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Se volete avere notizie su locali, concerti e musica a Roma |
" AL DI FUORI DI ROMA NON C'E' NULLA DI BELLO NEL MONDO" Johann Joachim Winckelmann, 1756 (archeologo e filologo, nonché massimo teorico mondiale del'estetica neoclassica) "Non per guadagnar ma per amor del gioco" QUELLI CHE SIAMO * LA GIUSTA DISTANZA * NON DORMO |
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nella stagione di Serie A 2007/08... teniamo il conto!
DOVE SEGNALARE I SOPRUSI http://blog.striscialanotizia.fabbricadigitale.it/ |
A volte anche verso le 15.00. Il sabato non ci sono regole. Dopo le partite, le foto vengono inserite dopo circa due ore, salvo imprevisti. "Non sempre i ribelli possono cambiare il mondo. Ma mai il mondo potrà cambiare i ribelli" (Alain de Benoist) |
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Kaiserslautern |
Kaiserslautern |
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"Tifoso
della As Roma, Ultras della Curva Sud, semplice utente di questo calcio
industria o illuso e romantico sostenitore di un ideale e di uno stile
di vita, a te rivolgiamo queste righe per spiegare il perchè, domenica
prossima in occasione di Roma -Udinese, la Curva Sud dovrà rimanere
vuota di passione e di persone.
La morte di Gabriele Sandri sembra si stia dimenticando, superata e sepolta da un sistema deviato che salvaguarda se stesso ed i propri interessi a discapito di tutto il resto. Tutto viene e sarà stravolto, distrutto e ricostruito con l' unico obiettivo di essere strumento per i classici e soliti giochi di potere; è quello che sta accadendo, ora come sempre. In un paese dove " la legge è uguale per tutti ", ma non tutti sono uguali davanti alla legge, siamo ancora una volta spettatori di una nuova ingiustizia e, di vederci ennesimamente puntati contro i riflettori di un opinione pubblica strumentalizzata da stampa, massmedia e lobby di potere. L' Ultras va eliminato, perchè le curve sono oasi di pensiero libero e non omologato, in una società vuota di valori e lobotomizzata; sono un terreno non ancora massificato ed instradato nei soliti binari degli interessi, un terreno che non fa certo comodo a chi tutto controlla. C' erano una volta le coreografie, i colori, le bandiere e gli striscioni, ricordi di una curva che ci hanno accompagnato da sempre e che oggi con tutta questa repressione diventeranno sempre più ricordi sbiaditi. Da qui oggi nasce la nostra riflessione e presa di coscienza che ci porta a rimanere fuori, non solo dalla Curva ma anche da questo stato di cose; ed è quello che chiediamo ad ognuno di voi, di riflettere, ricordare e iniziare a comportarsi come ognuno ritiene più giusto in un momento decisamente delicato. Non ci troverete fuori i cancelli della Sud domenica, perchè a qualcuno farebbe comodo dire che la nostra prepotenza ha lasciato la curva vuota e, per non far parlare ancora chi dovrebbe una volta tanto nella vita farsi da parte, almeno ora. L' unica possibilità per salvare la propria dignità e i propri diritti, passa attraverso la scelta di ognuno di noi che siamo allo stesso tempo complici e vittime di questo circo, che lasciato solo è destinato ad estinguersi. L' appuntamento è domenica alle 14 al Circo Massimo con sciarpe e bandiere uniti nel pensiero, nella passione e negli ideali per tifare la nostra Roma........visto che di circo si parla. CHE
OGGI LO SPETTACOLO ABBIA INIZIO...
I GRUPPI DELLA SUD" |
Wuppertaler |
Wien |
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Sydney FC |
Sydney FC |
Freiburg |
Dynamo Kyiv e Roma |
Bayern Munchen |
Bayern Munchen |
Atletico Madrid |
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Linz |
Linz |
Ajax |
Sambenedettese |
Grasshoppers |
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sono dati farlocchi!
