sentenza
della Corte d'appello di Milano in data 10 novembre 2001;
udita
in Pubblica udienza la relazione fatta dal Consigliere Dott. Giorgio Colla;
udito
il Procuratore Generale nella persona del Sostituto Dott. Elisabetta Cesqui
che ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'impugnata sentenza;
uditi
i difensori avvocati Bianchi per le parti civili; Anetrini, Ghedini, Brigandi',
Forchino, Longo e Carena per gli imputati.
-
Svolgimento
del processo - Motivi della decisione
1.
- Con la sentenza in epigrafe, la Corte d'appello di Milano, in parziale
riforma di quella del Pretore della citta' in data 22 luglio 1998, assolveva
gli onorevoli Roberto Maroni, Umberto Bossi, Mario Borghezio, Davide Carlo
Capanni, Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli dal reato di oltraggio,
perche' il fatto non e' piu' previsto dalla legge come reato a seguito
della intervenuta abrogazione dell'art. 341 c.p., e condannava, ritenuta
la prevalenza delle gia' concesse attenuanti generiche sulle aggravanti,
Bossi alla pena di e quattro mesi di reclusione e gli altri a quella di
quattro mesi e venti giorni di reclusione per il reato di resistenza a
pubblico ufficiale di cui agli artt. 337 e 339 c.p.p., perche', in concorso
materiale e morale tra di loro e con altre persone non identificate, ciascuno
di essi rafforzando il proposito criminoso degli altri, e creando le condizioni
materiali per la perpetrazione del reato, usavano violenza e minaccia nei
confronti degli ufficiali della Polizia di Stato (Digos di Verona e di
Milano, Ufficio prevenzione generale di Milano), che stavano procedendo
a una perquisizione locale presso la sede del partito politico Lega Nord
di Milano, Via Bellerio 41, ordinata dal Procuratore della Repubblica di
Verona con decreti 81 - 100 - 101 RG del 17 e 18 settembre 1996.
1.2. - In particolare, la violenza e la minaccia erano consistite, fra l'altro, nello spingere, dare strattoni, calci e pugni agli operanti, da cui derivavano lesioni al commissario Dott. Gianluca Pallauro, all'ispettore Giordano Fanelli, all'ispettore Alfredo Degianpietro, all'ispettore Osvaldo Paolucci, all'ispettore Giovanni Amadu e agli agenti Claudio Casale, Maria Grazia Nuvoloni, Angelo Italiano, Mauro Grassetti, Antonio D'Ippolito, Carlo Bancarella e Pompeo Franciosa. Segnatamente, Umberto Bossi dava violenti strattoni all'ispettore Amadu, strappandogli il giubbino e la giacca d'ordinanza; Carlo Davide Capanni ingaggiava pianerottolo una colluttazione per impedire agli operanti di scendere le scale. Con l'aggravante di avere agito in piu' di cinque persone (fatti commessi in Milano il 18 settembre 1996, e verificatisi allorche' la perquisizione disposta a carico di Corinto Marchini - demandata dal Procuratore della Repubblica di Verona alla locale sezione Digos - veniva estesa a un locale ritenuto (perche' cosi' dichiarato dallo stesso interessato) nella disponibilita' del Marchini presso la sede di Milano del Partito Lega Nord.
1.3. - La Corte confermava anche le statuizioni civili del Pretore che aveva condannato gli imputati a risarcire il danno alle parti civili costituite da liquidarsi in separata sede, con provvisionale nella misura di lire 5 milioni ciascuno.
2. - I fatti erano ricostruiti dalla Corte d'appello come segue, tenuto anche conto delle necessarie integrazioni contenute nella sentenza di primo grado.
2.1. La perquisizione avveniva in modo frazionato nel senso che gli operanti, giunti presso la sede di Via Bellerio 41 la mattina, incontrata la opposizione dei presenti, decidevano di rivolgersi per istruzioni al Procuratore della Repubblica di Verona. Tornavano, quindi, posto nel pomeriggio con il provvedimento integrativo di perquisizione e l'ordine di procedere, trasmesso via telefax, dalla competente Procura di Verona. In loco, si trovavano gli imputati e altri simpatizzanti del partito, oltre che numerosi organi di stampa e della televisione. Dopo una prima contestazione sulla autenticita' del decreto di perquisizione trasmesso da Verona, gli operanti, entrati nell'androne dell'edificio, per eseguire il provvedimento dovettero affrontare e superare un cordone umano formato dagli gli imputati stessi, a eccezione di Bossi e Capanni, e da altri simpatizzanti, postisi innanzi alla scala per impedire la salita degli uomini della Polizia. Superato tale ostacolo, le forze dell'ordine salirono le scale inseguiti e ostacolati dagli astanti. Il percorso per accedere alla stanza del Marchini proseguiva per un corridoio per poi accedere a un'altra rampa, discesa la quale si giungeva a un pianerottolo che conduceva a un corridoio ove era ubicato il locale. Durante tutto questo tragitto la Polizia dovette affrontare l'assembramento di persone che si era formato, accompagnata da un coro di insulti che vedeva promotore il Borghezio. Quindi, durante tutto il tragitto - che, pur non rappresentando il piu' diretto accesso alla stanza del Marchini fu presumibilmente indicato proprio dallo stesso - si verificavano numerosi atti di aggressione fisica e verbale nei confronti dei pubblici ufficiali riconducibili alle persone di Maroni, Bossi e Calderoli, episodi tutti documentati dai filmati televisivi (che erano stati visionati dal Pretore nel corso della istruttoria dibattimentale).
2.2. Il primo vero e proprio episodio di violenza fu quello posto in essere dall'on.le Maroni che, come documentato dai filmati, tento' di impedire la salita della rampa di scale che dava accesso al corridoio di cui si e' detto, bloccando per le gambe gli ispettori Mastrostefano e Amadu (pagg. 13 e 14 della sentenza di primo grado).
2.3. pianerottolo si verificarono (sempre secondo la documentazione filmata RAI) i residui episodi specifici contestati agli imputati: 1) Calderoli spingeva alle spalle un poliziotto e Capanni lo affrontava di fronte; 2) Caparmi con una mano appoggiata alla ringhiera e con l'altra muro si rivolgeva all'ispettore Amadu dicendogli: "Tu non vai da nessuna parte"; 3) Il Dott. Pallauro veniva preso alle spalle e per il collo da Maroni; 4) Martinelli prendeva l'ispettore Amadu per il collo e alle spalle e lo tirava.
2.4. Pervenuti di fronte alla porta del locale da perquisire, gli operanti rinvenivano un cartello cartaceo la cui indicazione dattiloscritta specificava "Segreteria politica - Ufficio on.le Maroni". Il Dott. Pallauro, dopo un ulteriore contatto telefonico con il Procuratore della Repubblica di Verona che dava ordine di portare a termine l'operazione, provvedeva allo sfondamento della porta, operazione che tuttavia era ostacolata violentemente da tutti gli odierni imputati che aggredivano principalmente il Dott. Pallauro e l'ispettore Amadu, il quale veniva stretto fra gli imputati Maroni, Martinelli e Bossi, che lo afferrava dal davanti, mentre il Martinelli lo prendeva alla spalle. Nello scontro Bossi danneggiava sia il giubbotto che la giacca di ordinanza dell'Amadu che veniva preso per i polsi e graffiato. In questa stessa fase le maggiori difficolta' di procedere erano affrontate dal Dottor Pallauro che veniva stretto da Borghezio e Martinelli, il primo dei quali, da dietro, lo prendeva alla spalla con la mano destra, mentre con la sinistra gli prendeva la cravatta tirandola fortemente quasi a soffocarlo. Come affermato nella sentenza, la vicenda vedeva da ultimo l'on.le Maroni subire un malore e venire disteso a terra dall'agente Nuvolone, per poi essere avviato al pronto soccorso ove gli venivano riscontrate lesioni per le quali sporgeva querela.
3. - La Corte d'appello, dopo aver sintetizzato i passaggi fondamentali della sentenza di primo grado e dopo aver richiamato l'esito di un conflitto di attribuzione ex art. 68, comma primo, cost., risolto dalla Corte costituzionale nel senso dell'annullamento delle deliberazioni di insindacabilita' della Camera dei deputati per i fatti di cui e' processo, rilevando che gli insulti e gli atti di resistenza e violenza non sono in alcun modo atti insindacabili per i quali possa valere la prerogativa parlamentare, e dopo aver richiamato altresi' le proprie ordinanze pronunciate in udienza con le quali venivano rigettate le istanze di rinnovazione parziale del dibattimento, di differimento della udienza per legittimo impedimento di Maroni e di Bossi e di invio degli atti alla Camera dei deputati, ai sensi dell'art. 68 Cost., comma secondo, rilevava quanto segue su punti nodali del processo.
3.1. - Le testimonianze degli agenti operanti dovevano ritenersi pienamente attendibili in quanto trovavano un preciso riscontro nella riprese filmate effettuate da vari operatori, mentre correttamente il Pretore aveva ritenuto inattendibili le deposizioni di appartenenti ad organi di stampa diversi, quali i testi Brambilla e Usumai, le cui affermazioni erano evidentemente imprecise o perche' avevano mal percepito i fatti o perche' avevano erroneamente ricordato gli stessi. Da dette riprese audiovisive poteva cosi' confermarsi la non veridicita' dell'assunto del Maroni, secondo cui costui fu aggredito e non aggredi' gli esponenti della Polizia. Era infatti documentato che nella ascesa della rampa delle scale trovandosi a terra, e non per le percosse ricevute, tratteneva con la forza gli operanti afferrando la caviglia dell'ispettore Mastrostefano e poi le gambe dell'ispettore Amadu. Ugualmente doveva dirsi per gli episodi di resistenza attiva da parte del Borghezio, proclamatosi estraneo a detti episodi, perche' era provata documentalmente la perdita di equilibrio di quest'ultimo causata dall'intervento di un operante al quale l'imputato impediva ostinatamente con la sua persona l'accesso nella stanza da perquisire, dopo avere, in precedenza, immobilizzato il Dott. Pallauro, afferrandolo alla spalla con una mano e con l'altra tirandogli violentemente la cravatta, cosi' concorrendo pienamente nel reato, non solo col suo fattivo comportamento, ma anche rafforzando l'altrui proposito criminoso. Tali episodi escludevano, quindi, l'ipotesi della resistenza passiva caldeggiata dagli odierni ricorrenti, come provato anche dalle lesioni riportate da molti degli operanti.
