SIGNA: Crisanto, Nencini, Piampiani, Diegoli, Tempestini, Franzoni, Tempesti P., Dallai, Tempesti L., Cellai, Alesso. A disposizione: Lo Vasco, Camerini, Di Biasi, Giuliani, Paoli, Becagli, Paci, Mosca, Vitrani. Allenatore: Stefano Scardigli.
CERTALDO: D’Ambrosio, Pagliai, Vecchiarelli, Orsucci, Salvadori, De Pellegrin, Zanaj, Bernardini, Baccini, Nuti, Corsi. A disposizione: Calu, Innocenti, Bandini, Fagni, Razzanelli, Taraj, Pampalone, Bardotti, Piochi. Allenatore: Alberto Ramerini.
ARBITRO: Merlino di Pontedera.
Dopo gli
scontri sull’A1 il ministro dell’interno Piantedosi ha
decretato per noi lo stop delle trasferte per due mesi, un
lasso di tempo che ci bloccherà tre trasferte (Napoli
sarebbe stata vietata lo stesso). Nasce da qui l’idea di
fare tre trasferte alternative.
La prima partita è Signa-Certaldo,
scelgo questo incontro per un amico di stadio che oggi abita
in terra toscana e che ho piacere di rincontrare, e per
l’importanza della partita, una finale
di coppa italia eccellenza.
Parto in Flixbus, come spesso accade i viaggiatori intorno a
me sono un po’ di tutto, il fatto che il mezzo sia
particolarmente economico amplia ancora il misto di età e
culture.
Accanto a me ho una giovane coppia romena con una bambina,
di fronte una coppia di spagnoli in vacanza che passa il
tempo a studiare cosa vedere a “Florencia”, dietro a loro un
immigrato, magari in cerca di una situazione migliore più a
nord.
Mi colpisce un gruppetto di ragazzi dal look particolare,
una via di mezzo tra Emo e Trapper. Indossano occhiali da
donna, collane di perle, vestiti neri o giacche particolari.
Uno ha il ciuffo piastrato, li osservo e non riesco a
inquadrarli, sono quasi curioso di andargli a chiedere se
vanno a qualche concerto o dove ma alla fine non lo faccio.
Vedendoli vicino al pullman penso “questi perdono il
pullman”, ma a un certo punto salgono tutti, insieme a loro
al piano superiore del pullman salgono anche tre ragazze
scandinave molto belle (o forse non così tanto? Vedo capelli
biondi, occhi chiari e non sono più oggettivo…). Il viaggio
fila tranquillo, è prima mattina e ben presto mi addormento,
quando riapro gli occhi intorno a me dormono tutti. Facciamo
una pausa a metà strada in autogrill, l’autista dice “10
minuti, mi raccomando la puntualità onde evitare di rimanere
in stazione di servizio”. Scendo a sgranchirmi le gambe e
insieme a me i ragazzi Dark e gran parte del pullman.
Trascorsi i dieci minuti risalgo e riprendo posto, parte il
pullman, mi giro verso destra e vedo fuori il gruppo di
ragazzi Dark che rincorre il pullman, lo raggiungono e
l’autista stizzito, dopo una predica, li fa salire hahahaha
mentre ero seduto non avevo pensato che non li avevo visti
risalire, la profezia che perdevano il pullman si era
avverata…
In tre ore arrivo a Firenze, sono le tredici e la partita è alle 20,30, prima vado a pranzo con il mio amico e poi andiamo insieme a vedere lo stadio del Signa (dove abitualmente giocano le partite in casa, oggi invece la finale si disputa allo stadio Buozzi a Firenze). L’impianto è semplice e bello, il campo da undici è in erba vera, intorno una pista d’atletica dove si allenano delle persone. Per il pubblico ci sono due gradinate. Al centro sportivo incontriamo la squadra che fa una merenda pre gara, conosco il massaggiatore, che mi racconta – oltre la tensione per la finale che lo ha tenuto sveglio la notte precedente – alcuni dettagli tecnici. La squadra non ha con se tre elementi chiave, ma ha un portiere molto forte che viene dalle giovanili della Roma. Ha vinto due campionati da ragazzo per poi finire, la stagione precedente a quella in corso, in una squadra di serie C. Incontriamo anche il capitano, che oggi non può giocare e ci aggiorna sul clima spogliatoio. Ci dice che i ragazzi sono tranquilli e che stanno affrontando con serenità questa finale, con la voglia di giocarsela. Mi colpisce un rapporto così alla pari tra tifosi, società e giocatori. Sicuramente in realtà piccole è più facile che questo avvenga, ma potrebbe essere così anche altrove. Anni fa partecipai alla presentazione del libro “Giacomo Losi” e c’era proprio lui, core de Roma. Dopo un ampia presentazione in cui Losi raccontò vicende della sua vita che andavano anche aldilà di quelle contenute nella biografia, fu lasciato spazio alle domande. Io presi parola (e coraggio) e gli chiesi com’era – ai tempi in cui lui era giocatore – il rapporto tra calciatori e tifosi. Lui mi rispose che era un rapporto diverso da quello che c’è oggi, i giocatori non erano visti come divi ed erano tutti più vicini, facevano le cene con i tifosi. Ed è il rapporto, per chi lo ha conosciuto, che lui ha ancora con i tifosi, gentile, alla mano. Una situazione lontanissima da quella che vediamo oggi, ma il deterioramento dei rapporti secondo me, è responsabilità tanto di calciatori e società, quanto dei tifosi stessi. Perché se è vero che i giocatori oggi si sentono dei vip e spesso si credono su un altro piano rispetto ai tifosi, è anche vero che quando il tifoso incontra il giocatore, cerca di strappare foto e autografi per poi andare via, piuttosto che magari intavolare un discorso.