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Anzio/Civitavecchia |
Anzio/Civitavecchia |
Bulgaria/Romania |
Apoel Nicosia (Cipro) |
FC Koln (Germania) |
Ferencvaros (Ungheria) |
Scozia/Italia: un invasore |
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Manuel Coppola, ovvero come passare dalla Curva Sud al campo. Romano del Quadraro, romanista dalla nascita, il centrocampista del Genoa sabato si troverà di fronte la squadra del suo cuore. Quella che ha seguito tante volte in casa e in trasferta, fino a pochi anni fa. «Finché ho potuto sono andato allo stadio, avevo l'abbonamento in Curva Sud verso la fine degli anni '90. Purtroppo dal punto di vista delle vittorie quella Roma non mi ha regalato molte soddisfazioni. L'ultimo anno che ho avuto l'abbonamento era la Roma di Zeman, faceva divertire. E poi la Curva era uno spettacolo...». Seguivi la squadra anche in trasferta? «Quando posso ci vado ancora, l'ultima trasferta l'ho fatta un paio di anni fa, quando giocavo nella Salernitana. Era la stagione dei quattro allenatori...». Spalletti pochi giorni fa ha detto che conosce i ragazzi della curva e che da loro si può imparare molto. «Sono d'accordo con Spalletti. Mi ci ritrovo nelle sue parole. Io in curva ci sono cresciuto, insieme ai miei amici del Quadraro. Avevamo un gruppo che si chiamava "I Caparbi", eravamo sistemati nella parte della Sud che confina con la Montemario, non so se esiste ancora perché purtroppo allo stadio non posso più andarci». Li senti ancora i tuoi ex compagni di curva? «Li sento sempre e quando sono a Roma ci vediamo. Mi tengono aggiornato su quello che succede dentro lo stadio, loro ci vanno sempre». Ti è mai capitato di trovarti coinvolto in incidenti? «In trasferta qualche volta qualcosa è successo. Mai niente di grave, al massimo qualche lacrimogeno.... Però se uno vuole evita». Cosa pensi di quello che è successo dopo l'uccisione di Gabriele Sandri? «Mi dispiace molto, soprattutto perché secondo me tante cose si potevano evitare». In che modo? «Innanzitutto spiegando fin da subito quello che era successo. Invece alle 3 del pomeriggio ancora non era stata fatta chiarezza su un fatto accaduto alle 9 di mattina. La cosa che mi è dispiaciuta di più è che tutta l'attenzione dell'opinione pubblica si è concentrata sulla reazione dei tifosi e non si è dato il giusto risalto alla causa che ha scatenato tutto. E cioè che un poliziotto ha sparato ad altezza d'uomo in un autogrill». Però la reazione dei tifosi è stata violenta. «C'è modo e modo per reagire a un fatto come l'uccisione di Gabriele Sandri, e sicuramente quelli che hanno devastato gli stadi e le città hanno sbagliato, ma non bisogna perdere di vista la causa di tutto questo. E non sono gli ultrà, ma chi ha sparato e chi non ha fatto subito chiarezza sull'episodio facendo passare un'immagine sbagliata dell'accaduto». È giusto vietare le trasferte? «Assolutamente no, non è giusto penalizzare le tifoserie. E' un peccato giocare Genoa-Roma senza tifosi sugli spalti, perché oltre a noi giocatori in campo sono loro il vero spettacolo. La tifoseria genoana è una delle migliori in Italia, come modo di tifare somiglia molto a quella della Roma e a quella del Toro. Sono queste le tre tifoserie più belle...». La scorsa estate il tuo nome è stato accostato alla Roma... «Sarebbe fantastico, il massimo per me. Scendere in campo all'Olimpico e sentire l'inno della Roma...Se mi chiamassero non ci penserei nemmeno mezza volta». |
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"Hanno
chiuso la curva di Bergamo, adesso chiudiamo le altre noi!