3.2. Quanto al controverso episodio delle lesioni riportate dall'on.le Maroni, costui era caduto in terra - come rilevato in sentenza - per un improvviso malore nella fase finale dell'accesso degli operanti nella stanza da perquisire, circostanza attendibilmente confermala dalla teste Nuvoloni della Polizia che lo aveva soccorso, e forse colpito anche involontariamente in tale posizione nella ressa creatasi luogo o gia' raggiunto, presumibilmente, da spinte nel corso della vicenda che vedeva un accalcarsi incontrollato di persone, compresi giornalisti e simpatizzanti della Lega Nord.
3.3. I pubblici ufficiali erano comunque tenuti a portare a compimento l'ordine loro impartito. Non era discutibile la legittimita' della perquisizione a carico del Marchini nella sua stanza sita nell'immobile anche sede del partito politico, dove lo stesso Marchini accompagnava gli operanti, perquisizione non limitata alla sua abitazione, ma a tutti gli altri luoghi nella sua disponibilita'. Cio' sia con riferimento all'originario decreto di ricerca della prova sia, a maggior ragione, con riguardo al provvedimento integrativo trasmesso via telefax dal Procuratore della Repubblica di Verona. Comprovatamente gli imputati, anziche' rispettare l'operato delle forze dell'ordine, posero, dunque, in essere un'azione interdittiva di coazione fisica oltre che psichica, con innegabili manifestazioni di violenza. Si spiegavano in tal modo possibili azioni di forza degli agenti, i quali, per la tensione del momento, potevano anche avere adoperato espressioni non proprie. Ne' si sarebbero potuti ravvisare gli estremi degli atti arbitrari dei pubblici ufficiali capaci di scriminare la illegittima reazione degli imputati. Gli operanti non si comportarono affatto inurbanamente. Il Dott. Pallauro opero' con particolare prudenza, rinviando l'accesso al pomeriggio dopo l'iniziale opposizione, e ricevuta assicurazione dal Procuratore della Repubblica di Verona dal quale aveva notizia dell'emesso provvedimento integrativo dopo essersi con lui consultato telefonicamente, superata l'originaria, ingiustificata contestazione di falsita' del documento che autorizzava l'estensione della perquisizione, frazionava la stessa affrontando nell'atrio dell'immobile le accese proteste degli astanti, consentiva all'on.le Maroni di effettuare un'improvvisata conferenza stampa, e consultava, di nuovo, telefonicamente il Procuratore della Repubblica dopo la scoperta dell'inaspettato cartello apposto sulla porta della stanza che doveva essere perquisita.
3.4. - A tale ultimo proposito la sentenza affrontava anche la questione della eccepita illegittimita' della perquisizione sotto il profilo della arbitrarieta' degli atti dei pubblici ufficiali per il fatto che la stanza da perquisire godeva della immunita' parlamentare, ex art. 68, comma secondo, cost. e non poteva essere perquisita senza preventiva autorizzazione della Camera di appartenenza dell'on.le Maroni. Rilevava la Corte d'appello che la perquisizione era legittima perche' il provvedimento era stato emesso nei confronti del Marchini che non era parlamentare. In ogni caso i pubblici ufficiali non potevano desistere dalla perquisizione disobbedendo all'ordine ricevuto. Solo nel corso della istruttoria dibattimentale si seppe che quella stanza era stata assegnata da alcuni giorni, e in via provvisoria, all'on.le Maroni, in ragione degli impegni riguardanti la formazione del "Governo della Padania", ma la circostanza fu acquisita solo a posteriori. L'ambiente oltretutto era nel seminterrato e in ala dell'edificio del tutto distinta da quella in cui si trovavano gli uffici della Lega Nord e neppure era ricompreso nel contratto di locazione fra la societa' proprietaria dell'immobile e la Lega Nord. Inoltre il cartello (foglio di carta dattiloscritto) poteva apparire inadeguato a contrassegnare un ufficio di segreteria politica, appartenente a un parlamentare: l'on.le Maroni, la mattina della perquisizione, aveva polemicamente negato, contestando che il Marchini avesse una stanza nell'edificio, che egli stesso disponesse di una stanza. Tutti tali elementi inducevano a ritenere che - al momento della perquisizione - dovesse escludersi la consapevolezza della illegittimita' e dell'arbitrarieta' dell'attivita' dei pubblici ufficiali per le perplessita' sulla effettivita' della rappresentata destinazione della stanza. Oltretutto poteva dubitarsi che l'attivita' di segreteria di un parlamentare potesse correlarsi alle funzioni proprie del membro del Parlamento in ragione dei suoi compiti istituzionali. In ogni caso, e infine, rilevava la Corte, riferendosi tale contestazione di arbitrarieta' al momento ultimativo della perquisizione, il reato di resistenza si era gia' consumato. Ne' si sarebbe potuta invocare l'esimente putativa, che per consolidato orientamento giurisprudenziale non trova applicazione con riferimento alla scriminante di cui all'art. 4 del D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, senza che potessero ravvisarsi in concreto elementi di fatto che avrebbero potuto cagionare un incolpevole errore sulla applicabilita' della scriminante.
3.5.
- La Corte d'appello, infine, negava la sussistenza delle attenuanti di
cui agli artt. 62 c.p. n. 2, 3, 4 e 5. La resistenza non risultava, infatti,
motivata da valori etici, mentre la provocazione era esclusa dal fatto
che non si era in presenza di un comportamento oggettivamente ingiusto
adopera dei pubblici ufficiali. Per quel che atteneva poi all'assembramento
di persone esso era stato voluto dagli stessi imputati, artefici loro stessi
della suggestione che ne derivava.
Motivi dei ricorsi;
4. - Hanno proposto ricorso per Cassazione tutti gli imputati: Maroni - Bossi - Borghezio - Capanni - Martinetti - Calderoli.
4.1. Bossi - Capanni - Martinelli - Calderoli hanno dedotto le seguenti censure.
4.2.
- Limitatamente a Bossi. "Errata valutazione dell'art. 420-ter c.p.p. 1°
comma". Alla data della udienza celebrata nel giudizio di secondo grado
l'imputato era gia' Ministro dell'attuale Governo. Il giorno dell'udienza
presento' certificazione - proveniente dal suo ufficio - attestante il
legittimo impedimento (a seguito dell'attentato dell'11 settembre "vi era"
in Roma, notoriamente, "una attivita' istituzionale (...) nella quale il
Governo prendeva posizione su tale gravissimo attentato con rilievo internazionale").
Illegittimamente la Corte avrebbe disatteso la certificazione addirittura
"contestando l'attestazione proveniente dal Ministero": Bossi era, infatti,
al vertice della organizzazione ministeriale e non poteva essere che lui
a sottoscrivere l'attestazione del proprio impedimento; l'impegno era comunque
da tutti conosciuto ed era legittimo perche' - a differenza del parlamentare
- il Ministro ha attivita' parlamentari ed extra parlamentari; queste ultime
possono essere sia di rappresentanza nazionale o internazionale del Governo:
"nel caso andava ad occupare, assieme ad altri membri del Governo una posizione
inderogabile ed insostituibile di presenza e di rilevanza internazionale".
4.3.
- "Violazione dell'art. 4 e 7 c.p.p.". Il reato rientrava nella competenza
del tribunale e non del pretore. La contestazione e' fatta con riferimento
all'art. 339 c.p. in genere e non limitatamente al primo comma. D'altra
parte il reato, come si evince dalla sentenza, era stato commesso da piu'
di dieci persone: era quindi applicabile l'ultimo comma dell'art. 339 c.p.
(che prevede la reclusione da tre a quindici anni).
4.4.
- "Errata applicazione dell'art. 68 Cost. 2° comma e correlativa dichiarazione
di insindacabilita'". L'ufficio dell'On.le Maroni (sebbene da lui occupato
da circa due settimane al momento dell'irruzione), ubicato nella sede del
partito, godeva della tutela approntata dall'art. 68 Cost., comma secondo.
L'attivita' compiuta dall'Onle Maroni (a prescindere dalla prassi di sollevazione
del conflitto di attribuzione davanti alla Corte costituzionale da parte
del giudice ove la Camera di appartenenza deliberi l'insindacabilita' dell'atto)
doveva ritenersi insindacabile perche' lo stesso Maroni agi' nell'esercizio
di autotutela, avendo il parlamentare il diritto di resistere di fronte
a un abuso.
4.5.
- Limitatamente a Bossi. "Violazione dell'art. 3 del regolamento del Parlamento
europeo e dell'art. 9 del Protocollo sui privilegi e sulle immunita'".
Contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d'appello, all'On.le Bossi
doveva riconoscersi l'immunita' prevista dal punto b) dell'art. 9) (secondo
cui il parlamentare europeo gode territorio di ogni altro stato membro
della esenzione da ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento
giudiziario) e non gia' quella prevista dalla lettera a) - come ritenuto
dai giudici di merito (secondo cui il parlamentare europeo gode delle immunita'
riconosciute ai membri del Parlamento del loro Paese) -.
4.6.
- "Violazione dell'art. 125 c.p.p. in riferimento alla assoluzione ex art.
594 c.p.". La Corte avrebbe assolto gli imputati ex art. 594 c.p. "senza
riferire alcuna conseguenza rispetto alle statuizioni civili e senza operare
alcuna motivazione per tale mancanza".
4.7.
- "Violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 62 c.p. n. 1". Gli imputati avevano
agito al fine di tutelare un bene di alto valore morale e sociale (salvaguardia
dell'ufficio inviolabile di un parlamentare da una perquisizione che appariva
contra legem).
4.8.
- Violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 62 c.p. n. 2". Gli imputati avevano
agito in stato di provocazione perche' i fatti dei pubblici ufficiali erano
ingiusti (a prescindere dalla applicabilita' della scriminante di cui all'art.
4 D.Lgs.Lgt. n. 288/1944).
4.9.
- "Violazione dell'art. 125 c.p.p. e art. 62 c.p. n. 3". Gli imputati hanno
agito sotto la spinta di una folla in tumulto e suggestionati dalla stessa.
4.10.
