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Al
modico costo di € 210,00 (circa 400.000 delle vecchie lire), la Juventus
FC vende sul suo sito
internet la "maglia n. 10 di Michel
Platini Coppa Campioni 1984-85. 100% cotone mako. Taglia unica, riprodotte
in numero limitato vidimate dal Vice Presidente della Juventus Roberto
Bettega".
Da un successivo controllo del 6 gennaio 2005, ecco la nuova dicitura del sito ufficiale bianconero: "Campionato 1984-85 Maglia n.10 di Michel Platini Campionato 1984-85. 100% cotone mako. Taglia unica, riprodotte in numero limitato vidimate dal Vice Presidente della Juventus Football Club, Roberto Bettega". Prezzo: € 150,00" In pratica da "Coppa dei Campioni", è diventata "campionato". |
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Pur essendo visto e rivisto, il primo video è abbstanza forte e sconsigliato per gli impressionabili
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"Non sapevano, vanno assolti: altrimenti sarebbero stati dei mostri" (Il direttore del Guerin Sportivo) |
"Noi della Juventus sapevamo che all'Heysel c'erano stati dei morti laggiù nel settore Z. A dircelo erano stati i tanti, tantissimi tifosi che erano giunti nello spogliatoio per farsi medicare ...." (Stefano Tacconi, 1995) |
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Titolo: Le verità sull'Heysel - Cronaca di una strage annunciata - Edizioni: Libri di Sport Pagine: 150 Prezzo: € 13 Note: Recensione di Roberto Beccantini. Introduzione di Andrea Lorentini 24/5/2004 Caro
Stefano, torno a scrivere sull'Heysel, per l'ultima volta. Lo faccio perché
sono stato tirato in ballo personalmente e credo di avere, come minimo,
il diritto alla replica. Cercherò d'essere telegrafico, quindi vado
per punti.
DI TORINO Tutto sulla costruzione del Delle Alpi..... direttamente scritto da un ex assessore comunale di Torino. Regalie varie alla Juve, introiti pubblicitari etc etc etc... Un po' lunghetto ma per chi ha vogli di approfondire sullo stile Juve... http://www.antijuve.com In ordine alla inchiesta sul doping, cliccate qui di seguito per leggere la perizia fatta dal Prof. Giuseppe D'Onofrio per conto del Giudice relativamente ai giocatori della Juventus e quella del Prof. Eugenio Muller
DOPING: Quando alla Juve si faceva uso di sostanze proibite si vinceva ovunque: secondo la giustizia sportiva i reati sarebbero prescritti Tre scudetti macchiati dal doping Rimessi in discussione i successi degli anni d’oro. Il Coni: aspettiamo le motivazioni ROMA - La sentenza è di primo grado e mancano le motivazioni. Nessuno, tantomeno i vertici del Coni e quelli della Federcalcio, ha voglia di esprimere un giudizio. Esiste, nella giustizia ordinaria, un iter che deve essere rispettato e fino a quando non è concluso nessuno deve essere considerato colpevole. Lo stesso accade con la giustizia sportiva. Mai, allora, lasciarsi andare in dichiarazioni affrettate, soprattutto in un caso così delicato. Al momento, l’unica cosa da fare è prendere atto di questa sentenza del tribunale che scagiona Antonio Giraudo - e quindi la società Juventus - e condanna il medico sociale Riccardo Agricola. E in molti hanno la sensazione che in appello la condanna di un anno e dieci mesi per frode sportiva inflitta al dottore verrà annullata. Quello di ieri è stato il primo tempo di una partita che aspetta di essere giocata fino in fondo. Quattro anni di successi sono stati quelli tra il 1994 e il 1998: un periodo davvero dorato. Si contano in questo periodo per la Juventus tre scudetti, una Champions League, una Supercoppa europea, una coppa Intercontinentale, una coppa Italia e due Supercoppe italiane. Su questi trofei pesa l’ombra del doping, sostanze anche “pesanti” come l’eritropoietina che, stando al tribunale, è stata utilizzata. Ma non solo, visto che vennero trovate nella “farmacia Juventus” ben 281 tipi di medicine quasi si fosse non in una squadra di calcio ma in un ospedale. Ed esiste, anche, la possibilità che qualcosa possa cambiare perché il nuovo regolamento antidoping del Coni, quello in vigore dal primo gennaio di quest’anno (approvato