INTERVISTA
A GIORGIO ROSSI
(Corriere
dello Sport 09-11-06)
«I
miei 40 anni con la Roma»
I ricordi
e le emozioni di un massaggiatore entrato nel cuore di tutti «Con
Spalletti un’esperienza entusiasmante, prima di chiudere vorrei vincere
il mio terzo scudetto. Con un’altra serie record possiamo farcela»
Dall’inviato
a Trieste Guido D’Ubaldo
Settantasei
anni e non li dimostra. Giorgio Rossi è un’enciclopedia vivente
della Roma, un patrimonio da preservare e rispettare. De Rossi gli ha regalato
il gol contro la Fiorentina per il suo compleanno, per i giocatori è
un papà, per i più giovani il nonno buono. Conosce mille
segreti dello spogliatoio, un totem al quale anche i tifosi portano rispetto,
di fronte al quale neppure Capello alzava la voce. Il primo allenatore
con il quale ha lavorato è stato Guido Masetti, per la prima volta
è andato in panchina nel 61-62. Può raccontare la storia
della Roma, il suo è un romanzo appassionato e appassionante. Questo
è un omaggio a Giorgio Rossi, il massaggiatore della Roma. Anzi,
un pezzo di storia della Roma.
Settantasei
anni di vita romanista Roma. E De Rossi domenica ha voluto festeggiarla
in modo speciale.
Giorgio
Rossi, dica la verità: si è emozionato?
«Il
mio compleanno era stato il martedì precedente, quando giocammo
contro l’Olympiacos. Daniele mi disse: “se faccio gol te lo dedico”. A
dire il vero io me ne ero dimenticato, invece De Rossi è stato di
parola. Mi ha regalato una grande felicità, perchè non è
stato un gol come gli altri. Da quel momento la partita è cambiata
e l’abbiamo vinta».
Nell’esultanza
ha preso anche qualche schiaffo in testa...
«Sa,
i ragazzi hanno questa usanza, io ho pochi capelli, ma non ho sentito niente,
erano carezze affettuose ».
Come
cominciò la sua avventura alla Roma?
«Feci
una prima parentesi in prima squadra nel ’61-62, quando c’era il direttore
tecnico Busini. Un Roma-Torino finito 0-0 fu il mio esordio assoluto. A
quei tempi ci si allenava tutti al Tre Fontane, la prima squadra e le giovanili,
io facevo anche il massaggiatore della De Martino, una selezione mista
che partecipava al campionato riserve. Si giocava al Flaminio ed era quella
l’anticamera della prima squadra. Poi diventai ufficialmente il massaggiatore
della prima squadra nel ‘73, l’ultimo anno di Helenio Herrera, che alla
fine del campionato fu esonerato e arrivò Tonino Trebiciani. Quante
ne combinava il mago...».
Cioè?
«Aveva
le sue piccole manie. Prima delle partite caricava la squadra: “Si vince
sicuro”. Poi spesso le cose andavano in altro modo. Ricordo il povero Camillo
Anastasi, che era il segretario di allora, che doveva correre sempre per
risolvere i problemi che creava il mago».
L’anno
dopo, esaurita una breve esperienza di Manlio Scopigno, arrivò Nils
Liedholm.
«Ecco,
con il Barone ho avuto una rapporto speciale. Mi trovai subito bene, stabilimmo
un rapporto umano intensissimo. Bisognava seguirlo in tutta Italia nella
sua ricerca di maghi e maghetti. Ci faveva fare lunghi ritiri a Busto Arsizio
e a Castano Primo, dove abitava il mago Maggi. Raccontava che gli aveva
salvato la vita ed era convinto che curasse i giocatori a distanza. Aveva
scaramanzie particolari, ma venivano fuori anche situazioni simpatiche.
Però sapeva essere anche severo. Ogni tanto, quando si arrabbiava,
i giocatori gli stavano a distanza. Ha avuto qualche battibecco anche con
Falcao. Il Barone aveva l’abitudine di dare la formazione nello spogliatoio.
Una volte chiese undici foto dei giocatori e le mise su un tavolo. Le aveva
viste il mago e aveva detto che quei giocatori avevano positività.