- "Violazione dell'art. 125 e 192 c.p.". La Corte non avrebbe tenuto conto
delle prove testimoniali perche' esisteva una ripresa filmata. Molti testi
avrebbero riferito che le violenze erano state poste in essere dalla polizia.
Le riprese non danno contezza di tutti gli episodi. Comunque gli episodi
in se' non spiegano le ragioni dei comportamenti.
4.11.
- "Violazione dell'art. 530 c.p. 2° comma" Le prove testimoniali sono
talvolta in contraddizione con le riprese filmate, ovvero molte prove testimoniali
sono tra loro in contrasto: cio' vale per esempio per la deposizione del
teste appartenente alla polizia che afferma di avere riportato uno strappo
alla giacca mentre la difesa ha dimostrato che la giacca era intatta.
4.12.
- "Erronea applicazione dell'art. 4 del D.Lgs.Lgt. 288 del 1944". Gli atti
dei pubblici ufficiali erano arbitrari. 1) Il "documento" di perquisizione
era "falso". La polizia dovette richiederne uno in ufficio; i pubblici
ufficiali hanno quindi autenticato un fax proveniente dal loro ufficio
e non dall'ufficio del magistrato. "Il procedente" non poteva avere alcuna
contezza che l'atto provenisse dal magistrato. 2) Gli inquirenti avevano
violato il domicilio di un parlamentare. Erroneamente la Corte avrebbe
ritenuto che la scriminante non si applica quando il pubblico ufficiale
e' privo dell'elemento soggettivo. Ricorrerebbero, invece, tutti i requisiti
richiesti dalla C.S. per l'applicazione: 1) L'atto ancorche' autorizzato
dal giudice era illegittimo perche' solo la Camera poteva autorizzarlo.
2) La condotta esprimeva prepotenza e sopruso, malanimo e settarieta' (ingiurie
gratuite; stipendio parlamentari; inutilita' dell'atto eseguito dopo dieci
ore dalla notificazione del decreto). 3) il soggetto attivo del reato aveva
comunque percepito l'atto come arbitrario. L'esponente della polizia che
conduceva l'operazione telefono' al magistrato "per essere confortato".
Il magistrato gli avrebbe dato un "parere" errato e comunque cio' non poteva
escludere la contezza di compiere un atto illegittimo.
4.13.
- "Errata applicazione della legge penale art. 52 c.p.". Gli imputati,
e in particolare Bossi (che partecipo' solo al fatto di autotutela davanti
all'ufficio dell'on.le Maroni), difendevano un diritto violato dal magistrato
ordinario, evitando che fosse commesso un danno irreparabile (violazione
dell'ufficio di un parlamentare).
4.14.
"Violazione dell'art. 125 c.p. e art. 62 c.p. n. 5". (il testo del ricorso
manca della motivazione a sostegno del motivo).
4.15.
- La difesa ha presentato per tali ricorrenti anche atto denominato "motivi
aggiunti". Si tratta di una memoria illustrativa di motivi gia' proposti,
con cui si afferma ancora una volta: 1) che non spettava alla autorita'
giudiziaria sindacare l'impedimento del Ministro On.le Bossi (si richiama
in proposito la sentenza Corte cost. del 4 luglio 2001, n. 225 che affermerebbe
tale principio con riguardo alla attivita' di parlamentare); 2) che doveva
ritenersi applicabile la scriminante della reazione ad atti arbitrari del
pubblico ufficiale (l'attivita' della polizia si manifesto' da subito arbitraria;
la stanza da perquisire era adibita a segreteria politica dell'on.le Maroni;
la perquisizione (emanazione dell'atto e sua esecuzione) era illegittima,
anche alla luce del tenore letterale dell'art. 343 c.p.p., secondo comma,
(v. art. 51 c.p.); quindi l'attivita' della polizia era arbitraria; 3)
che a tutti gli imputati diversi dall'on.le Maroni era comunque applicabile
la scriminante della legittima difesa; 4) che erroneamente non erano state
applicate le attenuanti di cui all'art. 62 c.p., n. 1) e 2).
4.16.
- Inoltre e' stata depositato per gli stessi ricorrenti altro scritto a
firma del difensore con cui, si ribadisce ancora una volta la legittimita'
dell'impedimento dell'On.le Bossi a presenziare all'udienza tenutasi nel
giudizio di appello. Si rileva, poi, che e' attualmente sottoposta al vaglio
della Corte costituzionale il conflitto di attribuzione, gia' dichiarato
ammissibile, sollevato dalla Camera dei deputati nei confronti del Procuratore
della Repubblica presso il Tribunale di Verona, sotto il profilo dell'art.
68 Cost., comma 2, avente ad oggetto la legittimita' della perquisizione:
nonostante la contraria opinione espressa dalla Corte d'appello, il tema
della validita' e della legittimita' dell'atto di perquisizione non puo'
che essere risolto con una sentenza della Corte costituzionale. Questo
giudizio dovrebbe dunque essere sospeso con effetto - nei confronti di
tutti i ricorrenti - sino a che la Corte costituzionale non avra' emesso
una pronuncia punto. Si conclude comunque, in via subordinata per l'applicazione
della sanzione sostitutiva ex art. 4 lett. a) della recente l. 12 giugno
2003, n. 134.
5.
- Maroni ha proposto i seguenti motivi.
5.1.
- "Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullita', di
inutilizzabilita', di inammissibilita' o decadenza ex art. 606 c.p.p. lett.
C in relazione alla norma di cui all'art. 420-ter c.p.p.". Il ricorrente
era impegnato "in attivita' istituzionale in un convegno tenutosi in Varese".
Il giudice ha respinto la richiesta di differimento per legittimo impedimento
in palese violazione del codice di procedura penale.
5.2.
- "Inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme
giuridiche di cui si deve tener conto nell'applicazione della legge penale
ex art. 606 c.p.p. lett. B), in relazione all'art. 4 D.Lgs.Lgt. n. 2688/1944".
Sarebbe censurabile la motivazione con cui e' stata disattesa l'applicazione
della invocata scriminante. Il decreto di perquisizione era illegittimo
e invalido. La polizia avrebbe violato il domicilio di un parlamentare
e si e' "data allo scontro fisico" con parlamentari che esercitavano mera
resistenza passiva quando era possibile accedere ai locali oggetto della
perquisizione da altro ingresso non presidiato. Gli atti erano comunque
arbitrari perche' scorretti, inurbani, incivili e maleducati (richiama
la sentenza della Corte cost. 23 aprile 1998, n. 140 che si e' pronunciata
sulla scriminante in parola in un caso di oltraggio). La stessa sentenza,
in un passo, riconoscerebbe comportamenti scorretti delle forze dell'ordine
(pag. 11).
5.3.
- "Mancanza o manifesta illogicita' della motivazione ex art. 606 c.p.p.
lett. E". La Corte d'appello escluderebbe in maniera illogica che nel caso
si sia trattato di mera resistenza passiva. Inoltre, Maroni non e' stato
vittima di alcun malore come si legge nella sentenza, ma e' stato aggredito
e gettato in terra dagli operanti, come dimostrato dal fatto che, visitato
al pronto soccorso subito dopo i fatti gli fu riscontrata una "distorsione
al rachide cervicale", tale da imporre l'applicazione di un collare. Tale
conseguenza e' incompatibile con l'ipotesi del "malore". La sentenza e'
inoltre contraddittoria nella pag. 11 dove si da atto della azione di forza
degli operanti e delle frasi improprie pronunciate, e poi, a distanza di
poche righe si esclude l'inurbanita' del comportamento.
6.
- Borghezio ha formulato i seguenti mezzi.
6.1.
- "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lettera e) per mancanza o manifesta
illogicita' della motivazione con riferimento anche all'art. 606 c.p.p.
lettera c) per inosservanza di norme processuali, con riferimento alla
rigettata eccezione di incompetenza per materia del pretore". Il capo di
imputazione richiama genericamente l'art. 339 c.p. La Corte avrebbe errato
nel ritenere la configurazione della aggravante semplice anziche' quella
dell'aggravante speciale di cui al secondo comma dell'art. 337 c.p. Nell'art.
7 c.p.p., quando il legislatore ha voluto riferirsi anche alla aggravanti
lo ha espressamente fatto. Per il reato di resistenza si e' limitato a
fare riferimento all'art. 337 c.p. Ai sensi dell'art. 4 c.p.p. doveva ritenersi
esclusa la competenza del pretore nei casi di resistenza aggravata da circostanze
ad effetto speciale.
6.2.
- "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lett. e) mancanza o manifesta illogicita'
della motivazione con riferimento anche all'art. 606 c.p.p. lett. b) per
inosservanza o erronea applicazione della norma penale e della norma giuridica
primaria di cui all'art. 68 Cost. 2° comma di cui si doveva tenere
conto nell'applicazione della legge penale". Posto che la censura si riferisce
espressamente alla seconda fase dei fatti svoltasi davanti alla porta di
ingresso della stanza dell'on.le Maroni, la Corte non avrebbe potuto tornare
sulla questione della effettiva destinazione della stanza a segreteria
politica dell'on.le Maroni. Anche se risulta (asseritamene) dalla sentenza
che la mattina dei fatti l'on.le Maroni aveva negato di avere la disponibilita'
della stanza, il fatto della destinazione della stanza all'on.le Maroni
doveva considerarsi irretrattabile, perche' accertato con la sentenza di
primo grado e punto non era stata dedotta alcuna impugnazione, a nulla
rilevando le perplessita' del Procuratore della Repubblica di Verona e
degli stessi appartenenti alla Polizia che eseguirono la perquisizione.
Inammissibile comunque sarebbe l'affermazione della Corte secondo cui nell'ufficio
di segreteria del partito si svolgerebbe "un'attivita' non direttamente
correlata alle funzioni Istituzionali rivestite da chi lo conduce nel diverso
ambito della Camera di appartenenza".
6.3.