Lasciamo il campo per raggiungere l’appuntamento del gruppo, i Boys Signa. Lì conosco altri ragazzi tifosi della Roma, chi per origini romane, chi per altre vicende, esiste un piccolo nucleo giallorosso tra i tifosi del Signa. Uno di questi ragazzi in settimana aveva indagato sugli avversari scoprendo che giocano sempre con il 3-5-2 e che gli mancavano diversi giocatori importanti. Arrivati tutti si parte per Firenze, quando siamo allo stadio ancora non sono arrivati i tifosi del Certaldo. Facciamo sul momento il biglietto (10 euro) ed entriamo. Non vengo perquisito dallo steward (tranquilli signori di paese pagati dalla società) e dietro di me un ragazzo del gruppo entra con uno scatolone che sopra aveva delle sciarpe, la scena è questa:
-Che avete li?
-Abbiamo le sciarpe, le vendiamo dentro al settore
-Devo controllare?
-Se vuoi controllare… vedi sono sciarpe
Lo steward non ritiene di dover controllare, entrano così 40 torce. Per l’occasione oltre gli steward non c’è nemmeno un poliziotto e lo stadio non è videosorvegliato. Tamburo, bandiere, palloncini… entra tutto senza nemmeno essere controllato. Esistono ancora dei campetti periferici, delle remote provincie, dove i decreti non sono mai arrivati e si respira aria di libertà, ed è bellissimo. Dentro, gelidi gradoni di cemento, accanto al campo, di fronte a noi, un palazzo. Il freddo si fa sentire molto più che a Roma e bere diventa quasi una necessità. Sotto di me sembrava ci fosse un bar, girano bicchierini di plastica e bottiglie di Rum, Amari, Grappa, Limoncello… oltre chiaramente alla Birra. Tra i ragazzi c’è un bel clima, è un continuo di battute e risate.
Normalmente i tifosi del Signa non sono molto numerosi ma stavolta il fatto che si giochi una finale attira parecchio pubblico e intorno a me ci saranno almeno duecento persone. Il tifo parte subito alla grande, all’ingresso in campo delle squadre mini coreografia con palloncini, torce e bandiere, dopodiché partono i cori che – sostenuti da un tamburo – andranno avanti per tutta la partita. Sui gradoni c’è una comunità, la sintesi di un intero paese. Alla mia sinistra famiglie con bambini, sopra di me i ragazzi dei settori giovanili del Signa (tra i più casinari) tutto intorno dai signesi doc a quelli adottivi. Il tifo va avanti potente, i cori fanno eco sul palazzo dall’altro lato del campo, e si accendono molte torce e fumogeni. Il campo purtroppo, non ripaga la bella prestazione degli spalti e la partita finirà 1 a 0 per gli avversari e con questo risultato sfuma ancora una volta l’occasione del trofeo a Signa. Sarà comunque bello vedere i tifosi continuare a sostenere in modo incondizionato i giocatori, che a fine partita verranno sotto il settore a battere le mani e cantare, in ogni caso omaggiati.
La mattina dopo riparto per Roma, con la testa, ed il cuore, ancora immersi nella giornata precedente. Un misto di sensazioni positive, che mi porterò addosso per un po’. Il calcio dei gradoni è ciò che più mi riavvicina al calcio della mia infanzia, quello che giocavo su un campetto di terra sotto casa, dove la rete dietro una porta era bucata e ad ogni gol dovevi andare a recuperare il pallone, dove ho imparato a palleggiare passando ore e ore a farlo oppure dove facevo battimuro sotto le finestre finchè qualcuno non si affacciava – e alterato - mi chiedeva di andare al campetto. Un calcio dove giocavamo solo per il divertimento, magari con il sogno di diventare un giorno qualcuno. Nelle serie minori, in questi campi sgangherati, vedo allo stesso modo ragazzi che giocano solo per la gloria, per amor del gioco, per la propria comunità. E’ il vero calcio.
Marco