con la delibera 482 del 21 ottobre 2003) all’articolo 17 comma 5 è previsto che il termine della prescrizione è di «otto anni dal giorno in cui il fatto si è verificato». Su questo tema si può aprire una discussione perché in precedenza un reato veniva prescritto in cinque anni. Cosa fare allora con gli scudetti vinti dalla Juve? Al di là dei regolamenti, oseremmo dire delle interpretazioni o dei cavilli, c’è una condanna morale che è assai più grave di quelle che possono comminare gli organi di giustizia sportiva. Qui si parla di onore sportivo e non di una pena che può essere diversificata come accade solo nel calcio rispetto agli altri sport. Sarà bene ricordare un altro aspetto di questo caso ormai lungo. La Procura Antidoping del Coni - il presidente allora era l’avvocato Ugo Longo, poi diventato presidente della Lazio calcio - nel 1998 ha indagato per due mesi sulla vicenda bianconera portata alla ribalta dalle dichiarazioni di Zeman. Otto settimane di lavoro prima di archiviare tutto non avendo riscontrato irregolarità. Adesso (ma forse già con le ultime fasi del processo torinese) ai vertici del Coni dovrebbe, non senza un po’ di imbarazzo, venire qualche curiosità: ma quell’inchiesta del 1998 è stata fatta bene? Nessuna accusa, forse adesso ci sono elementi che prima non c’erano, ma qualche dubbio c’è. Un dirigente attento e scupoloso qual è Gianni Petrucci non si lascerà sfuggire questa opportunità per fare ulteriore chiarezza, lui che ci tiene a gestire il Coni come una casa di vetro. E’ inquietante che una Procura della Repubblica e un magistrato abbiano scoperto tante irregolarità in tema di doping mentre al Coni un’apposita Procura non ha scovato nulla. Tutto il mondo guarda all’Italia calcistica e la Juve, che è la squadra più famosa, condannata per Epo è una macchia indelebile. Per questo il Foro Italico, una volta avute le motivazioni della sentenza di ieri, dovrà intervenire. Ieri la Federcalcio, che alla pari del Coni ha evitato qualsiasi commento in attesa di conoscere le motivazioni della sentenza, ha subito informato la Fifa e l’Uefa ma anche la Wada, ossia l’Agenzia antidoping mondiale. E’ stato lo stesso presidente Carraro a parlare con i responsabili delle federazioni. In ogni caso i dirigenti della Figc ma anche quelli del Coni sostengono che l’aver scagionato l’amministratore delegato della Juventus, Giraudo, ha un significato preciso, ossia quello di una non responsabilità da parte del club. Pare passato un secolo, da quel giorno di fine luglio del '98 quando Zdenek Zeman dichiarò all'Espresso che il calcio era finito in farmacia. Gli diedero del pazzo, del calunniatore, del visionario, assicurando che "nel mondo del pallone il doping non esiste". Poi si capì che non lo cercavano, per questo - ufficialmente - non esisteva. E saltò il laboratorio Coni dell'Acqua Acetosa. Ora, per la prima volta nella storia del calcio italiano (e non solo), una società viene condannata per doping. Ed è la più prestigiosa e blasonata d'Europa: la Juventus. Questa, al di là delle analisi e delle sottigliezze sul dispositivo della sentenza emessa stamane dal giudice Giuseppe Casalbore, è la sostanza dell'ultimo atto del processo di primo grado all'amministratore delegato bianconero Antonio Giraudo (assolto) e al capo dello staff medico Riccardo Agricola (condannato). Pienamente confermato il cuore dell'accusa, sostenuta con pazienza e determinazione in questi anni dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello e dai suoi sostituti Sara Panelli e Gianfranco Colace. L'accusa principale intorno a cui sono ruotati questi sei anni di indagini, udienza preliminare e dibattimento era la frode sportiva mediante "somministrazione sistematica di eritropoietina" (la famigerata e vietatissima Epo) e mediante l'abuso di farmaci su atleti sani. Quest'accusa, dislocata alle lettere g), h) e i) del capo d'imputazione, è stata ritenuta fondata dal giudice a carico del dottor Agricola. Sia sul versante della frode sportiva, in base alla legge 401 del 1989 (che punisce chi compie atti fraudolenti per alterare i risultati delle