- "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lettera e) mancanza o manifesta illogicita'
della motivazione con riferimento anche all'art. 606 c.p.p. lettera b)
per inosservanza o erronea applicazione della norma penale e della norma
giuridica primaria di cui all'art. 68 Cost. 2° comma di cui si deve
tenere conto nell'applicazione della legge penale". La Corte ha ritenuto
la responsabilita' dell'On.le Borghezio ai sensi dell'art. 110 c.p. affermando
che l'imputato avrebbe con la sua condotta formato "ostacolo fisico e di
pressione verbale esercitata (...) sugli agenti operanti". Si tratterebbe
dunque di mera resistenza passiva. I Giudici milanesi non accennano a comportamenti
attivi, salvo l'episodio della cravatta tirata a uno degli operanti stessi
(dott. Pallauro) desunto dal filmato visionato nel giudizio di primo grado
in cui l'imputato era rimasto contumace. La Corte non collocherebbe temporalmente
tale circostanza che si e' verificata nell'ultima parte del fatto (quella
davanti alla porta della stanza dell'on.le Maroni). Per quest'ultima fase
doveva e deve ritenersi operante la scriminante degli atti arbitrari dei
pubblici ufficiali, per il compimento di pregressi atti di violenza da
parte loro. Mancava, quindi, la prova di una condotta di partecipazione
materiale o morale per la resistenza verificatasi nella fase anteriore.
Sotto tale profilo doveva pertanto ritenersi viziata anche l'ordinanza
con cui in sede di appello si era disattesa la richiesta di rinnovazione
della istruzione dibattimentale per poter visionare, insieme con la Corte
e in contraddicono delle parti, il filmato degli avvenimenti che deve ritenersi
inutilizzabile.
6.4.
- "Violazione dell'art. 606 c.p.p. lettera e) mancanza o manifesta illogicita'
della motivazione con riferimento all'art. 606 c.p.p. lettera b) per erronea
applicazione dell'attenuante di cui all'art. 62 c.p. n. 1) e cioe' per
'aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale'". La Corte
avrebbe erroneamente escluso l'applicazione dell'attenuante per le modalita'
dell'azione, ritenendo che la finalita' degli imputati di difendere dall'intervento
della polizia la sede di un partito non potesse rendere applicante l'attenuante,
nonostante l'esistenza di una deliberazione della Camera dei deputati che,
di fatto, riconosceva insindacabile il comportamento degli imputati anche
per il valore etico sotteso al comportamento stesso.
7.
- Si deve dare atto a questo punto del fatto che nelle more della decisione
di questa Corte la Camera dei Deputati ha sollevato conflitto di attribuzione
nei confronti dell'autorita' giudiziaria e in particolare della Procura
della Repubblica di Verona per la statuizione che non spettava a detta
autorita' disporre e far eseguire la perquisizione del domicilio del parlamentare
On.le Maroni. La Consulta si e' pronunciata con sentenza del 30 gennaio
2004, n. 58, accogliendo la richiesta e provvedendo in conformita'.
Sulle
questioni pregiudiziali;
8.
- Sono infondati i motivi di ricorso proposti da Bossi e Maroni in ordine
alla questione del legittimo impedimento a comparire all'udienza del 10
novembre 2001 (motivo 4.2. di Bossi; motivo 5.1 di Maroni).
8.1.
Va precisato, anzitutto, che la questione dell'impedimento fu sollevata
una prima volta alla udienza del 1° ottobre 2001. In tale occasione
il difensore di Bossi presento' uno scritto, a firma del Ministro, in cui
l'esponente del Governo precisava, senza alcuna motivazione, di non poter
intervenire per impegni d'ufficio, mentre il difensore di Maroni sosteneva,
a sua volta, che il Ministro non poteva intervenire perche' occupato in
attivita' istituzionale in un convegno che si teneva a Varese, alla cui
partecipazione era necessaria la sua presenza in qualita' di "Ministro
del Welfare": si trattava quindi - secondo la difesa - di attivita' svolta
nell'esercizio della attivita' istituzionale del titolare del Dicastero.
Borghezio, infine, presento' documentazione da cui risultava il suo impegno
di parlamentare europeo, dovendo essere presente a Strasburgo. In accoglimento
di tali istanze di differimento per impedimenti ritenuti legittimi, l'udienza
fu rinviata all'11 novembre 2001 (le questioni sollevate da Bossi e Maroni
non furono quindi prospettate all'udienza dell'11 novembre 2001 in cui
si celebro' il processo, ma alla udienza precedente che fu appositamente
rinviata).
8.2.
- Alla udienza dell'11 novembre 2001, senza la presentazione di alcuna
documentazione, l'avvocato Brigandi' per Bossi e l'avv. Basilico per Maroni
(che aderi' alla richiesta per il suo assistito), sollevo' una nuova questione
di legittimo impedimento che conviene riportare cosi' come estratta dal
verbale stenotipia) di udienza nelle parti indispensabili.
8.3.
- "Si apre l'udienza del 10 novembre 2001 e il Presidente prende atto delle
presenze in aula facendo l'appello. PRESIDENTE - Allora, siccome qui si
tratta di una ripresa del processo dopo la sospensione, determinata dal
conflitto di attribuzioni a seguito della pronuncia della Corte Costituzionale
che ha annullato la delibera della Camera, che riteneva l'insindacabilita'
dei fatti, io ritengo superfluo fare una lunga relazione, visto che tutti
abbiamo scritto gia' tutto nelle ordinanze, tutti conosciamo i fatti e
conosciamo anche i motivi d'appello PRESIDENTE - Ecco, grazie, mi scusi.
Quindi ritengo che., ricordero' soltanto il fatto che si tratta dei fatti
avvenuti il ... Avv. BRIGANDI' - Presidente, io devo fare una richiesta
preliminare. PRESIDENTE - E allora la faccia, avvocato Brigandi'. Avv.
BRIGANDI' - Grazie Presidente. Il problema e' il seguente: purtroppo (pp.ii.
fuori microfono) e' fatto notorio che c'e' oggi (p.i. fuori microfono)
del Governo e quindi io vi chiedo formalmente che (pp.ii. fuori microfono)
venga differita, per questo (pp.ii. fuori microfono) e questo impegno che
c'e' oggi a Roma, ci sara' un collegamento formale anche con autorita'
straniere, c'e' il sindaco di New York, quindi e' una situazione non di
poco conto alla quale partecipa sia il Presidente del Consiglio, sia tutti
i Ministri. Noi tra gli imputati abbiamo due ministri che ovviamente (pp.ii.
fuori microfono) della RAI perche' oggi doveva venire sia il ministro Bossi,
sia il ministro Maroni e in questa ottica le notizie erano (p.i. fuori
microfono) alle televisioni ed ecco perche' oggi (pp.ii. fuori microfono)
quindi non e' una cosa che e' apodittica perche' venuta fuori (pp.ii. fuori
microfono) all'udienza, siccome gli imputati, questi due, intendono esercitare
questo loro diritto/dovere (pp.ii. fuori microfono) appunto, a rendere
delle dichiarazioni spontanee in riferimento al loro (p.i. fuori microfono)
per i fatti contestati (pp.ii. fuori microfono) io chiedo la cortesia,
capisco che (pp.ii. fuori microfono) chiedo la cortesia, visto che c'e'
gia' stata la volta scorsa la cortesia di codesta Eccellentissima Corte
d'Appello, anche nell'indicare (pp.ii. fuori microfono) chiedo la cortesia
di voler rinviare (p.i., fuori microfono) certamente eccezionale nel quale
(p.i., fuori microfono). PRESIDENTE - Gli altri difensori e anche il Procuratore
della Repubblica. PRESIDENTE - Con questo USA-Day che cosa facciamo? PROC.
GEN.- Chiedo scusa? PRESIDENTE - Per questo giorno particolare, USA-Day,
come... PROC. GEN - Non so.. si', so di che si tra., e' notorio... PRESIDENTE
- Certamente. PROC. GEN.- ...e' nota quindi anche a me questa situazione.
Questo, obiettivamente, e' un procedimento che trova delle difficolta'
a essere celebrato per gli impedimenti istituzionali, assolutamente legittimi,
di alcuni degli imputati, oggi obiettivamente non so se possa essere definito
proprio istituzionale questo impedimento, comunque mi rimetto alla valutazione
della Corte in ordine alla situazione".
8.4.
- Dopo tali richieste, il Collegio pronuncio' ordinanza con la quale rigetto'
la domanda di un nuovo differimento motivando, in sintesi, nel senso che:
1) risultava effettivamente il "concomitante svolgimento della manifestazione
pubblica di solidarieta' con gli Stati Uniti d'America, fissata a Roma
a partire dalle 15 di oggi"; 2) gia' alla precedente udienza era stata
fatta e accolta altra istanza di legittimo impedimento; 3) "...la predetta
manifestazione non rientra(va) nel novero degli atti del Governo, ma costituiva
un'iniziativa pubblica, cui ciascun soggetto (era) libero di aderire o
meno - a prescindere dal ruolo istituzionale ricoperto - in virtu' dei
principi costituzionali di liberta' di espressione del pensiero e di riunione";
4) tali ultimi diritti costituzionali "(dovevano) - alla stregua delle
recenti autorevoli indicazioni della Corte costituzionale - trovare contemperamento
con i principi costituzionali inerenti l'obbligatorio esercizio della giurisdizione,
peraltro in tempi ragionevoli (art. 101 e segg. cost.)"; 5) "la valutazione
comparata dei principi costituzionali non consent(iva) ulteriori differimenti
della celebrazione del processo che riguarda fatti risalenti al settembre
1996".
8.5.
- Osserva la Corte che, a quel che consta, mancano precedenti della Corte
costituzionale sulla soluzione della questione dell'impedimento legittimo
del Ministro con riferimento alla sua presenza nel processo quale imputato
e quindi con riferimento alla attivita' giurisdizionale, ma ritiene la
Corte che sia legittimo ispirarsi - nelle linee generali e astratte - alle
soluzioni gia' offerte dalla Consulta per gli esponenti del Parlamento.
