Questa è la storia di Alberto.
Alberto, detto “er Garbatella”.
Un uomo da tempo, 50 anni suonati eppure estremamente infantile, lavora al mercato del suo quartiere, dove scarica il pesce: “Febbre da Cavallo” è il film che lo avrebbe visto di certo protagonista e chi lo conosce – non siamo pochi – certamente capisce cosa intendo.
Alberto non è un ultras ma è un romanista verace, non un romanistone, uno di quei personaggi cui non puoi non voler bene, pur essendoci distanze epocali per modi di essere, di vita, di estrazione sociale: noi, io, te e gli altri, siamo della Roma e quindi siamo – dovremmo essere! - compagni di banco.
Ci sono delle persone cui “piji le parti” a prescindere.
Persone con le quali ci rimetti, ma che difendi comunque perché sono l’anello debole della catena umana. Sono quelle che sono facilmente del gatto, se nessuno li aiuta: se vedi la purezza dell’anima e hai la possibilità di aiutare una persona senza una lira che sia una ed in una situazione senza vie di uscita lo devi fare, sia pure senza alcun tipo di vantaggio economico ed anzi, come detto prima, con una remissione incomprensibile per chi non è come noi: “si stai in bolletta noi t’aiutamo, però da micchi nun ce passamo”:
Nella mia vita professionale, parlando solo di calcio e non di altre situazioni, questi “privilegi” li hanno avuti solo due persone: una di Napoli, “il Gemello” che tutti a Napoli conoscono (“Loré, ti apprezzo per quello che fai per me, t’ho fatto una ricarica sul cellulare… Uè, la Roma va forte quest’anno!” se non fosse che ho il contratto!) e, a Roma, il Garbatella dal quale ho avuto in dono molte felpe identiche con l’immancabile scritta giallorossa “Garbatella”.
Per l’appunto.
Alberto vive con l’anziana madre e un fratello disabile e l’ho conosciuto personalmente nel momento più brutto della sua vita.
In occasione di una partita della Roma, si era arrampicato sul vetro della Curva Sud e qualcuno dell’entourage della squadra giallorossa gli aveva detto che a fine partita sarebbe potuto entrare per avere la maglia di Francesco.
La maglia di Francesco, no, non c’è bisogno di aggiungere altro.
Alberto, nella sua semplicità, era ignaro del tempo che passava, delle leggi che si succedevano, dei regimi che si alternavano: semplicemente era entrato sulla pista di atletica per prendere quella maglia, come qualunque ragazzino di qualsiasi epoca avrebbe fatto.
Un gesto di gioia, di amore, cos’altro poteva significare?
Tutto, tranne la sua pericolosità.
Eppure il daspo arrivò, eccome se arrivò, ed è per questo che vi odiamo.
Lo Stato becero del pugno duro, della tolleranza zero, tramite chi mette in pratica i suoi ordini – giustisbagliati che siano – lo interdisse dallo stadio per due anni, senza obbligo di firma, graziosa concessione per chi non milita tra i terribili ultras.
Ma Alberto senza la Roma non sapeva stare e così si imbarcò sul primo treno diretto a Milano, senza una lira in tasca ma con il biglietto per la partita, come abbiamo fatto in tanti, fino a quando in Toscana non arrivò il controllore – il perfido controllore – che lo segnalò alla Polizia di Stato, non dopo averlo multato.
Come potere tollerare tutto questo? Arrestiamolo! Non può stare su questo treno per seguire la Roma a Milano! E’ un crimine!
Ed è per questo che noi vi odiamo.
Quando Alberto entrò nel Tribunale di Firenze aveva delle ciabatte in feltro con impresso il simbolo dell’AS Roma. Il giudice lo squadrò e gli chiese per quale ragione si trovasse – da inibito – su quel treno.
Cercai di prepararlo dicendogli di negare: “Alberto, cazzo, cerca di capire: non stavi andando a vedere la Roma. Stavi solamente su quel treno… saresti sceso a Bologna, non è un reato!”.
Alberto però rispose al giudice – un idiota pieno di sé, felice di prendere in giro chi aveva di fronte - che lui senza la Roma non sapeva stare e, puramente e semplicemente, iniziò a intonare l’inno della Roma, tra l’ilarità generale degli avvocati fiorentini presenti che non potevano certo capire che stavano assistendo a una scena a metà tra il neorealismo e la fantascienza, un po’ come vedere un cavaliere medievale che d’improvviso si ritrova nella Manhattan del 2009.
Naturalmente, oltre alla condanna penale di 5 mesi e 10 giorni di reclusione, lo Stato inflessibile con i deboli e debole con i forti aumentò la diffida da 2 a 4 anni, mettendo un obbligo di firma che fortunosamente venne ridotto a un solo anno.
Privato della Roma per il doppio di un tempo già ingiusto: viveva solo di quello.
Un uomo letteralmente distrutto, ed è per questo che, semplicemente, noi vi odiamo.
E poi, per quale reato – Cristo - per quale reato?
E se uno Stato crea reati come questi, beh, io sono contro lo Stato, senza se e senza ma: le ingiustizie sociali sono tante ma io, da tifoso, vedo queste e mi bastano perché riguardano il lato ludico, quello – panem et circenses - che dovrebbe farci sopportare la merda di mondo nel quale viviamo.
Un’altra volta – forse proprio per il processo in cui era accusato di aver invaso la pista d’atletica per prendere quella maglia – Alberto si presentò in aula con un cappelletto con il lupetto anniottanta e il Corriere dello Sport infilato nella tasca posteriore dei jeans, cosa che indusse il giudice – che aveva filato il personaggio – a chiedergli “ma lei è della Roma?”, con l’ovvia, non frenabile, risposta “eccccertosignorgiudice!”.
Avrei voluto abbracciarlo, perché il suo viso era in fondo quello del bambino che si chiede “ma che ho fatto di male? Perché sono qui?”, ma la giacca e la cravatta e una forma di perbenismo borghese che mi ripugna ma che tuttavia si deve per forza mantenere davanti a un giudice che nel 99,9% di casi tifoso non è (e che nello 0,1% dei casi lo ha rinnegato) e che è borghese, nel senso spregiativo del termine e non solo per estrazione sociale, sia fuori che dentro, me lo impedì.
Neanche ricordo se fu condannato o assolto ma il 29 ottobre del 2011 questa storia dovrebbe essere finita ed Alberto dovrebbe potere tornare allo stadio a sostenere la sua/nostra Roma.
Forse.
Perché l’articolo 9 della legge Amato (espressione dei “progressisti”, esattamente equivalenti – con lievi sfumature - a coloro cui dicono di opporsi) dice che Alberto non può avere biglietti per via delle condanne penali “per reati da stadio”.
Quel Maroni dice per 5 anni, ma chissà, dipende da quanto velocemente aggiornano i loro database.
Se la lista nera non ti cancellerà di nuovo – ed è per questo che noi non tesserati siamo moralmente obbligati ad opporci – bentornato Alberto. Pericoloso Alberto.