competizioni sportive), sia su quello della somministrazione di farmaci e creatina in maniera pericolosa per la salute degli atleti (articolo 445 del Codice penale). Traduzione: secondo il Tribunale di Torino, la Juventus ha "dopato" i suoi giocatori con l'Epo e altri farmaci, in parte vietati, in parte leciti ma solo per curare patologie (in questo caso inesistenti), nelle stagioni comprese fra il 1994 al 1998. Le prime quattro stagioni dell'era Lippi, sotto la regia della nuova dirigenza Giraudo-Moggi-Bettega, contrassegnate da una messe di successi (una Champions League e tre scudetti). Ora su quei titoli sportivi si pronunceranno i giudici della Federcalcio e dell'Uefa, sempreché la condanna di Agricola "regga" dinanzi alla Corte d'appello, alla quale i difensori hanno già annunciato ricorso. Il giudice Casalbore, smentendo le insinuazioni di alcuni difensori che lo dipingevano come "appiattito" sulle posizioni dei pubblici ministeri, ha emesso un verdetto complesso, che per essere compreso appieno richiederà un'attenta lettura delle motivazioni (arriveranno fra tre mesi). Ma che già emerge con sufficiente chiarezza. Sul doping e sulla conseguente accusa di mettere a repentaglio la salute dei giocatori, Giraudo viene assolto con la formula del comma 2 dell'articolo 530 del Codice di procedura penale: quella che assorbe la vecchia insufficienza di prove ("quando la prova è contraddittoria o insufficiente"). Nel processo, secondo il Tribunale, non sono emersi elementi bastanti a dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che l'amministratore delegato sapesse quel che faceva Agricola. Fino all'ultimo i pm avevano valutato la possibilità di chiedere l'assoluzione di Giraudo, ma poi avevano optato per una richiesta di condanna, sia pure più blanda rispetto ad Agricola, sulla base di una "prova logica", indiziaria: visti i costi abnormi dell'Epo, era impensabile che il medico li sostenesse senza avvertire il suo diretto superiore, che stanziava i fondi per i medicinali e firmava i bilanci. Per il giudice, tutto questo non basta. Mancano le impronte digitali, cioè documenti o testimonianze che assicurino che Giraudo era d'accordo (nell'arringa, i suoi difensori avevano osservato che, semmai, il medico rispondeva al direttore sportivo Luciano Moggi, non all'amministratore delegato). In ogni caso è di Agricola e delle sue pratiche che si è parlato soprattutto in questi tre anni di dibattimento. Non di Giraudo. Insieme alla frode sportiva e alla somministrazione dannosa di farmaci, i due imputati erano accusati anche di falso materiale, per la strana triangolazione di ricette con cui la Juventus - complice il farmacista Rossano - si procurava medicinali a esclusivo uso ospedaliero. Anche questa accusa è stata confermata, ma solo per Rossano (che ha patteggiato 5 mesi), mentre Giraudo è stato assolto con formula piena e Agricola con formula "dubitativa" (il solito art. 530 comma 2). Un'altra, la creazione di una farmacia abusiva contro la legge 538/92, è caduta in prescrizione. Per le tre imputazioni minori (presunta violazione della legge 626/94 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e presunti test irregolari sull'Aids e sul testosterone sui calciatori), invece, è scattata l'assoluzione piena. Tutto questo, per l'avvocato Luigi Chiappero (difensore di Agricola insieme a Emiliana Olivieri), è un "pareggio in trasferta". Metafora infelice, visto che il capo g) per cui Agricola è stato condannato a 1 anno e 10 mesi di reclusione recita testualmente: "...a ver sottoposto i giocatori a metodi doping proibitie in particolare la somministrazione dispecialità medicinali atte a stimolare l'eritropoiesi quali l'eritropoietina umana ricombinata a pratiche di tipo trasfusionali, ricorrendone il divieto", il tutto "dal luglio 1994 all'ottobre 1998" |