Ci si vuole riferire, in particolare, alla sentenza della Corte costituzionale
del 4 luglio 2001, n. 225, citata anche dalla difesa di Bossi. Al di la'
di quanto si legge nel dispositivo, che sintetizza i concetti cardine espressi
nella motivazione in un caso in cui l'autorita' giudiziaria aveva affermato
la assoluta prevalenza dell'interesse relativo alla attivita' giudiziaria
rispetto all'interesse della Camera dei deputati allo svolgimento delle
attivita' parlamentari (fattispecie in cui la Consulta ha statuito che
non spetta all'autorita' giudiziaria un simile giudizio), sono decisamente
illuminanti e rispondenti anche al caso di cui si discute le soluzioni
offerte dalla Corte costituzionale nella motivazione in ipotesi di conflitti
del genere di quelli prospettati, soluzioni che scaturiscono da un quadro
ispirato al principio di collaborazione che deve informare i rapporti tra
le Istituzioni, in una sintesi di reciproco rispetto del lavoro di ciascuno
degli organi e poteri costituzionali. E proprio in un quadro di collaborazione
tra poteri dello Stato, la Corte costituzionale, nella citata vicenda che
riguardo' il processo che interessava un parlamentare, giunse a indicare
la via della fissazione di udienze, eventualmente concordate, in giorni
in cui non cadessero impegni istituzionali del parlamentare (partecipazione
alle votazioni).
8.6.
- Alla stregua di tali principi - ad avviso di questa Corte - si deve affrontare
e risolvere il problema, sempre che ci si trovi di fronte alla necessita'
di contemperare le esigenze dell'autorita' giudiziaria relative allo svolgimento
del processo e quelle derivanti da attivita' istituzionali del Ministro.
8.7.
- E' tuttavia evidente che accanto alle attivita' istituzionali di un Ministro,
che gli derivano da attribuzioni costituzionali, coesistono attivita' politiche
multiformi, indeterminate (non e' forse azzardato affermare che qualsiasi
attivita' pubblica, non rientrante nella categoria delle attivita' istituzionali,
rientri nell'attivita' politica di un esponente del Governo) e non classificabili
in astratto, ma sicuramente individuabili e soprattutto facilmente differenziabili
da quelle istituzionali (tra queste ultime possono annoverarsi, a esempio,
la partecipazione al Consiglio dei Ministri, l'attivita' parlamentare del
Ministro, come nei casi di presentazione del Governo alle Camere per la
fiducia ovvero per la risposta alle interrogazioni et similia, la prestazione
del giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica: si tratta delle
attivita' riconducibili, in linea generale ed astratta, alla sfera di attribuzioni
previste dagli artt. 92, 93, 94, 95, 96 Cost.).
8.8.
- Il punto centrale della questione dell'impedimento sollevata da Bossi
e Maroni e' proprio quello di stabilire se il giudice, nell'esercizio delle
attribuzioni che gli sono proprie ai fini della conduzione del processo,
abbia correttamente valutato la natura dell'impegno addotto dagli imputati
come estranea alle specifiche funzioni istituzionali proprie dei ministri
e ne abbia escluso il carattere di inderogabilita', adeguatamente bilanciando
la esigenza di indefettibilita' della giurisdizione e quella dell'esercizio
delle iniziative politiche connesse alla funzione ministeriale.
8.9.
- Ora, ritiene la Corte che al quesito debba rispondersi positivamente.
La natura dell'impegno prospettato da Bossi e Maroni (del quale, giova
sottolineare, non v'e' documentazione alcuna) rimane classificabile, con
valutazione di fatto, debitamente motivata, sottratta al sindacato di legittimita',
come un impegno non istituzionale e quindi non coessenziale alla funzione
tipica del Governo. Venendo nella specie in considerazione una incombenza
rientrante nella sfera delle attivita' di carattere politico in senso lato
del Ministro correttamente la Corte territoriale ha affermato la necessita'
che essa dovesse cedere di fronte alla esigenza di celebrazione del processo,
dal momento che, contrariamente opinando, qualsiasi attivita' non strettamente
privata di un Ministro, essendo suscettibile in ipotesi di rivestire una
valenza politica, permetterebbe di rimandare sine die l'attivita' giurisdizionale.
Pertanto il motivo di ricorso va conclusivamente rigettato.
9.
- Non sono fondati neppure il motivo di ricorso 4.3. di Bossi e il motivo
di ricorso 6.1. di Borghezio riguardanti la questione di incompetenza per
materia del Pretore. Il difensore di Bossi ha citato la sentenza Cass.,
sez., 1°, c.c. 3 dicembre 1993 - dep. il 4 dicembre 1994, n. 5310,
Accardi, che ha deciso conformemente all'assunto dei ricorrenti, secondo
cui, in caso di reato aggravato ai sensi del secondo comma dell'art. 339
c.p., cioe' nella ipotesi di reato commesso da piu' di dieci persone, sarebbe
competente a giudicare il Tribunale e non gia' il Pretore (oggi la competenza
spetta al Tribunale in composizione monocratica a seguito della entrata
in vigore del D.Lgs. 19 febbraio 1998, n. 51), in quanto si tratterebbe
di aggravante a effetto speciale in base al disposto dell'art. 4 c.p.p.,
ancorche' il reato di resistenza fosse nominativamente indicato nell'abrogato
art. 7, comma 2, lett. b) c.p.p. Pero' - a prescindere dal fatto che l'imputazione
non fa riferimento al comma 2 dell'art. 339 c.p. e che i giudici di merito
hanno ritenuto che nella specie si trattasse di reato commesso da non piu'
di dieci persone riunite e senza armi, e che quindi la fattispecie rientrasse
nel comma 1 dell'art. 339 c.p. - si deve osservare che la citata sentenza
e' contrastata da molte altre pronunce successive che hanno deciso in senso
esattamente contrario a quello sopra descritto, chiarendo che la rilevanza
delle circostanze a effetto speciale prevista dall'art. 4 opera solo in
relazione al criterio attributivo della competenza di cui all'abrogato
art. 7 c.p.p., comma 1, perche' solo tale criterio si basava sulla pena
edittale. E' invece da escludere che l'art. 4 c.p.p. operasse in relazione
alle ipotesi previste dal gia' vigente art. 7 c.p.p., comma 2, giacche'
la competenza, in relazione ai reati previsti da quest'ultima disposizione,
si basava nomen juris dei reati stessi, che erano attribuiti alla competenza
per materia del Pretore indipendentemente dalla aggravanti a effetto speciale
(si vedano in tal senso Cass., sez. 1°, c.c. 28 aprile 1999 - dep.
6 luglio 1999, n. 3283, Marcucci; Cass., sez. 1°, c.c. 9 dicembre 1998
- dep. 3 febbraio 1999, n. 6179 Maier; Cass., sez. 1°, c.c. 15 giugno
1998 - dep. 4 luglio 1998, n. 3522, Brunella; Cass., c.c. 2 marzo 1995
- dep. 19 aprile 1995, n. 1328, Ferrara; Cass., sez. 1°, c.c. 8 gennaio
1996 - dep. 12 febbraio 1996, n. 26, Voltolina). La condivisibile ratio
decidendi di tali pronunce e' confermata dal fatto che, nell'ambito dei
reati previsti dall'abrogato art. 7 c.p.p., quando il legislatore volle
attribuire rilevanza alle circostanze a effetto speciale, lo ha espressamente
detto: cosi', per esempio, nei casi dei reati di cui alle lettere f) e
g) riguardanti i reati di maltrattamenti in famiglia e quello di rissa.
Non e' cosi' per il reato di resistenza a pubblico ufficiale (art. 337
c.p.), che nell'art. 7 c.p.p., comma 2, era attribuito - tout court - alla
competenza del Pretore.
10.
- Per una conferma di tale interpretazione puo' essere utile rilevare che
oggi l'elencazione dei reati di cui al gia' citato art. 7 c.p.p., comma
2, e' stata ripresa, in larga parte, dall'art. 550 c.p.p., comma secondo,
che determina i casi in cui il procedimento davanti al Tribunale in composizione
monocratica si instaura con citazione diretta: la formulazione e' la medesima
per quel che attiene all'art. 337 c.p. (sempre rientrante nelle attribuzioni
del giudice monocratico del Tribunale, indipendentemente dalle aggravanti),
come e' la stessa per il reato di rissa aggravata (che rientra nelle ipotesi
di citazione diretta davanti al giudice monocratico, salvo che non ricorra
l'aggravante della morte di un partecipante). La continuita' della formulazione
legislativa nel passaggio dal precedente al nuovo regime offre un argomento
ulteriore alla tesi anteriormente accolta dalla giurisprudenza dominante
sulla competenza del Pretore in ogni caso di resistenza, cioe' anche nei
casi di presenza di aggravanti a effetto speciale.
11.
- Per quanto riguarda i motivi attinenti alla questione della illegittimita'
della perquisizione per contrarieta' dell'art. 68 Cost., comma secondo,
cosi' sollevata da Bossi (motivo 4.3.) e da Borghezio (motivo 6.2.) per
essere il locale oggetto di perquisizione occupato non gia' dal Marchini,
ma dall'On.le Maroni, in quanto destinato a sua segreteria politica, quale
appartenente al partito politico Lega Nord, e' stata recentemente pubblicata
- come gia' premesso - la decisione della Corte costituzionale che, risolvendo
il conflitto di attribuzione sollevato dalla Camera dei deputati ex art.
68 Cost., comma secondo, si e' pronunciata con sentenza del 20 gennaio
2004, n. 54. Il problema sollevato con tali motivi e' in pieno investito
da tale decisione della Consulta di cui si parlera' subito dopo. Tali motivi
saranno quindi oggetto di esame successivo.
12.
- E' infondata anche la questione sollevata da Bossi (motivo 4.5.), nella
sua qualita' di parlamentare europeo all'epoca dei fatti, riguardante la
pretesa esenzione da ogni procedimento giudiziario prevista dell'art. 3
del Regolamento del Parlamento europeo e dell'art. 9 del relativo Protocollo
sui privilegi e sulle immunita'. La questione e' gia' stata risolta correttamente
dai Giudici di merito nel senso della inesistenza di una esenzione dal
presente giudizio a mente delle disposizioni ora citate. L'art. 3 del Regolamento
del Parlamento europeo stabilisce, al comma primo, che "I deputati beneficiano
dei privilegi e delle immunita' previsti dal Protocollo sui privilegi e
sulle immunita' delle Comunita' europee, allegato al Trattato dell' 8 aprile
1965 che istituisce un Consiglio unico e una Commissione unica delle Comunita'
europee". A sua volta, l'art. 10 del Protocollo n. 34 sui privilegi e sulle
immunita' della Comunita' europea, nel testo vigente, stabilisce che per
la durata della sessione del Parlamento i membri di essi beneficiano "a)
territorio nazionale, delle immunita' riconosciute ai membri del Parlamento
del loro paese; b) territorio di ogni altro Stato membro, dell'esenzione
di ogni provvedimento di detenzione e da ogni procedimento giudiziario".