Giocarono loro. Aveva anche altre manie, il Barone. Se un giocatore aveva
avuto anche un piccolo incidente con la macchina in settimana, la domenica
non lo faceva giocare. Una volta io e Fabbri, il vecchio team manager,
ci dovemmo inventare una... bottiglia di acqua santa. Perinetti andava
a prendere questa acqua miracolosa da una maga a Coverciano. Una di queste
bottiglie cadde e si ruppe. Così noi ne prendemmo una uguale e la
riempimmo di semplice acqua di rubinetto. Andò bene lo stesso perchè
vincemmo 4-1 contro la Fiorentina. Liedholm a volte faceva anche benedire
le maglie dei giocatori che scendevano in campo».
Sempre
in tema di superstizioni, una volta capitò che Bacci, un giocatore
degli anni Settanta, per sbaglio nello spogliatoio indossò il cappotto
del Barone...
«Eh
sì e fu la sua rovina. Avevano la stessa taglia, si trattò
di un errore banale. Bacci trovò nella tasche tanti amuleti. Non
so se quell’errore gli costò il posto... Ricordo anche ritiri interminabili
con il Barone. Partivamo il mercoledì per andare a Castano, dove
abitava il mago Maggi, per giocare la domenica a Cagliari. A dire la verità
non era neppure un grande albergo, tanto che noi dello staff finivamo nella
dependance. Ma era importante stare vicino alla casa del mago. Si partiva
con il vagone letto, che Liedholm preferiva all’aereo».
Resta
comunque una persona speciale.
«Non
c’è dubbio. Era carismatico e aveva il suo caratteristico modo di
fare tra il serio e il faceto. Il suo carisma era condito da episodi, raccontava
storie affascinanti. Di quando fece gol da centrocampo, delle famose finte
con gli occhi. Ecco, le finte con gli occhi me le ricordo anche quando
tornò l’ultima volta, dieci anni fa, quando rilevò la squadra
da Carlos Bianchi con Ezio Sella. Anche allora ed era già anziano,
una volta prese da una parte Fonseca... Credo che Daniel ancora se lo ricordi.
Di me si fidava molto, ma ho avuto rapporti di stima e fiducia con tutti
gli allenatori con i quali ho lavorato, da Liedholm a Spalletti, passando
per Ottavio Bianchi, Radice, Boskov».
Già,
Radice. Rimase solo un anno, ma lasciò un buon ricordo.
«Era
un tipo deciso. Gerolin con lui si faceva un sacco di risate. Radice, per
quell’incidente con Barison, perse un dito della mano. Durante le partite,
sui calci di punizione, urlava ai giocatori: “Mettetevi in cinque in barriera”
e faceva il gesto con la mano aperta. Gerolin gli rispondeva: “Ma come
cinque, sono quattro...“».
Centinaia
di giocatori sono passati sotto le sue mani. Con alcuni ha avuto un rapporto
speciale.
«I
brasiliani li ho sempre seguiti con premure e attenzioni. Quando arrivavano
in Italia soffrivano molto il freddo. Cerezo vide per la prima volta la
neve a Reggio Emilia, in occasione di una partita di Coppa Italia. Quasi
si emozionò, ma aveva i piedi gelati. Gli facevo massaggi con un
crema che brucia da morire. Gliela misi su tutti e due i piedi, abbondante.
Riuscì a giocare, ma i piedi gli bruciarono per tre giorni. Lo stesso
è capìtato con Zago, Aldair. Allora si usava mettere un po’
di olio per attutire il bruciore».
Quali
sono stati i suoi maestri?
Angelino
Cerretti, Roberto Minaccioni, poi Vittorio Boldorini, che arrivò
in prima squadra quando la Roma passò da Anzalone a Viola».
E poi
ci sono stati alcuni personaggi-meteore. L’olandese Smit, con il suo collaboratore
cinese, che vennero con Eriksson.
«Smit
usava una tecnica particolare, usava le mani, i gomiti, anche il ghiaccio.
Eriksson arrivò vicino allo scudetto. Se non ci fosse stata quella
partita contro il Lecce. Pensi, Fascetti era squalificato e in panchina
c’era Neri, il padre di Massimo, che fu poi preparatore atletico della
Roma».
Quella
fu proprio una partita strana. Cosa ricorda?
«Che
il portiere Negretti fece il fenomeno. Per il Lecce segnò anche
un ragazzo della Primavera. Se avessimo vinto quella partita lo scudetto
sarebbe stato nostro. E invece Negretti fece il fenomeno. Poi sparì
».