Il lutto di Gabriele è il lutto di tutti gli ultras italiani. La pallottola che ha ucciso lui poteva colpire chiunque di noi. Siamo coscienti che viviamo uno dei periodi più importanti per il futuro di chi come noi ama il calcio, ma ama viverlo da ultras. Con le partite giocate il sabato e il lunedì, con le diffide preventive, con la repressione indiscriminata, con i divieti non motivati di andare in trasferta stanno semplicemente tentando in tutti i modi di uccidere il calcio e gli ultras. Dopo aver bloccato i tarantini senza nessun motivo ragionevole adesso hanno inserito anche la nostra curva tra quelle pericolose. Tutti i tifosi, ultras e non, non hanno il diritto di godersi una partita attesa come quella di Salerno. L'omicidio di Gabriele ha messo davanti agli occhi di tutti, in modo inequivocabile, la volontà di nascondere la verità per l'ennesima volta secondo la logica di difendere una casta intoccabile anche quando è indifendibile. Il proiettile che per ore era stato sparato prima da uno Juventino e poi in aria alla fine, solo grazie ad un testimone, si è trasformato in uno sparato ad altezza uomo. Ma il folle mondo del calcio non si poteva fermare, la logica di tutti non era quella di chi contava, le partite si dovevano giocare. Questa volta, però, hanno trovato di fronte un muro. Il lutto ed il cordoglio negli stadi li hanno portati le curve, in tanti modi diversi: con il silenzio, abbandonando lo stadio o impedendo con la forza che la partita si disputasse. Tutti modi per dimostrare che un calcio che non si ferma per un ultras ucciso è un calcio che ci fa schifo. Come spesso succede il popolo ha bisogno di alzare la voce per farsi ascoltare da chi è nei piani alti. Gli ultras del Taranto e di Bergamo hanno messo al primo posto la solidarietà tra ultras e al risultato, al passatempo domenicale, hanno preferito il rispetto per i nostri ideali che di fronte alla morte ci impongono di fermarci. Per gli ultras quelle partite erano semplicemente indisputabili, mentre in TV si sentiva parlare ancora di pronostici. Non far disputare quella partita era un modo per cercare di imporre una morale anche minima ad un calcio che oramai conosce e rispetta solo il dio denaro. Un calcio che in ogni modo dimostra di non rispettarci, come ultras, come uomini e come parte della società civile. Adesso vogliono punire in modo esemplare Taranto e Bergamo rifiutando per l'ennesima volta di tentare di capire; ma se chiudono la loro curva, chiudono anche la nostra. La frattura tra chi comanda il calcio oggi ed i giovani che fanno migliaia di chilometri andando in giro per l'Italia per i propri colori, è una frattura insanabile. Continuiamo sempre più a schifare quelli che sui loro comodi divani giudicano il nostro mondo. Schifiamo quelli che dimostrano attaccamento ai propri colori tramite un abbonamento a Sky. Quando c'è da cantare cantano gli ultras, quando c'è da stare sotto la pioggia ci sono gli ultras, quando c'è da prendere un giorno di ferie per seguire la squadra a 1000 chilometri da casa ci sono gli ultras, quando c'è da contestare una squadra, un giocatore, un sistema calcio corrotto e venduto, ci sono gli ultras, salvo poi indicarli come il male assoluto del sistema calcio stesso, realizzando l’equazione ultras=delinquente, senza distinzione, senza nessun tentativo o intenzione di cogliere le differenze. La nostra forza è credere profondamente nel nostro mondo e viverlo sette giorni su sette. Per tutti voi sui vostri divani, il calcio è un passatempo, per noi è uno stile di vita! Per questo oggi più che mai ci sentiamo un’unica famiglia, Per questo, se chiudete una curva… le altre le chiudiamo noi! E da oggi, fino al 31 marzo, quando i ragazzi della Nord di Bergamo potranno rientrare nella loro “casa”, seguiremo il nostro Leone esclusivamente in trasferta. Pertanto invitiamo tutti i ragazzi della Ovest a manifestare con noi, condividendo questa linea, questa scelta!" |
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A volte ritornano... notare il bimbo sulla sinistra |