Una immunita' - per cosi' dire - europea puo' ravvisarsi solamente in relazione
alla lettera b), ma non in riferimento alla lettera a) che e' applicabile
al caso di specie. Per quel che attiene alle immunita' del parlamentare
europeo nel territorio del suo paese, e quindi per fatti che siano posti
in essere nel Paese di appartenenza, al parlamentare spetta l'immunita'
che gli e' riconosciuta nel suo Paese. La disposizione in questione, in
sostanza, opera un rinvio ricettizio all'art. 68 Cost. ed e' chiaro che
ogni provvedimento che nel territorio nazionale deve essere adottato spetta
non al Parlamento europeo, ma al Parlamento nazionale. In tal senso puo'
dirsi che nel territorio nazionale non esiste una immunita' europea che
si sovrapponga o si affianchi a quella nazionale, ma esiste una sfera di
garanzie attribuite al parlamentare nazionale (dettate dall'art. 68 cost.)
cui la norma internazionale rinvia sia per i contenuti sostanziali dei
privilegi o immunita' (in senso lato) sia per le procedure, sia per gli
organi che devono adottare le relative deliberazioni. Risulta che in tale
senso si sia sostanzialmente gia' pronunciata questa Corte di Cassazione
(v. Cass., sez. 2°, 21 marzo 2003 - dep. 28 marzo 2003, n. 14791, Martelli).
Sulle
censure relative alla responsabilita';
13.
- Vanno esaminate a questo punto le censure formulate da Bossi, Capanni,
Calderoli e Martinelli con i motivi 4.4., 4.10., 4.11 e 4.12; quelle del
Maroni con ai motivi 5.2. e 5.3. e quelle del Borghezio con i motivi 6.2.
e 6.3. che possono essere congiuntamente trattate perche' riguardanti le
stesse questioni principali in punto di responsabilita' o ad esse connesse.
13.1.
Preliminarmente, le difese di Bossi, Capanni, Calderoli e Martinelli (motivi
4.10 e 4.11.) e di Maroni (motivo 5.3.) hanno sollevato in argomento censure
sulla parte della sentenza di merito concernente la ricostruzione dei fatti
da parte dei giudici di merito. Osserva, in proposito, il Collegio che
tali motivi sono inammissibili perche' non deducibili nel giudizio di legittimita',
in quanto con essi si formulano doglianze attinenti alle modalita' di accertamento
del fatti e alle valutazioni relative rimesse alla competenza del giudice
di merito, che ha offerto, punto, una motivazione congrua e immune da censure
logiche. Detta motivazione, come emerge dalla sentenza di secondo grado
e da quella di primo grado (quest'ultima sovente richiamata dalla prima)
passa attraverso l'esatta formulazione delle seguenti proposizioni: a)
si sono ritenute degne di fede le deposizioni testimoniali (anche delle
parti lese) e le dichiarazioni degli imputati che si sono sottoposti all'esame,
in quanto riscontrate da filmati acquisiti al fascicolo del dibattimento
sia in originale, e sottoposti a sequestro, sia nelle riproduzioni in VHS
effettuate sotto il diretto controllo dei Carabinieri, mentre in caso di
contrasto, si e' data preferenza alle riprese filmate; b) le parti lese,
della cui attendibilita' si e' sempre cercato il riscontro, hanno fornito
una versione sempre lineare, coerente e conforme alle riprese filmate,
a eccezione di alcuni particolari su questioni irrilevanti (come il malore
vero o simulato del Maroni, a seconda delle diverse percezioni), e si e'
dato loro credito, anche perche' in alcuni casi erano riscontrate dalle
stesse dichiarazioni dei prevenuti; c) non si e' tenuto conto di quelle
deposizioni, evidentemente non confermate dalle riprese filmate riprese
da emittenti pubbliche e private (TG RAI, TG 4, TG 5, ANTENNA 3) di piu'
dubbia attendibilita', quali quelle rese da simpatizzanti di partito e
da giornalisti presenti, ovvero di quelle che apparivano chiaramente viziate
da cognizione imprecisa dei fatti. Si tratta di affermazioni condivisibili
e quindi, come si e' detto, non censurabili. A fronte di tali affermazioni
la difesa ha svolto oltretutto, con i motivi in esame, censure generiche
perche' non sorrette da specifiche allegazioni di fatti; cio' che da ulteriore
ragione in ordine alla declaratoria di inammissibilita'.
14.
- Scendendo ora all'esame dei motivi che concernono la questione della
tutela riservata agli ambienti su cui era apposta la scritta che indicava
la presenza di un locale destinato a segreteria politica dell'On.le Maroni
ai sensi dell'art. 68, comma secondo, cost., e di quella strettamente connessa
della invocata esimente della reazione ad atti arbitrari dei pubblici ufficiali
per l'illegittimo ordine di perquisizione impartito dal Procuratore della
Repubblica di Verona, a seguito della telefonata del Dott. Pallauro, che
porto' a conoscenza di detta autorita' giudiziaria la inaspettata presenza
di un locale tutelato ai sensi dell'anzidetta norma costituzionale (motivi
4.4. e 4.12. del ricorso Bossi, Calderoli, Martinelli e Caparmi; motivo
5.2. Maroni; motivo 6.2. Borghezio), va osservato quanto segue.
14.1.
- Si e' gia' detto della sentenza della Corte costituzionale del 30 gennaio
2004, n. 58 con la quale e' stato risolto il conflitto di attribuzione
fra la Camera dei deputati e la Procura della Repubblica e si e' dichiarato
che "(...) non spettava alla autorita' giudiziaria ed in particolare alla
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Verona di far eseguire
il 18 settembre 1996 la perquisizione del locale nella disponibilita' del
parlamentare Roberto Maroni".
14.2.
- La chiarezza di tale dispositivo e' suffragata dalla ultima parte della
motivazione la quale precisa che, nel corso della perquisizione (destinata
originariamente alla ricerca della possibile acquisizione di oggetti di
pertinenza del Marchini), gli operanti si vennero a trovare di fronte a
una situazione nuova costituita dalla esistenza di un cartello che indicava
la presenza di ambienti destinati a segreteria politica dell'on.le Maroni
nel momento in cui raggiunsero il corridoio cui si aveva accesso tramite
una porta a vetri e poi nel momento in cui raggiunsero la stanza sulla
quale era apposto altro analogo cartello.
14.3.
- Afferma poi testualmente la Corte costituzionale che "Questa situazione
nuova cosi' presentatasi agli agenti di polizia (...) segnalava agli agenti
stessi, ed all'autorita' giudiziaria procedente per il loro tramite, che
il locale da perquisire in quanto ufficio del Marchini era invece nella
disponibilita' di un deputato, onde poteva costituirne domicilio, non sottoponibile
a perquisizione senza autorizzazione della Camera", Prosegue poi ulteriormente
il testo della sentenza, muovendo sostanzialmente un appunto al titolare
dell'organo giudiziario che aveva impartito telefonicamente l'ordine nel
senso che: "In tale contesto, l'autorita' giudiziaria avrebbe dovuto sospendere
l'esecuzione della perquisizione; in alternativa - ove avesse nutrito dubbi
sull'attendibilita' del contenuto dei cartelli - avrebbe potuto disporre
gli accertamenti del caso, per eventualmente procedere contro chi quel
cartello aveva collocato. L'unica scelta sicuramente preclusa all'autorita'
giudiziaria era di confermare verbalmente alla polizia l'ordine di eseguire
la perquisizione senza alcuna verifica punto e senza neppure trarre conseguenze
da tale falsita'. Cosi' comportandosi essa ha leso le attribuzioni garantite
alla Camera dei deputati dal secondo comma dell'art. 68 Cost.".
15.
- A fronte di tali inequivocabili parole, e del forse poco meditato ordine
del Procuratore della Repubblica, ritiene la Corte che, per risolvere la
questione della applicabilita' al caso di specie della invocata esimente
della reazione degli imputati ad atti arbitrari del pubblico ufficiale,
occorre sgomberare il campo dal problema dei riflessi di un ordine illegittimo
della autorita' giudiziaria sulla esecuzione dell'atto da parte della polizia
giudiziaria, o, in altri termini, dare risposta al quesito se l'illegittimita'
dell'ordine si estenda anche alla esecuzione di esso si da rendere arbitrario
il comportamento degli operanti e quindi operante la previsione dell'art.
4 del D.Lgs.Lgt. 14 settembre 1944, n. 288, secondo cui l'art. 337 c.p.
non e' applicabile quando il pubblico ufficiale abbia dato causa ai fatti
previsti in tale norma, "eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue
attribuzioni".
15.1.
- Il quesito che si e' posto evoca la radicale divergenza di opinioni che
si rinvengono in dottrina e in giurisprudenza sui requisiti dell'esimente.
15.2.
- Infatti, secondo un orientamento, per cosi' dire "soggettivistico", prevalente
nella giurisprudenza di legittimita' (fra le molte, Cass., sez. 6°,
u.p. 22 ottobre 2002 - dep. 23 novembre 2002, n. 39685, Argentin; Cass.,
sez. 6°, u.p. 16 marzo 1998-13 maggio 1998 - dep. 1998, n., 5572, Vitali;
Cass., sez. 6°, u.p. 1° dicembre 1995 - dep. 13 marzo 1996, n.
2669, Ferraretto) e condiviso da parte della dottrina, l'atto arbitrario
del pubblico ufficiale, idoneo a scriminare il comportamento dell'autore
della resistenza, deve essere non solo illegittimo, cioe' eccedere dalle
funzioni conferite dalla legge, ma anche posto in essere dal pubblico ufficiale
con l'intenzione di agire al di fuori delle sue attribuzioni e, quindi,
con la dolosa consapevolezza di commettere un vero e proprio sopruso. Tale
modo di vedere e' in particolare il frutto di una interpretazione del testo
normativo nel senso che la duplicita' del richiamo contenuto nella disposizione
agli atti arbitrari e all'eccesso dai limiti delle proprie attribuzioni,
rende inevitabile la costruzione del comportamento idoneo a scriminare
la reazione come connotato da un duplice profilo: oggettivo (cui farebbe
riferimento la norma quando usa il termine "eccesso dai limiti delle proprie
attribuzioni") e soggettivo (cui la norma farebbe riferimento con l'espressione
"con atti arbitrari").