Tra
tanti allenatori, uno che è durato poco è stato Carlos Bianchi.
«Con
gli allenamenti che faceva aveva sconvolto i ritmi dei giocatori. Tre sedute
al giorno, la sveglia alle sette perchè voleva la squadra in campo
molto presto. Alcuni giocatori non lo vedevano bene, gli dicevano di tutto.
Chi faceva tutto era Santella, il suo preparatore atletico. Sergio Santarini,
che era il suo secondo, mi diceva che erano gli stessi metodi di allenamento
che adottava molti anni prima Lorenzo».
E Zeman?
Che tipo è Zeman?
«Anche
con lui il rapporto è stato bellissimo. E’ un allenatore eccezionale.
Faceva tutto da solo, aveva un solo collaboratore, Cangelosi, dalla preparazione
atletica alla tattica, faceva tutto da solo. Faceva lavorare molto i giocatori,
in campo li spremeva come limoni. I gradoni di Trigoria se potessero parlare...
Una volta Totti si allenò da solo con lui. Non gli diede tregua
».
Capello
rimase più a lungo e vinse uno scudetto.
«Sono
stato bene anche con lui. Un allenatore molto severo, parlava poco. Lo
scudetto conquistato con Liedholm fu più sentito, mi diede una gioia
immensa, anche perrchè non si vinceva da tanti anni. Ma quella di
Capello era una squadra eccezionale, non lasciava scampo a nessuno. La
festa fu rovinata a Napoli, quando pensavamo di conquistare lo scudetto
con una settimana di anticipo. Ma la settimana dopo contro il Parma fu
incredibile. Quante borsate di ghiaccio ho dato ai tifosi che facevano
invasione. Volevano prendersi di tutto, per loro anche un cerotto era un
cimelio da conservare. Ci stavano spogliando. Fu bravo l’arbitro, che capì
lo spirito di quella partita ».
Quando
andò via Capello la Roma cambiò quattro allenatori in una
stagione. Fu un’annata triste.
«A
noi dello staff tutti quei cambi ci sconvolsero, ci misero quasi in crisi.
Ogni allenatore ha i suoi orari, le sue abitudini. In pochi mesi abbiamo
cambiato quattro gestioni diverse. Ogni volta bisognava organizzarsi di
nuovo daccapo. Aver ritrovato Voeller e Conti allenatori è stata
per me una sensazione particolare. Quell’anno tutti sono incappati nel
ciclone Cassano. Con me Antonio si è sempre comportato con rispetto,
ma aveva i suoi modi di fare. Ci parlavi due ore, ti dava ragione, poi
si girava e faceva come gli pareva. La Roma gli aveva dato tanto. L’amicizia
con Totti, Montella lo aveva accolto nella sua camera in ritiro. Non è
servito a niente. Il carattere è quello che è».
Di
nessun giocatore riesce a parlare male.
«A
qualcuno ti leghi anche in modo particolare. Li ho tutti nel mio cuore.
Li considero come figli. Vivendo con loro tutti i giorni raccogli le loro
confidenze, condividi amarezze e gioie. Aldair, Bonetti, Desideri, il capoccione.
Di tutti conservo un ottimo rapporto. Anche di Cervone, carattere particolare,
ma un vero uomo. In una partita contro l’Inter prese Berti per il collo.
Quel giorno l’Inter fece il pianto greco, chiedendo di non infierire. Come
si dice, meglio due feriti che un morto. Ma Berti fece il furbo. E Cervone
lo andò a prendere nel sottopassaggio»
Le
è
mai capitato di protestare con un arbitro?
«No,
anche con loro il rapporto è stato sempre buono. Anni fa, quando
si giocava in casa, si facevano i massaggi anche agli arbitri, prima delle
partite. Ricordo Casarin, Rosario Lo Bello».
E’
vero che per molti anni Totti si faceva massaggiare solo da lei?
«Di
massaggi gliene ho fatti tanti. E poi per i giocatori ho tante attenzioni.
Le fasciature, un’aspirina, un moment per il mal di testa. E oggi devi
essere molto preparato, per evitare che un calciatore prenda una medicina
che risulta doping».
Di
lei il grande pubblico ricorda soprattutto di quando salvò la vita
a Manfredonia.