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ha abbandonato la dimensione tribale ed è diventato religione La messa profana del "dio pallone" ROMA - L'ecumenismo: ovvero seguaci di diversi credi, ciascuno sotto le proprie insegne, protestando contro l'offesa alla comune pratica. La liturgia: ovvero la celebrazione ritualistica officiata in indumenti dalle tinte particolari, attraverso la ripetizione di formule, con il ricorso a parole come "fede", "sacrificio", "martirio" e atti significanti, il più toccante dei quali è la deposizione sul sepolcro di una stoffa sacra perché simbolica. La trascendenza: ovvero non è a uomini che questo tributo di popolo si rivolge, ma alla loro incarnazione in entità contraddistinte da termini solo apparentemente concreti: "la maglia", "i colori", "la bandiera", in realtà allusivi a qualcosa che va oltre il tempo e non ammette altro all'infuori di sé. Tre indizi fanno una prova: qui e ora il tifo calcistico ha abbandonato la dimensione tribale (cara a Desmond Morris) (della cui esistenza avrà forse saputo sul mio sito ma che non credo abbia letto, n.d.L.) per quella confessionale, da mimesi della guerra è divenuto mimesi della religione. E che poi possa produrre guerre di religione, va da sé. Tutti i sintomi erano presenti fin dall'inizio. Come alla religione, al tifo si viene educati. Si nasce in ambiente predisposto e la fede (giacché è proprio a questo termine che si fa riferimento, che si parli di cattolicesimo o della Sampdoria) non è quasi mai una scelta, ma un'attribuzione, per derivazione geografica o familiare. Nasci in Egitto: sei musulmano o, in casi limite, cristiano copto. Nasci a Bergamo: sei dell'Atalanta oppure, per eredità paterna o eresia di comodo, del Milan. L'affiliazione ha una connotazione islamica: non consente la conversione. Si può smettere di praticare il tifo, diventare agnostici e passare la domenica al cinema, ma non è lecito cambiare curva. Ogni fede alimenta una propria mitologia di riferimento che viene trasmessa ai nuovi adedpti come un nient'affatto laico catechismo: la leggenda del "Grande Torino" martire, onorata con pellegrinaggi a Superga, quella del Bologna "che tremare il mondo fa" e (guarda caso il riferimento) "gioca come solo in paradiso" (allegoria d'angeli terzini, il cherubino Furlanis e il serafino Pavinato), quella del Milan di Arrigo Sacchi, devoto alla Trinità composta da Gullit, Van Basten e Rijkard (segue dibattito per stabilire se a quel punto il destino fosse predeterminato o ancora restasse spazio per il libero arbitrio, ovvero la residua rilevanza di Colombo e Massaro). Troppo spesso scambiati per dei, i calciatori sono soltanto temporanei profeti della fede d'appartenenza. Venerati quando vestono la "maglia", i "colori, la "bandiera" possono essere lapidati (neppure troppo figurativamente) appena l'abbandonano. Il popolo non adora idoli, ma vestigia. Lo spogliatoio della squadra è il tabernacolo: sacro è qualunque cosa ne esca. Un qualsiasi Tonetto che gioca nel Lecce passa indifferente sul prato dell'Olimpico, ma diventa oggetto d'amore se lo fa vestendo l'altra maglia giallorossa. Se ne deduce l'effetto di transustanziazione che quella stoffa ha agli occhi della curva. La quale, assisa o in piedi a seconda delle modalità prescritte, celebra il rito. Officia lo speaker: legge la formazione proclamando metà del nome del giocatore e aspettando la tonante risposta dei fedeli. "Simoneeee...." "Perrottaaa!!!!!!!!" "Per i nostri fratelli che vivono nella pace eternaa...." "Ascoltaci o Signore!". Che di rito si tratti è evidente non solo ai sociologi più attenti, ma perfino al conduttore televisivo Marco Mazzocchi quando, commentando il fallimento dell'esperimento sincretico di Bonolis, che accostava sacro e profano in una messa cantata di due ore, chiosava: "Il cazzeggio va distinto dal momento liturgico della partita". E così sia. Dalla religione il calcio desume anche la tendenza dogmatica: non solo il Papa è infallibile, anche Totti dice sempre la verità, a prescindere. Come la religione genera fondamentalismi, accompagnati da distinguo di circostanza ("non bisogna confondere l'Islam con un pugno di fanatici", "il cristianesimo con un gruppo di razzisti che impugna la croce", "il tifo con pochi facinorosi