di Alice
prima puntata

Un giorno. . . per caso

17-12-2000. La mia vita finalmente cominciò. Accompagnai il mio ragazzo al derby. Era smanioso, distante da me, invaso da non so che pensieri. Nei suoi occhi brillava una luce che non avevo mai visto. Traspariva qualcosa di straniero per me. L’aria scuoteva con una lieve e delicata brezza l’opacità che mi ricopriva. Arrivammo all’Olimpico. Lo accompagnai alla Curva Sud, il settore più importante per i romanisti, solo questo sapevo. Salutandolo mi sentii preda di uno strano sconforto. La sua testa era stata da tutt’altra parte. Gli dissi:“almeno vincete!”. Solo allora mi accorsi che non era lui ad essere atipico: una folla di tifosi si girò verso di me. Perché tante persone? In fondo mancavano almeno 3 ore al fischio iniziale… “Certo!” fu la secca risposta. Quasi indispettita me ne andai. Camminavo travolta e spintonata. Frammenti di razionalità svanivano, mi abbandonavano per divenire vapore saturo. La mia mente sgombera rifletteva il vuoto della mia anima, la mia assoluta mancanza di emozioni. Pensavo a tutto e a niente. Pensavo. Ero scossa da un’apatia condizionata, da un’assuefazione energetica, da riflessi spettrali. Avvertivo quasi opprimenti quegli occhi su di me. Erano lo specchio di una forza inspiegabile, almeno per allora. Arrivò l’autobus e lo lasciai passare inutile davanti a me. Non lo fermai. Ero attonita, impietrita. Sapevo solo che non era quello il mio posto, non era la serata giusta da passare a casa, non era il momento di andarmene, non ero io. Il rumore di un clacson scosse il mio stato di quiescenza sconvolta. Tornai di corsa allo stadio, lì dove prima ero entrata in contatto con quell’indescrivibile spirito che aveva atrofizzato il mio essere. Avvertii mio padre che mi avevano fatto un regalo. Chiamai il mio ragazzo…Poco dopo salivo in fretta le scale, mi affacciavo dal boccaporto. Lo spettacolo si aprì ai miei occhi. Quella luce dapprima inconcepibile e paurosa mi accecò, ora mi scrutava, ora mi studiava e subito mi invadeva e mi faceva sua dolce preda. In ventesima fila, imparavo quanti più cori potevo, e non mi interessava la partita ma tutta quella gente, gli striscioni, la coreografia, la Sud gremita più degli altri settori: ero una di loro. O semplicemente lo sarei stata presto. D’un tratto arrivò il gol, o meglio, l’autogol di Negro. Il panico delirante rivoltò la massa in una scossa fulminea; l’intensità era quella di un brivido elettrico. L’esultanza per me non sarebbe mai finita. Anzi, era solo l’inizio. E che inizio…Non sapevo niente. Volevo essere come gli altri.  Non meritavo tanta felicità…E per qualcosa che ancora contava poco avevo mentito, avevo perso di vista me stessa…Il mio obbiettivo ora erano le partite successive: non ero abbonata ma non avrei voluto perdere per alcun motivo emozioni simili. Così chiesi a mio padre di rimediare i biglietti. Puntualmente erano per tribuna d’onore o palco autorità e altrettanto puntualmente entravo in Sud e costringevo il mio ragazzo a scavalcare. 
Se ci ripenso…quella passione adesso è in me…Roma “m’hai fatto innamorà”…

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