«Lionello
lo ricordo con affetto, quel giorno a Bologna non si sentì bene.
In campo c’erano 7 gradi sotto zero, ma gli spogliatoi faceva caldissimo.
Si vedeva che non stava tanto bene e Bruno Conti lo prese un po’ in giro:
“Lione’ come sei pallido. Si vede che sei dei Parioli, Non come noi di
Nettuno che siamo ruspanti”. Ebbe una crisi cardiaca. La prima cosa che
ho pensato di fare è stata quella di aprirgli la bocca. Fortunatamente
nella borsa avevo delle forbici. Oggi è tutto molto diverso, gli
stadi sono più organizzati ».
Centinaia
di trasferte, di alberghi, di viaggi...
«Ricordo
il freddo di Tampere, di Praga, di Mosca. Le trasferte più belle
erano quelle americane. Andavamo in tournèe, erano gite. Una volta
negli Stati Uniti Francesco Rocca doveva giocare per contratto. Ma aveva
le vesciche ai piedi e facemmo di tutto per metterlo in campo. Il suo infortunio
è stato un grave colpo per il calcio italiano. Quando stava bene
mise sotto Lato, che era velocissimo. Quando giocava in Primavera il suo
avversario alla fine del primo tempo era morto. Una volta Cordova gli disse:
“A France’ frena un po’, se no quando arrivi sul fondo non trovi nessuno”».
Spalletti
il suo ultimo allenatore.
«Il
primo fu Guido Masetti. Quella che sto vivendo con Spalletti è un’esperienza
entusiasmante. E’ un allenatore che vive con i giocatori sul campo. Si
allena con loro, corre con loro. E’ molto legato ai suoi giocatori e in
campo cura tutto, dalla A alla Z. Ho conosciuto molti tecnici che facevano
allenamenti più leggeri, oggi il calcio moderno richiede grande
velocità».
I suoi
pupilli chi sono stati?
«Come
potrei non dire Totti? E poi Di Bartolomei. Agostino mi è mancato
moltissimo. Lo avevo avuto negli Allievi, nella Primavera. Viveva in simbiosi
con questa pistola. Una volta il Barone ci portò a vedere una partita
al Flaminio. I tifosi della Lazio ci riconobbero e Agostino li fece scappare.
Dormiva con questa pistola sotto il comodino. La sera in ritiro gli procuravo
una tavoletta di cioccolato al latte. Gli piaceva molto. Allora qualche
volta scherzava con quell’arma. Gli dicevo: “Agosti’ leva sta bajaffa,
se no non vengo più a trovarti. E’ mia abitudine la sera fare il
giro
delle stanze dei giocatori, magari solo per dare la buona notte, o per
qualche dolce. Amedeo Carboni, che ho rivisto a Valencia, mi ha detto:
“grazie ancora per tutti i kit kat che mi hai dato. E poi ho sempre pacchetti
di gomme con me. Tutti i giocatori me le chiedono prima di salire sul pullman
per andare allo stadio. Forse è un modo per scaricare la tensione.
Mazzone li faceva bere molta acqua prima delle partite, ora con il dottor
Brozzi gli diamo una soluzione di zucchero, acqua e limone. Mazzone appena
arrivò mi fece una battuta: “So che ha qualche cocchetto, però
se vedi qualche movimento strano, ai giocatori digli che so tutto...“.
Anche gli allenatori sono stati giocatori ».
Ce
ne sono altri, allora, di preferiti.
«Guardi,
i tedeschi che sono venuti a Roma erano tutti bravi. Voeller, Haessler,
Berthold. E poi Comi, Piacentini, Giannini. Anche gli argentini, tutti
bravissimi. Chi parla male di Batistuta non lo conosce bene. E Guigou?
Un ragazzo dolcissimo. Una volta Capello dalla panchina urlò “Proprio
a me doveva capitare un uruguaiano che non mena?“».
Cosa
farà Giorgio Rossi da grande?
«Me
ne voglio stare in pensione. A dire il vero sono già pensionato,
seguo la Roma per affetto, anche se oggi faccio qualche trasferta di meno.
Ma prima di chiudere vorrei vincere un altro scudetto. Se infiliamo una
serie come quella dello scorso anno possiamo farcela». |
2006/07
Roma/Fiorentina
3-1
De
Rossi abbraccia Giorgio Rossi
dopo
il gol
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