armati di coltello"). Ordina sacerdoti che perdono credibilità, predicano male e peggio razzolano, si lasciano corrompere da fin troppo resistibili tentazioni. Eppure sopravvive a ogni scandalo o degenerazione (il calcio scommesse e Calciopoli, come, d'altro lato, i preti pedofili e le collaborazioni con i regimi autoritari). Entrambi si derubricano da "sogno" a "bisogno". Perdono le ali. Non si crede in quanto sfiorati dal soffio del Sovrannaturale o ad esso anelanti, ma per la necessità di avere un'identità da opporre alla complessità del mondo. Lo stesso per cui ci si schiera con la Lazio e gli Irriducibili, la Juventus e i Drughi. Che poi sia tutto fittizio e, alla lunga, fallimentare, poco conta. In quale altro ambito si sarebbe potuta invocare la "mano di Dio" a legittimare una irregolarità, ottenendo il plauso adorante dei seguaci? Perfino l'appartenenza a uno stesso schieramento politico non avrebbe esentato dal pudore, se non dalla vergogna. Il calcio no. E' convinzione assoluta, sottomissione anche a ciò che non si comprende, abbandono a un destino condiviso evocato nelle strofe di una canzone comune a tutte le tifoserie: "Che sarà sarà/dovunque ti seguirem/comunque ti sosterrem? Che sarà sarà". Ora e sempre, nei secoli dei secoli, amen. (19 novembre 2007) per sciogliere il nodo della posizione dell'agente le perizie balistiche e topografiche sull'incidente che ha portato alla morte di Gabriele Sandri, per completare il quadro dell'accaduto di domenica scorsa e capire meglio la posizione dell'agente della Polstrada, Luigi Spaccarotella, accusato prima di omicidio colposo e poi di omicidio volontario. Due testimoni affermano di averlo visto sparare a braccia tese, orizzontalmente. Lui sostiene che il colpo sia partito in modo accidentale. L'ultima parola spetta ora a Domenico Compagnini, perito balistico che in passato si è occupato della strage di Capaci e della morte di Nicola Calipari. Striscioni e insulti dal basket. "Giustizia per Gabriele" è uno striscione apparso sulle tribune del Datchforum di Assago, dove Armani Jeans Milano e Lottomatica Roma hanno giocato l'anticipo domenicale della decima giornata della serie A1. Quello che doveva essere un gesto di solidarietà si è poi trasformato in cori di insulti contro le forze dell'ordine. Tifo organizzato chiede "carta tifoso" assemblea i delegati delle associazioni dei club riuniti nella Fissc, la Federazione italiana sostenitori squadre calcio, chiede di venire ascoltata. Per prima cosa chiede un rappresentante nell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive, oltre all'istituzione di una "carta del tifoso", una carta d'identità che faciliti l'ingresso allo stadio. I tifosi veri, non quelli violenti che hanno scatenato l'inferno a Bergamo e Roma domenica scorsa, chiedono di essere ascoltati dalle istituzioni che governano il calcio, altrimenti rischiano di essere sempre loro i più penalizzati. La decisione è stata presa sabato, dopo la riunione dei delegati dei club di tifo organizzato riuniti nella Fissc, la Federazione italiana sostenitori squadre calcio. E' tempo di agire, prima di rimanere vittime dei più violenti. L'obiettivo principale che chiedono è quello di avere un proprio rappresentante nell'Osservatorio sulle manifestazioni sportive. "Del resto questo organismo ministeriale decide delle nostre sorti - afferma Francesco Lotito, presidente della Fissc - e noi non siamo mai presi in considerazione". Ma l'associazione chiede anche di abolire il divieto delle trasferte organizzate. "Solo con un'organizzazione - spiega - si riescono a controllare e a sapere come si muovono le tifoserie". L'ultima richiesta riguarda invece la "carta del tifoso", una carta d'identità che possa facilitare l'ingresso allo stadio e non solo dei tifosi. Ora tocca al mondo del calcio prendere una decisione, il momento è quello giusto. Marco osserva: "se fanno la carta del tifoso ( alla quale aderiranno solo i "tifosi veri" ) dobbiamo uscire dagli stadi, mandarli in giro per l'europa (kiev), e a napoli da soli (o per quel giorno non sono più tifosi da stadio?). devono tifare 90' i "tifosi veri" e il mercoledì devono anda' a Torino