No,
non lo sapete. Non lo sapete perché ieri
pomeriggio e ieri sera
è successo quello che è successo. Ed è proprio
questo
il motivo per cui succede e continuerà a
succedere. Per la distanza
che da trent’anni ci separa. Una giusta
distanza. Tutti scrivete, tutti
sapevate, tutti avete opinioni e soluzioni. Ma
nessuno capisce che in realtà
è la distanza che determina questo stato delle
cose. Una distanza
sempre uguale, da sempre, da Furlan a Sandri,
da Colombi a Raciti. Ma quale
caccia al poliziotto..ma quale l’agente voleva
fermare la rissa..ma quale
complotto al derby sospeso. Non è colpa di
nessuno se in questo
paese l’abitudine all’impunità è diventata
assuefazione.
E chi non si assuefa, per volontà, per
mancanza di strumenti o per
il rifiuto di strumenti, che ad altro non
servono che a sopportare, fa
quello che fa. Reagisce. Agisce. Sbaglia. Fa
bene. Fa male. Ma fa. Sappiamo
tutti che quell’agente non pagherà. Ci hanno
abituato a questo.
Ci hanno abituato nei secoli. Ma anche
recentemente. E non pagherà
perché la tensione che si è inevitabilmente
alzata verrà
usata(di fatto già lo è) per pareggiare il
danno. Ma il danno
culturale, la frattura..la distanza non è così
che si ripara.
Così si afferma. Si sentenzia. Si scolpisce
dentro le persone, nella
loro vita quotidiana, nei pensieri, nei gesti
e nello strato più
profondo dell’animo. La distanza. Giusta
perché ancora una volta
nessuno ammette, nessuno si dimette,
nessuno è e sarà
vero nella verità delle cose. Nessuno ha
sparato come conseguenza
di uno scontro tra ultras. A uccidere Raciti
non è stato il diciassettenne.
Il bambino morto al derby è stato creduto
possibile da 70.000 persone
perché 70.000 persone erano testimoni dalle 18
di quel pomeriggio
della violenza dei reparti della finanza
attorno allo stadio olimpico.
La distanza la mettono i pomeriggi domenicali
con le loro discussioni sull’accaduto
affidate a Moggi e Belpietro. Condannano
l’odio. Loro, che di odio sono
maestri nelle rispettive vite professionali.
La giusta distanza la mettevano
gli opinionisti Biscardiani che se le davano
peggio che in qualsiasi autogrill
dell’A1 e che oggi scrivono editoriali
condannando ieri pomeriggio e ieri
sera. Pareggia. Pareggia il danno. Sandri è
morto come un qualsiasi
pischello Napoletano che senza casco sul
motorino a 14 anni viene sparato
alle spalle perché non si ferma ad un
controllo di polizia. Sandri
è morto come un qualsiasi operaio pagato in
nero che casca da un
ponteggio di otto metri. E’ morto in un modo
assurdo e ingiusto. E’ la
paura che questa morte resti tale a mandarti
fuori di testa. Perché
è POSSIBILE che resti tale. Possibilissimo in
questa società
civile dove quattro cazzotti o venti minuti, o
un’ora di tafferugli contemplano
spari in faccia mentre migliaia di famiglie
rovinate da un crack finanziario
possono andare a fare in culo. Loro. E non chi
li ha ridotti così.
Questo è quello in cui le giovani leve
crescono e senza accorgersene
incamerano. Questa è l’acqua che bevono. La
carne che mangiano.
I sogni che non sognano. Questo è quello in
cui i più adulti
cercano di galleggiare. E’ questo il nostro
paese di cui si canta l’inno.
In cui uno che si dopa in tv vince il pallone
d’oro ed è chiamato
a testimone dei valori dello sport.
La distanza ce la teniamo. A questo punto la pretendiamo. In lei ci riconosciamo, la difendiamo. Ci saranno sempre due verità nello stato delle cose. La nostra la sappiamo. La sapremo sempre e sempre la cavalcheremo. Senza sosta, senza tregua. Non curandoci delle “leggi del branco” con cui cercano di incasellarci in sondaggi e programmi tv o affibbiando stemmi di partito o appartenenze terroristiche. Che dicano, che scrivano, che reprimano. Biglie, sassi, punteruoli. Era un ragazzo buono e gentile. E se fosse stato cattivo? Faceva differenza? Doveva morire con tre, quattro botte invece che una? Una morte insegna sempre. Per questo il modo migliore di ricordare Gabriele è dicendogli grazie anche se non si conosceva. Grazie perché molti da ieri saranno persone migliori. Lontano adesso. Distanti. Giustamente distanti. E lui è qui dalla parte nostra. E’ loro il disagio sociale. Soltanto loro regà. (12 novembre 2007) |