Lorentini. Ha affrontato la lunga trasferta in Belgio con il padre Otello. Ma Roberto muore, mentre stava tentando di soccorrere un ferito. Per questo motivo gli verrà conferita la medaglia d’argento al Valor Civile alla memoria dalla residenza della Repubblica Italiana. Il signor Otello si fa in seguito promotore della creazione dell’«Associazione delle vittime dell’Heysel». Tutto il materiale conservato negli anni con cura certosina dal padre di Roberto è stato trasformato in un libro, grazie alle capaci e sensibili mani di Francesco Caremani, giornalista aretino amico dello stesso Roberto Lorentini, che conduce il lettore alla ricerca delle verità su quella strage. Leggendo il libro di Caremani non si sa più se piangere o se prendere a pugni il libro... tanta è la rabbia! Già, perché immergendosi nella lettura si scoprono tutti i retroscena di quella strage. Ma, come se non bastasse, si scopre tutto il male che è stato commesso verso quelle 39 vittime negli anni a seguire, attraverso una vergognosa e infamante serie di processi e di scontri, che hanno portato solo ad un responso: dimenticare, dimenticare tutto. Tutti
hanno voluto dimenticare la tragedia e i suoi morti: l’Uefa, il Belgio,
la
La
realtà è che nessuno ha mai voglia di parlarne. Come fosse
un ricordo
Il
libro si apre con le testimonianze di chi c’era, quel giorno e in quel
luogo
E poi
la partita, giocata ugualmente nonostante tutti sapessero e tutti
Dopo
il danno, la beffa. Che inizia a strage non ancora conclusa.
L’intervista a Francesco Caremani Dopo cinque anni di Calcio2000, il mensile di Marino Bartoletti, è uscito dal guscio ed è diventato freelance. Collabora con numerose testate, tra le quali Avvenire, il Riformista, l’Unità, Diario, Guerin sportivo, Controcampo, CalcioGold e Basket&Basket. Grande appassionato di storia, relazioni internazionali, politica e poesia, la sua silloge «Giorni» è stata pubblicata nella raccolta Orizzonti, edita da Libroitaliano. Sposato con Lucia e padre di Alice, è tornato a vivere ad Arezzo, dopo 5 anni vissuti a San Lazzaro di Savena, Bologna. Ha già pubblicato libri sportivi con la Sagep, Bradipolibri Editore e Libri di Sport Edizioni. D:Francesco Caremani, nella premessa al suo libro dice che questo è il libro che non avrebbe mai voluto scrivere, ma contemporaneamente aggiunge che è il libro al quale tiene di più. Può spiegarci questo contrasto? R: Da un punto di vista umano è un libro che non avrei mai voluto scrivere perché naturalmente non avrei mai voluto assistere a una strage come quella ell’Heysel. Ovviamente ci sono precise ragioni umane. Io dovevo essere lì, proprio nel ettore Z, con i Lorentini. Ma è un libro al quale tengo moltissimo, proprio per questi motivi umani, che mi legano a Roberto e al suo ricordo. D: Il libro è nato grazie al fondamentale materiale raccolto negli anni da Otello Lorentini. Come è avvenuto questo passaggio? R: Sì, esattamente. E non finirò mai di ringraziarlo. Un giorno che ne stavamo parlando lui scese in tavernetta, aprì un armadio, e tirò fuori degli scatoloni pieni di carta. Sinceramente devo ammettere che rimasi sorpreso. Non avevo idea che potesse conservare tutto quel materiale. Me lo consegnò dicendomi: «Ecco, questa è tutta la mia vita». L’ho tenuto per più di due anni. Quest’estate ho scritto il libro isolandomi per diverse settimane da mia moglie e da mia figlia. D: Lei ha scritto un libro con il cuore, e questo si evince chiaramente leggendolo. Questo è sicuramente imputato al fatto che conosceva Roberto. Lei crede che uno scrittore estraneo all’evento lo avrebbe scritto diversamente? R: Si, sicuramente. Ma mi rifaccio a quello che ha scritto Roberto Beccantini, autore della prefazione: «è un libro di parte, ma della parte giusta». D: Quale è stata la reazione di Otello Lorentini al suo libro? R: Otello ha letto tutto prima di mandarlo in stampa. Glielo dovevo. Non ha avuto niente da dire. D: Lei nel libro parla dei caroselli di Torino, di Arezzo, come di altre città italiane, che si sono formati subito dopo la partita per festeggiare la conquista della Coppa dei Campioni. Può rilasciare un commento a proposito? R: (un attimo di pausa) Inaccettabile, ingiustificabile. Non esiste coppa, non esiste calcio quando ci sono 39 morti. Non credo ci sia bisogno di fare ulteriori commenti. L’intervista
ad Andrea Lorentini
D:
Andrea, che ricordi hai di tuo padre Roberto?
