2012/13
Lo stadio del
Wolverhampton e storia di un week end perfetto
Sapete bene che il "nostro" sito è anche
una specie di diario personale, quanto meno poiché
dallo stesso traspare la mia quotidianità.
Quotidianità che ho cercato - riuscendoci - di
spezzare autoproponendomi un perfetto e solitario week end
in quel di Wolverhampton, a trenta minuti di treno da
Birmingham, nel cuore dell'Inghilterra industriale.
Cominciamo con il dire che il "pretesto" è stato il
concerto di un gruppo indie rock che ha avuto il suo apice
nei primissimi anni '90, i Ned's Atomic Dustbin, gruppo
caratterizzato dalla presenza di due chitarre basso, oltre
ovviamente alla chitarra normale, batteria e voce. Li avevo
già visti come supporto ai Carter the Unstoppable Sex
Machine a Londra a fine ottobre, ma 40 minuti -
ancorché vissuti al limite dell'infarto - non mi
erano bastati e quindi ho riorganizzato la cosa per il loro
concerto del 25ennale nella loro città natale, cosa
che mi consentirà di sperimentare - quale unico
europeo continentale nella cittadina inglese - lo stile di
vita della profonda Inghilterra.
E così, con una pioggia battente, alle 4.40 del
mattino prendo lo scooterone e raggiungo Fiumicino con
l'ovvio pensiero del TIR che non ti vede e ti manda al
Creatore, ma poiché uno dei miei motti - mutuato dal
titolo di un album dei Virgin Prunes - è "if a die I
die", la buona sorte mi fa giungere all'aeroporto, pronto
per prendere il volo delle 06.15 di KLM, destinazione
Birmingham via Amsterdam.
Per farla breve, verso le 11.30 sono nella città del
Birmingham City e dell'Aston Villa ma non ho il tempo di
visitarla perché devo prendere il treno per
Wolverhampton, ove arrivo in neanche mezzora.
Zero gradi, ma albergo preso strategicamente vicino alla
stazione. Il tempo di posare le poche cose portate, di
indossare la maglietta dei Ned's, e sono già per
strada a scoprire il posto. Queen Street, Princess Street,
Queen Square: due strade pedonali e una piazza che sono
l'essenza di Wolverhampton, gonfie di negozi e della vita
meno frenetica del Sabato mattina. Negozi bellissimi e tutti
vicini: in poche parole, in due giorni Londra non la
visitate, Wolverhampton (ma immagino qualsiasi cittadina
inglese) la conoscete come le vostre tasche.
Durante il tragitto verso il piccolo centro cittadino vedo i
tifosi dei Wolves (gold and black) che vanno verso la
stazione alla spicciolata per seguire la squadra a Bristol
(vinceranno 1-4) e, quasi subito, mi imbatto nell'affollato
negozio del club che sta su Queen Street: chi gestisce il
merchandising della Roma, può fare una passeggiata da
quelle parti, per piacere? Nonostante il logo del club sia a
mio parere orribile, trattandosi di un lupo stilizzato e
troppo moderno, tutte le cose in vendita sono decisamente
belle e, soprattutto, sobrie. Fatico a non acquistare nulla,
visto che ho cambiato solo 100 sterline che vorrei farmi
bastare, ma spendo una buona mezzora nel "Wolves Megastore".
Poi, visto che un minimo di cultura è necessaria, mi
reco alla cattedrale di St. Paul: cinquecentesca, con
splendide vetrate antiche e una ragazza che suona il
meraviglioso organo della chiesa, tanto che resto per un po'
ad ascoltarla senza farmi vedere.
Terminata la breve parentesi culturale, un coro "da stadio"
richiama la mia attenzione ma si tratta di una decina di
ragazzi con la bandiera di San Giorgio della "British
Defence League" che protestano contro la presenza di un
banchetto ove alcuni arabi propagandano la parola di Allah.
Pur comprendendo l'esigenza identitaria, mi riesce difficle
pensare che possano cambiare qualcosa, visto che la
popolazione di Wolverhampton vede una massiccia componente
indiano/pakistana ormai integrata nel sistema: ho
però avuto l'impressione che ce l'avessero
principalmente contro l'aspetto "religioso" della questione.
Non mi soffermo più di tanto ad aspettare l'ovvio
arrivo della polizia ed inizio a girovagare
alla Andy Capp, presto interrotto da un pub sulla
via principale dal quale ho sentito provenire la voce
suadente "Lorenzo, fermati".
Entrato, mi sono trovato nel paradiso. Una clientela
prettamente maschile - non che non mi piacciano le donne,
wolverhamptonesi a parte - affollava il pub guardando Werst
Ham United/Chelsea, il derby di Londra.
E' fatta. "Paul Smith, please. And something to eat,
thank you": tavolo sotto lo schermo ed è il
relax completo. Ma talmente completo che il sonno prende il
sopravvento, aiutato da una birretta un po' troppo alcolica
per il pranzo, e quindi torno all'hotel per una salutare
dormitina.