15.3
- Un diverso orientamento, maggiormente garantista, di cui si e' in tempi
piu' recenti fatta portatrice una parte minoritaria della giurisprudenza
di legittimita' (v. a esempio, Cass., sez. 6°, u.p. 10 aprile 1996
- dep. 26 luglio 1996, n. 7565, Pacifici), interpreta le due espressioni
sopra riportate nel senso che esse esprimano un concetto unitario ed abbiano
contemporaneamente una connotazione solo oggettiva, laddove l'arbitrarieta'
dell'atto attiene alle modalita' di esecuzione di esso e l'eccesso dalle
attribuzioni si riferisce alla mera illegittimita' dell'atto. Di modo che
potrebbero dar luogo alla applicabilita' della esimente o l'illegittimita'
dell'atto ovvero il semplice comportamento scorretto, villano o incivile
del pubblico ufficiale, senza che siano rilevanti i riferimenti all'elemento
soggettivo del pubblico ufficiale.
15.4.
- La Corte, sia pure con le doverose puntualizzazioni che poco oltre si
faranno, ritiene corretta questa seconda interpretazione della norma in
quanto maggiormente aderente alla mutata realta' dei tempi. Le ragioni
di tale affermazione si rinvengono nella ermeneusi della norma in questione
offerta dalla Corte costituzionale che - pur in una decisione avente ad
oggetto il reato di oltraggio: Corte cost. 20 aprile 1998, n. 140) - ha
affermato come quest'ultima sia la interpretazione piu' corretta alla luce
della Costituzione.
15.5
- La stessa Corte costituzionale nella sentenza da ultimo citata afferma
che l'inquadramento storico-sistematico della norma sorregge con tutta
evidenza quest'ultima interpretazione, che viene a definirsi in tal modo
come costituzionalmente orientata. La causa di giustificazione (cosi' espressamente
qualificata nella sentenza), presente nel codice penale Zanardelli del
1889, venne abolita dal codice Rocco del 1930 "in nome di una malintesa
tutela del prestigio e della "infallibilita' degli agenti della pubblica
autorita'", per essere poi reintrodotta col D.Lgs.Lgt. n. 288/1944, proprio
al termine della guerra di liberazione, insieme ad altre modifiche del
codice penale ritenute significative del passaggio da un regime autoritario
al nuovo ordinamento democratico e alla nuova impostazione dei rapporti
tra autorita' e cittadino.
15.6.
- Da quanto si e' sinora detto discende che, nel valutare se nel caso di
specie il comportamento degli agenti operanti abbia innescato una reazione
legittima, non puo' prescindersi dal fatto che essi hanno dato esecuzione
a un atto oggettivamente illegittimo. Peraltro, ai fini della ricorrenza
dei presupposti considerati dall'art. 4 del D.Lgs.Lgt. n. 288/1944, non
e' sufficiente che l'atto sia genericamente "illegittimo". Per dare un
significato normativo all'endiadi "atto arbitrario-eccedente dai limiti
delle attribuzioni" occorre infatti che la antidoverosita' del comportamento
del pubblico ufficiale sia caratterizzata o dalle sue modalita' intrinseche
(inurbanita', arroganza, maleducazione e quant'altro) o dal suo sviamento
rispetto allo scopo di pubblico interesse per il quale e' dall'ordinamento
previsto l'esercizio di poteri autoritativi. E' questa, appunto, la situazione
che si e' verificata nel caso in esame. Invadendosi la sfera protetta da
una norma di rango costituzionale, costituente una tipica e tradizionale
garanzia della funzione parlamentare rispetto alle intromissioni degli
altri poteri dello Stato, si e' prodotto uno straripamento dei poteri dell'autorita'
giudiziaria. A prescindere da quale fosse l'ordine dato alla polizia giudiziaria,
era la materiale attivita' di perquisizione nell'ufficio del parlamentare
che non poteva essere effettuata senza autorizzazione della Camera di appartenenza,
a termini dell'art. 68, comma secondo, cost.; sicche' tale materiale attivita'
era priva di "scopo" legale, e quindi oggettivamente arbitraria, in quanto
lesiva delle attribuzioni del Parlamento. E' sicuro che se ci si pone da
un punto di vista soggettivo gli operanti erano certamente convinti e consapevoli
di eseguire un ordine della autorita' giudiziaria - nei confronti della
quale la polizia giudiziaria e' in rapporto di subordinazione non gerarchica
ma funzionale -e non potevano che essere in buona fede, onde sotto l'aspetto
in questione non potrebbe esser mosso nei loro riguardi il minimo appunto,
difettando assolutamente la coscienza e la consapevolezza di commettere
un atto arbitrario, essendovi anzi la convinzione di compiere un atto doveroso.
Come pero' si e' detto, la connotazione soggettiva del comportamento del
pubblico ufficiale non esclude che sia stato posto in esecuzione un atto
oggettivamente illegittimo (cosi' come peraltro lo avevano percepito gli
imputati), e pertanto capace di connotarsi come atto eccedente le normali
e ordinarie attribuzioni dei pubblici ufficiali, con la conseguenza che
non puo' non trovare applicazione l'esimente prevista dal citato D.Lgs.Lgt.
n. 288/1944.
15.7.
- Ne consegue, quale ulteriore conseguenza, che il comportamento di tutti
gli imputati deve essere ritenuto esente da responsabilita', salvo quanto
si dira' appresso.
15.8
- L'esimente in parola, con riferimento al contesto in argomento, in cui
Deputati della Repubblica e simpatizzanti del partito hanno inteso tutelare
un diritto che ritenevano comune in quanto assistito da una garanzia costituzionale,
ha, infatti, una portata generale e non puo' ritenersi limitato al solo
interessato On. le Maroni. Deve quindi ritenersi per tutti gli imputati
che sia scriminata la resistenza dal momento in cui la perquisizione, alla
vista del primo cartello che indicava un luogo costituzionalmente protetto
ex art. 68, avrebbe dovuto essere sospesa (Cass., sez. 6°, u.p. 10
ottobre 1980 - dep. 21 aprile 1981, n. 3648, Pirellas).
16.
- Cio' premesso, tale conclusione non puo' pero' esaurire il giudizio perche'
resta aperta la questione della responsabilita' per gli atti compiuti in
precedenza. Infatti, se e' vero che, come messo in luce dalla dottrina,
la scriminante in esame e' riconducibile al piu' generale diritto di ognuno
di resistere e finanche di reagire al sopruso dell'Autorita', non puo'
tuttavia assumersi giustificata una reazione violenta a comportamenti,
ancorche' illegittimi o arbitrari, da chiunque posti in essere, che non
sia necessitata dalla impossibilita' di impedire tali comportamenti facendo
valere altrimenti le proprie ragioni.
16.1
- La ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito che si e' riportata
in esordio della presente sentenza assume particolare rilevanza ai fini
della decisione, perche' non tutto cio' che accadde quel giorno puo' essere
valutato con lo stesso metro. Riprendendo un'espressione contenuta nelle
sentenze di merito e', infatti, importante sottolineare come la perquisizione
ebbe una esecuzione frazionata, per usare la stessa parola che si legge
nella decisione di appello. Di cio' si e' dato ampiamente conto nella descrizione
del fatto. Senza ripetere qui cose gia' dette, la questione che nei locali
del partito Lega Nord esistesse una stanza adibita a segreteria politica
dell'On.le Maroni venne in luce poco prima che le operazioni fossero ultimate.
La mattina del 18 settembre 1996, fu lo stesso Maroni a dichiarare che
nessuna stanza aveva a disposizione negli uffici della Lega come nessuna
stanza aveva a disposizione il Marchini. La prima affermazione fu addirittura
confermata dal Calderoli (v. sentenza di primo grado pagg. 7 e 8; sentenza
di secondo grado pag. 14). Alla luce di cio' che e' accaduto dopo e' lecito
ritenere - per dare una spiegazione degli eventi senza fare affermazioni
avventate che non competerebbero a questa Corte - che si tratto', nel caso,
di un'affermazione di Maroni che aveva, una connotazione di sfida o, comunque,
di un'espressione finalizzata a far desistere gli agenti dalla perquisizione
cercando di convincerli che non v'era nulla da perquisire. Cio', pero',
non poteva bastare ovviamente per far desistere gli operanti dal dare corso
a un atto che in quel momento non solo appariva loro dovuto ma era oggettivamente
dovuto. E, infatti, nel pomeriggio venne dato corso all'atto presupposto
e nella convinzione da parte della polizia della ricerca della stanza di
Marchini e della inesistenza della stanza di Maroni (La questione che all'On.le
Maroni era stata assegnata una stanza in via provvisoria risulto' ufficialmente
solo molto tempo dopo in dibattimento e fu acquisita al processo a seguito
di affermazioni di testi indotti dalla difesa, i quali hanno affermato
che quella assegnazione era dipesa dal fatto che il Maroni doveva iniziare
a svolgere i suoi impegni riguardanti il "Governo della Padania": v. sentenza
d'appello pag. 13; v. anche sentenza della Corte costituzionale di risoluzione
del secondo conflitto di attribuzione).
16.2
- Orbene, ripercorrendo sinteticamente lo sviluppo della vera e propria
fase esecutiva della perquisizione, attenendosi al fatto come cristallizzato
nelle sentenze di merito possono distinguersi: fatti verificatisi nell'atrio
del palazzo (superamento del cordone formato da alcuni degli imputati e
da altri simpatizzanti della Lega Nord); fatti verificatisi durante la
salita della prima rampa di scale; fatti verificatisi nella fase piu' concitata
dei tumulti pianerottolo che, tramite una porta a vetri, dava accesso a
un corridoio (porta a vetri sulla quale era collocato un primo cartello
indicante la stanza dell'On.le Maroni); fatti verificatisi dopo il superamento
di tale porta a vetri e, successivamente, durante il percorso del corridoio
e nella fase finale davanti alla porta su cui era apposto il secondo cartello
indicante l'appartenenza del locale all'On.le Maroni (sulla esistenza di
un primo cartello davanti alla porta a vetri di accesso al corridoio, si
veda la sentenza di primo grado alla pag. 32).
