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Prese la Roma nel
maggio del 1979. Il discorso della corona a
Trigoria, accanto alla piscina. Anzalone pianse.
Viola chiamò Liedholm, cui aveva strappato una
promessa qualche anno prima: nacque la coppia
scudetto. Insieme hanno disegnato pagine
indimenticabili. Uno con il violese, l’altro con
l’italiano più assurdo che si ricordi, ma si
capivano. Roma seconda il primo anno, terza e infine
prima. Viola aveva fatto il presidente a Palestrina,
altro mondo, ma non per lui, che disse di aver
capito tutto del calcio proprio in quegli anni.
Aveva capito qualcosa degli arbitri. E raccontò poi
di aver pagato regolarmente per un anno un signore
del nord, ma solo per evitare ritorsioni. Non vinse,
però fece cacciare i fischietti corrotti. Lo
scudetto nell’ottantatrè, la finale di Coppa dei
Campioni contro il Liverpool l’anno successivo. Dopo
Liedholm, Eriksson, di nuovo Liedholm e poi Radice e
Ottavio Bianchi. Quattro volte la spuntò in Coppa
Italia.
Caso Vautrot e caso Lipopil, due spine, ma
ci si può stare. Ha vinto tante di quelle battaglie,
del resto. Fece allenare Eriksson e non era
possibile, acquistò Cerezo e neppure questo era
possibile. La sconfitta vera per il Lipopil, ma
sotto c’era altro. Lo volevano far fuori e un giorno
si saprà e si dirà perché.
Il
ventun dicembre del 1990, prima di salire a Cortina,
si sottopose alla consueta visita medica. Se gli
dissero qualcosa non lo sapremo mai. Di sicuro il
presidente si guardò bene dall’informare la
famiglia. Andò in montagna, come al solito. Si sentì
male, l’operarono d’urgenza. Riportato a Roma e
messo in clinica, dopo quattro giorni si arrese,
mentre Roma tratteneva il respiro. A letto, da
attore protagonista, come sopra un palcoscenico: si
lamentava del fatto che i giornali si occupassero
più della guerra del Golfo che delle sue condizioni.
(Roberto Renga)
INTERVISTA AL GUERIN
SPORTIVO 1982/83
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