Riesco verso le 17 e le strade si sono ormai svuotate, visto
che i negozi hanno chiuso. Fa freddo, circa zero gradi,
ritiro il biglietto del concerto e - visto che le porte
aprono alle 19.00 - mi butto al pub a sorseggiare qualche
altra delicatezza birraia del posto guardandomi Reading/Man
U 3-4.
Una cidro da 7,5 gradi mi dà il colpo di grazia o
meglio, mi mette nel "mood" giusto per la serata. Fino a
questo momento, ragazze di Wolverhampton bruttissime e
vestite in modo improponibile ma forse l'esaltazione dei
difetti può essere una strategia per accalappiare i
giovani e spesso poco sobri maschi del posto.
E' arrivato il momento del concerto, entro nella
Wolverhampton Civic Hall che sta a due passi dal centro e
penetro nella folla della Inghilterra vera: pubblico
paracalcistico nel vestire e nei modi, per lo più
maschile (altra cosa che adoro nei concerti... il primo
concerto dei Blur a Roma nel '94 non aveva al seguito
ragazzine urlanti ma solo giovani mods) e di età
abbastanza adulta, in una forbice compresa tra i 30 e i 50
anni, con qualche presenza più giovane e padri con
figli "alternative" al seguito.
Un altro paio di birre mentre ascolto i gruppi supporto
(Frank and Walters e Cud, attivi anch'essi
negli anni '90) e poi finalmente iniziano i Ned's, con
locale ormai stipato e fans radicali (tra cui io ovviamente)
sotto il palco.
Le prime note hanno sempre il loro fascino.
Da un lato speri sempre che inizino con il pezzo che
più ami - ciò che è avvenuto con "Aim"
- dall'altro vedi la magica trasformazione di una folla di
ex ragazzi che alle prime note e alle prime parole "been
missing you baby" si trasforma dalla pacificità
chiacchereccia del pre-concerto a una specie di massa
indistinta di molle impazzite che saltano tutti insieme,
spingendosi l'un l'altro non con il pogo violento tipico dei
concerti punk, ma con un "moshing" adatto anche a qualche
ragazza un po' mascolina. Lo slogan "Ice ice baby" cantato
durante la canzone poteva essere conosciuto solo da chi vide
nel 1991 un loro video promozionale su MTV, che ne
decretò all'epoca una minima notorietà, e
quindi nel momento in cui quasi tutti lo pronunciano capisco
che la serata sarà memorabile.
L'ambiente è in
effetti fantastico e durante il concerto
la folla sotto il palco è amichevole, ci si aiuta
quando si cade e ci si abbraccia saltando e cantando tutti
insieme. Non esiste quel freno che, in Italia, ti fa sentire
imbarazzato a tenere un comportamento "giovanile" se hai
superato gli "anta" e che è frutto solamente di una
forma di auto inibizione e di timore del giudizio altrui,
che da quelle parti semplicemente non esiste. Sanno come
divertirsi, molto più di noi.
La riprova ce l'ho quando esco. Non è stata una birra
di troppo, ormai smaltita del tutto, ma le ragazze sono
decisamente cambiate, anche se non sono esattamente quel
genere di ragazze che mi piacciono, se non altro per i gusti
musicali e il modo di vivere la vita in genere.
Fatto sta che a -2 gradi, verso le 23.00 le strade di
Wolverhampton pullulano di giovani che vanno nei locali e di
ragazze vestite in buona parte con mini abiti, anche di
pailettes, che a mala pena coprono le parti intime e che in
Italia porterebbero a un sicuro stupro nel giro di poco
più di mezzo minuto.
Molti ragazzi sono mascherati con strani vestiti colorati e
cappelli, o tute alla Superpippo. Da ogni locale si sentono
canti e risate.
Non sono nelle condizioni fisiche e di pulizia ideali per
andare a curiosare e quindi torno in albergo.
La mattina dopo - sempre -2 gradi - vado allo stadio del
Wolverhampton, chiamato Molineux.
Bene, i dirigenti della Roma facessero un giretto anche qui,
perché molti aspetti dovrebbero essere ripresi anche
nel nuovo stadio della Roma.
A parte la perfetta strutturazione, mi ha particolarmente
colpito il fatto che in uno dei muretti esterni, con
mattoncini tipicamente inglesi, vi fossero i nomi a ricordo,
con dedica, di molti tifosi dei Wolves passati a miglior
vita.
Leggendone alcuni ho faticato non poco a non commuovermi,
perché in ognuno di quei mattoncini c'è
ciascuno di noi.
Comunque sia, un paio di pub vicini solo per i tifosi di
casa, un megastore del club, un ristorante non
particolarmente visibile ma collocato nella parte di stadio
dedicata ai più facoltosi, oltre alla statua del loro
eroe calcistico.
Le foto che vedete qui sotto costituiscono, quindi, il mio
"groundhopping", chiosa finale di un week end assolutamente
perfetto.