D:
Tu non hai avuto un padre, ma ti ha cresciuto un nonno fantastico…
D:
E’ stato difficile per te vivere questa situazione in questi anni?
D:
Andrea, per quale squadra di calcio tifi?
D:
Essere simpatizzante dell’Inter è anche, forse, un modo per prendere
le
D:
Hai rancore verso la Juventus per quella tragedia?
D:
Nemmeno con la Coppa dei Campioni del 1996?
D:
Tu scrivi una frase molto bella nella tua introduzione al libro: «Il
calcio è vita».
Il medico somministrava anche l'EPO Le accuse, come noto, erano quelle contestate dal Pm Raffaele Guariniello: somministrazione di sostanze non consentite ai calciatori nel periodo 1994-1998, tra le quali anche l'Epo. "L'imputato, invero - si legge nelle motivazioni del giudice Giuseppe Casalbore a proposito di Agricola - ha somministrato medicinali non per finalità terapeutiche, bensì al fine di modificare la prestazione agonistica dei calciatori, mettendoli nelle condizioni di poter ottenere risultati agonistici che i calciatori non avrebbero potuto raggiungere con il solo allenamento, con la sola pratica sportiva, e per conseguire tale scopo ha utilizzato farmaci ed altre sostanze, somministrandoli sulla base di indicazioni diverse da quelle autorizzate dal Ministero della Sanità". Casalbore, riguardo all'attegiamento complessivo di Agricola parla di "curiosità e disponibilità verso tutti i possibili espedienti per ottenere miglioramenti nelle prestazioni dei giocatori". Sull'abuso di creatina, Casalbore parla di "somministrazione ai giocatori in dosi massicce ed esagerate che si è concretizzata da parte dell'imputato nella scelta, avventata e inadeguata, effettuata nel febbraio 1995 di utilizzare quantità incontrollate di creatina acquistata dalla Svezia da somministrare ai giocatori, per giunta sulla base delle incomplete ed incerte conoscenze dell'epoca; nella decisione, adottata l'anno successivo, di concludere un accordo commerciale con lo sponsor Also-Enervit, sostituendo la creatina svedese con quella fornita direttamente dalla Also e contemporaneamente di allacciare a tal riguardo un rapporto di collaborazione con il dottor Enrico Arcelli, consulente della Also e noto come esperto nutrizionista e studioso di creatina". Sull'esistenza di una vera e propria farmacia nello spogliatorio della Juventus, Casalbore sottolinea che le testimonianza rese "dimostrano in modo chiaro e pacifico che presso i locali in uso alla Juventus era stato predisposto un deposito di farmaci contenuti in un armadio, come se si trattasse di un magazzino o come una sorta di farmacia". Il consulente del pubblico ministero ha rilevato, in verità, che 281 specialità medicinali di vario tipo e natura, quali quelle rinvenute presso la Juventus, costituiscono la normale dotazione di un ospedale di piccole dimensioni. Il magazzino era stato organizzato in modo che il numero di confezioni di ciascun farmaco presente nell'armadio non scendesse mai al di sotto di una determinata quantità, sulla base di preventive indicazioni del dott. Agricola, di modo che quando si verificava che la quantità di una specialità medicinale calasse al di sotto della giacenza minima, per essa stabilita dal responsabile del settore medico della società, il magazziniere Martini provvedeva ad effettuare l'acquisto delle confezioni di tale specialità medicinale necessarie a reintegrare la giacenza di magazzino". Conclude Casalbore che "il dottor Agricola non avrebbe potuto acquistare e detenere presso i locali in uso alla Juventus i medicinali di cui invece disponeva e, di conseguenza, egli non avrebbe potuto provvedere alla somministrazione diretta ai calciatori di tali medicinali. In ogni caso, l'eventuale somministrazione diretta effettuata non avrebbe potuto prescindere dagli obblighi di documentazione per essa previsti". "A questo proposito - continua il giudice - si perverrebbe alla paradossale e inammissibile conclusione che, proprio perché presso la Juventus si era