16.3.
- Ora, ritiene la Corte, come gia' detto, che, ai fini della attribuzione
di responsabilita', si debbano distinguere e valutare diversamente i fatti
posti in essere dagli imputati prima che gli operanti si avvedessero del
primo cartello, dai fatti verificatisi dopo. Non risulta, infatti, stando
a quanto accertato dai giudici di merito, che alcuno degli imputati abbia,
prima di tale momento, fatto presente agli agenti l'argomento, a questi
ignoto, che rendeva arbitrario il loro agire. E non v'e dubbio che prima
del superamento della porta a vetri, davanti alla quale gli agenti si sarebbero
dovuti arrestare, si verificarono episodi di violenza attiva, idonei a
integrare il reato di resistenza a pubblico ufficiale da parte di alcuni
degli imputati per frenare il progredire delle forze dell'ordine.
16.4.
- Nessun reato si ravvisa con riferimento alla formazione del cordone umano
che fu superato dagli agenti, davanti alla rampa di accesso alla scala
posta nell'atrio, in quanto il fatto rappresenta una mera resistenza passiva.
Diverso fu, invece, il comportamento di alcuni degli imputati nella fase
di salita della rampa e poi nella fase degli scontri verificatisi pianerottolo
(i fatti sono descritti analiticamente nella sentenza di primo grado nelle
pagg. 13, 14 e 15). Come si e' gia' detto, nel momento della salita, Maroni
afferro' per una gamba l'ispettore Mastrostefano per impedirgli di salire.
Analogo comportamento tenne Maroni nei confronti dell'ispettore Amadu che
era intervenuto per liberare il Mastrostefano dalla morsa. Si tratta di
inspiegabili episodi di resistenza attiva (considerato cio' che il Maroni
avrebbe potuto dire subito della esistenza del suo ufficio) e proprio per
questo del tutto ingiustificabili. Non solo. Episodi di resistenza attiva
si ebbero anche quando gli agenti pervennero pianerottolo dopo il percorso
di un corridoio e la discesa di una nuova rampa di scale. Prima ancora
della vista del cartello, secondo quanto risulta dalla analitica descrizione
della sentenza di primo grado, si verificarono su detto pianerottolo altri
episodi di resistenza attiva (3 capoverso della pag. 15). Ci si riferisce
non tanto al comportamento di Capanni che cercava di impedire l'avanzata
degli operanti con atteggiamenti di resistenza passiva, bensi' al comportamento
del Martinelli che prendeva al collo dalle spalle l'Amadu e lo tirava indietro,
al fine evidente di impedirgli il passaggio.
16.5.
- Maroni e Martinelli si resero, dunque, responsabili di episodi di vera
e propria resistenza attiva, integranti il reato di cui all'art. 337 c.p.
ancor prima dell'arresto del Dott. Pallauro e dei suoi uomini e prima che
quest'ultimo incontrasse la "emergenza" del cartello (pag. 16, primo capoverso,
della sentenza di primo grado). Nessuno - e bisogna ripetere, inspiegabilmente
- sino a quel momento aveva avvertito gli agenti della esistenza della
stanza tutelata dalla guarentigia costituzionale.
16.6.
- L'attenzione va a questo punto rivolta alla frase che si legge nella
sentenza di secondo grado (pag. 14) con cui si afferma che "riferendosi
la contestazione di arbitrarieta' al momento ultimativo della perquisizione
(cioe' al momento in cui si paleso' la situazione che avrebbe dovuto indurre
gli operanti alla desistenza, n.d.e.), il reato di resistenza era gia'
stato posto in essere". Questa affermazione va censurata, perche', come
si e' visto sinora gli episodi di resistenza attiva furono posti in essere
da Maroni e Martinelli ed e' inammissibile coinvolgere a titolo di concorso
tutti gli altri imputati senza fornire una doverosa prova del concorso.
E' chiaro, infatti che, ove si consideri la particolare situazione ambientale
in cui si tendeva a impedire la progressione degli operanti con attivita'
che si sono per lo piu' svolte con atti di mera resistenza passiva (per
lo meno sino alla fase della "emergenza") non e' dato comprendere come
episodi di violenza riscontrati in capo a solo due degli imputati possano
estendersi automaticamente a tutti gli altri. Episodi singoli da parte
di due persone facenti parte di una folla tumultuosa di persone non possano
estendersi in concorso, e in modo automatico, agli altri imputati (si veda
su tale questione il motivo 6.3. di Borghezio, che appare fondato: ma la
questione riguarda tutti gli altri, esclusi ovviamente Maroni e Martinelli).
Su tal aspetto la sentenza impugnata risulta particolarmente confusa: alla
pag. 6, infatti, si parla di episodi "riconducibili all'azione rispettivamente
di Maroni, di Bossi e di 'Caldarini'". Si paria poi del comportamento di
Borghezio, ma con riferimento a episodio verificatosi al momento di sfondamento
della porta, fatto che riguarda la fase in cui tutti gli imputati devono
ritenersi scriminati per le ragioni che si sono esposte. Ora, a parte la
confusione tra Calderoli e Capanni che diventano Xaldarini" e che impedisce
di capire a quale dei due imputati la Corte volesse riferirsi, particolare
incertezza offre la ricostruzione di un concorso (non spiegato) da parte
di Bossi. L'affermazione e' in contrasto addirittura con la sentenza di
primo grado che riferisce (con riguardo agli eventi verificatisi pianerottolo)
dell'arrivo di Bossi "che invitava i presenti alla calma" tanto che la
situazione si tranquillizzo' sia pure momentaneamente (pag. 15 della sentenza
di primo grado). Quest'ultimo imputato non e' intervenuto prima della fase
ultimativa, se non per cercare di invitare alla calma e non si comprende
perche' mai nella sentenza d'appello venga elencato tra le persone che
commisero atti di resistenza attiva nella fase iniziale e centrale degli
eventi.
16.7.
- Per quel che attiene alla posizione di Maroni, oltre a quanto rilevato
sin qui, va dichiarato inammissibile il motivo di ricorso 5.3., perche',
come si e' gia' detto, con esso si deducono censure non consentite nel
giudizio di Cassazione, riguardando la ricostruzione e la valutazione del
fatto, oltre che l'apprezzamento del materiale probatorio, profili del
giudizio sui quali vi e' una motivazione congrua del giudice di merito
che non si presta a censure.
Sui
motivi concernenti il diniego di attenuanti;
17.
- Maroni non ha dedotto motivi sulla mancata applicazione di attenuanti
diverse da quelle generiche. Motivi al riguardo sono stati formulati invece
da Martinelli (motivi 4.7, 4.8, 4.9 e 4.14 del ricorso dell'avv. Brigandi'),
ma diniego delle attenuanti la sentenza appare motivata con argomentazioni,
cui si rimanda, che non si sottopongono a censura: dette attenuanti restano
pertanto definitivamente escluse.
Sulla
censura contenente le statuizioni civili;
18.
Nel ricorso dell'avv. Brigandi' per Martinelli e' contenuto anche un motivo
sulle questioni civili. Sembra che tale motivo abbia il significato di
censurare la sentenza di primo grado nella parte in cui non ha tenuto conto
che e' stato eliminato il reato di oltraggio: Tuttavia il motivo e' infondato,
perche' la liquidazione del danno e' stata rimessa alla sede separata,
e il giudice civile terra' conto della misura del danno solo in relazione
al reato residuo. Se poi la censura vuole riferirsi anche alla misura della
provvisionale, e' noto che la Corte di legittimita' non ha alcun potere
punto.
19.
- Traendo le conclusioni da tutto quello che si e' sin qui detto, vanno
formulate le seguenti proposizioni.
19.1.
- I ricorsi di Maroni e di Martinelli devono essere rigettati con conseguente
condanna degli stessi alla rifusione delle spese sostenute dalle parti
civili costituite, liquidate in complessive euro 4.000, di cui euro 3.060
per onorari.
19.2.
- Nei riguardi di tali due imputati puo' procedersi alla richiesta sostituzione
della pena detentiva con quella pecuniaria, essendo gli stessi incensurati
e rientrando la condanna nei nuovi limiti di pena per i quali e' consentita
la sostituzione ex artt. 4 e 5, comma 3, della l. 12 giugno 2003, n. 134.
Pertanto, operata la conversione a norma di legge va pronunciata la condanna
al pagamento della somma di euro 5.320 ciascuno.
19.4.
- Non deve farsi luogo alla condanna alte spese per l'effetto favorevole
che consegue dalla impugnazione in relazione alla applicazione di sanzione
sostitutiva.
19.5.
- Con riferimento invece agii imputati Bossi, Borghezio, Calderoli e Caparini,
la sentenza va annullata con rinvio affinche' altra sezione della Corte
d'appello di Milano riesamini i loro comportamenti, rivalutando la questione
del concorso con gli imputati che hanno commesso episodi non scriminati
di resistenza attiva (Maroni e Martinelli) nella fase iniziale e centrale
degli eventi, fermo restando che tutti i ricorrenti restano esenti da punibilita'
per gli episodi successivi al momento in cui gli agenti operanti si sono
avveduti delta esistenza del cartello che indicava la presenza di una stanza
assistita dalla garanzia costituzionale, momento dal quale gli odierni
ricorrenti vanno esenti da pena in applicazione della esimente della reazione
ad atti arbitrari del pubblico ufficiale.
P.Q.M.
Annulla
la sentenza impugnata nei confronti di Bossi Umberto, Borghezio Mario,
Caparini Davide Carlo e Calderoli Roberto e rinvia per nuovo giudizio ad
altra sezione della Corte d'appello di Milano.
Rigetta
i ricorsi di Maroni Roberto e di Martinelli Piergiorgio, nei cui confronti
sostituisce la pena detentiva con quella di euro 5.320 di multa ciascuno,
ai sensi degli artt. 4 e 5, comma 3, della l. n. 134/2003.
Condanna
Maroni e Martinelli in solido alla rifusione delle spese sostenute dalle
parti civili in questa fase, spese che liquida in complessivi euro 4.000,
di cui euro 3.060 per onorari.
Cosi'
deciso in Roma, il 9 febbraio 2004.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2004
http://documenti.camera.it/leg16/dossier/Testi/GI0303.htm#_Toc248569337