale. ‘palleggia di sinistro’ e via con un altro calcio. ‘fai lo slalom’ e ho schivato un paio di paletti biancocelesti. ‘fai finta’ e ne ho dribblati altri due. Ce la siamo vista brutta, a fatica abbiamo raggiunto il pullman. Dovevamo contarci, ma Liedholm non era ancora arrivato. Quelli hanno preso delle pigne da terra e ce le hanno tirate, spaccando i vetri. Qualcuno di noi si è ferito e ha iniziato a sanguinare. Non sapevamo cosa fare, per ripararci ci siamo sdraiati lungo il corridoio fra i sedili. Un piccolo inferno. Dal nulla, a un certo punto, è ricomparso Liedholm, pettinatissimo e scortato dai due vigili.
‘ragazzi, cosa è successo?’
Glielo abbiamo spiegato in coro: ‘ma vaffa!’

Era un personaggio, un fenomeno. Prima delle partite importanti obbligava il dottor Alicicco a raccontarci le barzellette nello spogliatoio, quel pomeriggio la barzelletta eravamo noi. C'era una volta la Roma in casa della Lazio... Al pronto soccorso ci hanno dato talmente tanti punti che avremmo potuto riempire due classifiche.

Carlo Ancelotti sul Barone Liedholm che oggi avrebbe compiuto 100 anni.

Dal libro: Preferisco la Coppa






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