riusciti a costituire del tutto illegittimamente un deposito di medicinali, oltretutto in locali privi di qualsiasi autorizzazione sanitaria, si sarebbe potuto procedere alla libera somministrazione di essi ai calciatori da parte dell'imputato senza alcun dovere di documentazione, come rivendicato dal difensore, mentre in capo a tutti i medici che legittimamente dispongono di medicinali perchè operano all'interno di ambienti protetti e strutture appositamente controllate ed autorizzate, incombono specifici obblighi di documentazione, quasi sempre accompagnata pure da altrettanti obblighi di documentazione che ricadono in capo agli infermieri". "Nessuna ragione pratica - sentenzia il giudice su alcuni medicinali utilizzati alla Juventus - potrebbe giustificare l'acquisto preventivo di alcuni farmaci tra i quali, ad esempio, il Neoton, il Liposom forte, il Bentelan compresse, ma anche l'Orudis ed il Mepral iniettabili per via endovenosa e altri. Pur a voler valutare gli acquisti nell'ottica della migliore comodità di gestione dei farmaci in vista di un'utilizzazione in via di urgenza per il medico sportivo, ugualmente non può trovare alcuna giustificazione la detenzione di tali medicinali acquistati e detenuti in via preventiva. Si è precisato, ad esempio, che il Liposom forte è stato ritenuto necessario solo per alcuni casi, oltretutto eccezionali, e allora perché non lo si è acquistato di volta in volta, a seconda delle accertate esigenze? Perché detenerlo nell'armadio come se si sapesse già che sarebbe servito, a dispetto della dichiarata eccezionalità dei casi in cui lo si sarebbe utilizzato? Si è sostenuto pure che un prodotto come il Bentelan è da considerare come un farmaco salvavita, ma tale caratteristica certamente non riguarda la specialità del Bentelan compresse che, in quanto tali, non possono salvare la vita a nessuno". Uno dei punti molto dibattuti nei due anni e mezzo di processo è stata l'assenza di documentazione medica e commerciale. "Si è visto - scrive Casalbore - come in atti rispetto all'acquisto dei farmaci esista solo la documentazione commerciale e contabile e per quanto riguarda la conseguente somministrazione non esista evidentemente neppure quella. La circostanza, già solo dal punto di vista logico e pratico, è parsa immediatamente sospetta e poco convincente, non tanto per sfiducia nelle pur vantate capacità di memoria del dottor Agricola, quanto perché non risponde ai principi di comune logica quello di non documentare in alcun modo, neppure informalmente, le eventuali patologie di tanti giocatori succedutisi nei cinque anni di cui si tratta, i periodi esatti in cui tali patologie si sono manifestate, le rispettive cure praticate, i medicinali somministrati e così via. Se il dottor Agricola avesse avuto un qualsiasi tipo di defaillance, ovvero avesse lasciato la società per altri incarichi, per non ipotizzare impedimenti più gravi, come si sarebbe potuta ricostruire la storia clinica dei calciatori nel periodo di loro permanenza alla Juventus?". Secondo il giudice, però, si evince dalle dichiarazioni di alcuni testi che "esisteva una sia pur informale documentazione dei trattamenti sanitari effettuati ai calciatori (...). Come mai nessuno, in ordine ad un periodo così lungo quale è quello al quale si riferisce la contestazione, ha esibito o prodotto, né nella fase delle indagini preliminari, né nel corso del processo, siffatta documentazione? Come mai si è preferito far credere, contro ogni logica, che tutto fosse affidato alle infallibili doti di memoria del dottor Agricola, e non si è ritenuto invece di poter esibire qualsiasi tipo di documentazione sanitaria esistente, ancorchè composta di soli appunti informali, annotati su varie agende dai medici della squadra? (...). Il fatto che non si sia ritenuto di dover produrre o esibire alcuna documentazione a tal riguardo, convalida il sospetto che da essa sarebbero stati tratti solo elementi a carico dell'imputato e non a suo favore". "Non essendovi alcuna ragione per ritenere che i giocatori in esame fossero affetti da particolari patologie da invocare a giustificazione delle avvenute variazioni di emoglobina, i riscontrati aumenti devono essere ricondotti e spiegati solo con la somministrazione di eritropoietina", dice ancora Casalbore nelle motivazioni, facendo riferimento al medico sociale Riccardo Agricola,: "Anche a proposito dell'eritropoietina, al pari degli altri farmaci e sostanze, vi è la prova in atti che l'imputato li ha utilizzati in modo fraudolento al fine di modificare la prestazione agonistica dei giocatori con conseguente alterazione del risultato della competizione sportiva". Nelle numerose pagine dedicate all'Epo il giudice ripercorre tutta la vicenda processuale della consulenza affidata al perito da lui nominato, Giuseppe d'Onofrio ricordando che "aveva segnalato i casi Conte e Tacchinardi in quanto ritenuti i più rilevanti e significativi, perché dalle risalite rapide e ingiustificate dei valori di emoglobina, emerge un uso che il perito ha definito acuto di eritropoietina". Al di là di questi due casi specifici il giudice osserva anche che "l'indagine del prof. D'Onofrio ha portato a riscontrare anche un uso per così dire cronico di eritropoietina". Casalbore ricorda poi le accese polemiche che hanno accompagnato la perizia D'Onofrio. "L'approccio della difesa nei riguardi del perito - scrive Casalbore- non è risultato né corretto, né soprattutto in alcun modo fondato e giustificato e tale posizione è sembrata coincidere perfettamente con quella dell'imputato Agricola che si è sempre comportato come se la sua condanna fosse già stata decisa prima del processo". Riguardo poi alla somministrazione di Epo e di altri farmaci, il giudice osserva che anche se materialmente veniva praticata non direttamente da Agricola ma da suoi collaboratori, "ciò non vuol dire che il dott. Agricola non fosse consapevole o non fosse responsabile di quanto avveniva". http://www.tgcom.mediaset.it/sport/articoli/articolo290723.shtml
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e Ravanelli era dopata! 03/06/2007 09:11 Peruzzi; Ferrara, Vierchowod, Torricelli, Pessotto; Conte (Jugovic dal 43'), Paulo Sousa (Di Livio dal 57'), Deschamps; Del Piero, Vialli, Ravanelli (Padovano dal 67'). Allenatore: Lippi. Ricordate questa formazione? È la Juventus che il 22 maggio 1996 vinse la prima e unica Champions League della sua storia (su quella dell'Heysel, meglio stendere un velo pietoso) battendo in finale a Roma, ai calci di rigore, l'Ajax di Van Gaal, Van der Sar, Davids e Litmanen. Giocatore più, giocatore meno, è lo stesso squadrone che dal '94 al '98 - nell'era del "Lippi-1" - sbaragliò il campo in Italia vincendo 3 scudetti su 4: nel 94-95 (il 23°), nel 96-97 (il 24°) e nel 97-98 (il 25°). Ebbene: per chi si fosse perso l'ultima puntata del romanzaccio brutto del Processo-Doping alla Juve retta, già allora, dai signori Moggi, Giraudo e Bettega, con il rampante Lippi in panchina, telenovela che in questi giorni ha visto scrivere, finalmente, la parola FINE, la notizia è: QUELLA JUVE ERA DOPATA. Al di là di ogni ragionevole dubbio, la Corte di Cassazione ha stabilito, nero su bianco, in data 29 maggio 2007, che la Juventus di Lippi e del dottor Agricola, la Juventus del fantastico tridente Del Piero-Vialli-Ravanelli (forse la più bella Juve degli ultimi 20 anni), attuò, dal '94 al '98, "un disegno criminoso per alterare le gare attraverso la somministrazione illecita di farmaci", in pratica dopando i giocatori sia con sostanze proibite, sia somministrando farmaci leciti su atleti sani in modo immotivato. Unico fatto non provato: la somministrazione di eritropoietina (Epo). In pratica, la Corte di Cassazione ha stabilito in via definitiva che la Juventus, nelle persone di Antonio Giraudo, amministratore delegato, e Riccardo Agricola, responsabile dello staff medico, commise in modo continuato, per 4 stagioni, il reato di frode sportiva violando la legge 401 dell' 89. Sentenza definitiva che aggrava quella del Tribunale che come ricorderete aveva condannato solo il medico Agricola assolvendo con formula dubitativa Giraudo. Per la cronaca: grazie all'avvenuta prescrizione del reato - sopraggiunta lo scorso 1 aprile 2007 - la Juve, pur colpevole, non può più essere punita. Ma c'è di più. Secondo i giudici della Corte di Cassazione, anche i giocatori (citiamo testualmente) "non possono essere considerati semplici vittime" dell'operato della società. In pratica, è difficile credere - così almeno pensano i giudici - che le pratiche-doping del dottor Agricola, così lunghe, sistematiche e pesanti, siano state portate avanti senza che i giocatori si rendessero conto di quanto stava loro accadendo. E insomma, delle due l'una: o quella Juventus era una squadra di giocatori tonti, al limite dell'insufficienza mentale, che non si accorgevano di essere vittime di spericolati e scriteriati trattamenti medici, da Peruzzi a Vialli, da Ferrara e Paulo Sousa, da Deschamps a Del Piero; oppure l'allegra combriccola dei giocatori juventini, quelli che sfilarono tremebondi in tribunale balbettando tanti "non ricordo", era complice, e consenziente, delle sconsiderate pratiche di Agricola & Company. Proprio questa, a nostro avviso, è la novità vera che i giudici della Corte di Cassazione hanno introdotto nelle loro motivazioni. A questo punto, gli sportivi italiani (e perché no?, anche i tifosi juventini) si attendono una netta, precisa e chiara presa di posizione da parte dei campioni bianconeri di allora: Vialli e Del Piero, Ravanelli e Di Livio, Ferrara e Paulo Sousa devono spiegare, appunto, se ai tempi in cui la Juventus li dopava - com'è ormai accertato e stabilito - loro sapevano ed erano consenzienti, oppure no: nel qual caso, sono stati vittime di spericolati trattamenti, cavie di immorali esperimenti, che non avevano alcuna giustificazione medica e che hanno messo a grave repentaglio la loro salute e la loro vita (a proposito: siamo proprio sicuri che tra la gratuita e sistematica somministrazione di anti-depressivi praticata alla Juve e le disavventure capitate, l'estate scorsa, a un ex giocatore, ora dirigente, non ci sia alcun nesso?). Insomma: fossimo in loro, saremmo quantomeno arrabbiati (eufemismo) con i signori Giraudo e Agricola. Il sipario che la Corte di Cassazione ha fatto calare sul vergognoso feuilletton ristabilisce, se non altro, alcune verità. La prima è che i 3 scudetti vinti dalla Juventus di Lippi tra il '94 e il '98 sono scudetti fasulli, diremmo anzi disonorevoli, di cui la Juve si dovrebbe vergognare e che dovrebbe restituire; scudetti che restano negli Albi d'Oro solo per prescrizione del reato, ma dai quali qualunque sportivo dotato di un minimo senso morale dovrebbe prendere le distanze (lo stesso dicasi, naturalmente, per la Champions League e la Coppa Intercontinentale vinte dalla Juventus nel 1996: trofei che andrebbero restituiti, con tante scuse, all'Ajax e al River Plate, e cioè ai loro legittimi vincitori morali). La seconda verità è che la Juventus che Umberto Agnelli decise di affidare chiavi in mano, nell'estate del '94, alla leggendaria Triade composta dai gentiluomini Moggi, Giraudo e Bettega, è stata per 12 anni - 12 anni lunghi e bui - la Casa degli Orrori del calcio italiano, il luogo dove venivano perpetrati, messi a punto e realizzati i più orrendi "delitti sportivi" che mente umana abbia mai concepito. Dai giocatori dopati agli arbitri telecomandati, una vergogna senza fine, una vergogna senza limiti, una vergogna che nessuna sentenza di condanna potrà mai cancellare. Coraggio! Per 12 anni ci hanno rifilato un polpettone avvelenato. Oggi che i giudici ce lo hanno messo nero su bianco, almeno non facciamo finta di niente... |
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