con la neve a SOSTENERE i loro beniamini e se dovranno prende 2 giorni de ferie per la trasferta e 5 de malattia per l'influenza. evviva i "tifosi veri". corso di questa settimana, la Curva Nord ha deciso di accogliere l'iniziativa di sospendere il tifo nella prossima giornata di campionato. Tra le diverse proposte presentate dalle Tifoserie presentatesi nei due incontri, quella della sospensione del tifo è risultata essere la più condivisa e la Nord auspica che anche le Tifoserie che non hanno potuto intervenire possano rispettarla. L'astensione dal tifo a livello nazionale alla ripresa dei campionati professionistici vuole esser intesa come forma di dissenso verso la criminalizzazione degli Ultras, come richiamo dei mezzi d'informazione al loro dovere deontologico e del rispetto del diritto d'informazione dei Cittadini ma soprattutto per ribadire il desiderio di aver Giustizia per Gabriele Sandri. Sabato e domenica facciamo sì che il Nostro silenzio valga più di mille parole ... |
chi comanda" "Dopo la tragedia di Arezzo si doveva bloccare tutto. Ma il tombino in curva è stato un errore" "Vi spiego il dio di noi ultrà" viaggio tra i violenti del calcio di PAOLO BERIZZI (Stavolta pare che perlomeno alla sede degli atalantini ci sia andato... Il bergamasco Berizzi è quello che creò il raduno nazista a Branau prima dei mondiali in Germania, una perla di giornalismo allo stato insuperata di cui è bene ricordare sia l'articolo che la successiva intervista n.d.L.) cosa che hai dentro, che ti sale su mano a mano che si avvicina la partita. Quando devi farti rispettare in una città che non è la tua. Oppure quando arrivano gli avversari in trasferta, ché alle dieci sei già lì, sul piazzale dello stadio. È la difesa del tuo territorio. La voglia di picchiarsi col nemico. Fargli capire che qui comandi tu. Ma - dice "Bocia", il capo, uno dei sacerdoti del nuovo rito curvaiolo - lo scontro non nasce dalla delinquenza; nasce dalla passione, dal cuore. E deve essere leale, non un'infamata. Se non sei un ultrà questa cosa non la capirai mai. Anzi, ti fa schifo. Noi invece cerchiamo di tramandarla, assieme ai nostri valori, condivisibili o no. Questa è la vita che abbiamo scelto. Così vivremo finché esisteremo". Per entrare al "Covo", come lo chiamano loro, i monoteisti del tifo, devi salire una scala di ferro arrampicata sulla parete laterale di una concessionaria di automobili. Superi una porta di vetro tappezzata di adesivi nerazzurri e ecco un muro umano, una massa compatta di ragazzi in jeans e giubbotto radunati come militari in uno stanzone arredato con murales e bandiere e sciarpe e grandi foto che raccontano la storia del tifo organizzato atalantino. Di colpo sei inghiottito da un silenzio irreale. Un silenzio rotto solo dalle parole del capo. Il "Bocia", al secolo Claudio Galimberti, 35 anni, faccia e modi da Braveheart di provincia, giardiniere, leader della Curva Nord dell'Atalanta. Al "Covo", una specie di tempio pagano, il pasdaran da stadio è indottrinato sui temi portanti della sua fede, della sua esistenza al limite. Si parla di "presenza" da fare, di orari di treni e pullman, di collette, di striscioni, di processi penali e mediatici, di droghe "buone" e droghe "non buone", di tifo organizzato, di "odiosa repressione", di "giornalisti infami". Tutti ascoltano muti. Odore denso di fumo. Operai. Universitari figli di papà. Impiegati. Insospettabili professionisti. Disoccupati e gente che sgobba 15 ore al giorno, e se c'è da seguire la squadra a Palermo, il lunedì si torna in fabbrica dopo avere attraversato l'Italia. C'è anche qualche donna, una porta capelli viola fino alle spalle. Bocia sta seduto al centro. Intorno, il direttivo: una decina di persone, i luogotenenti. Tutte le curve hanno un capo e un direttivo. Eletti senza primarie. E migliaia di soldati semplici. Divisi in sezioni ognuna con un compito da portare avanti: coreografie, scontri, organizzazione dei viaggi, rapporti (solitamente complicati) con Digos e questura. Un sistema gerarchico, chiuso a riccio, impermeabile all'esterno. "Allora, adesso sotto con la trasferta...": Bocia istruisce decine di ragazzi su come affrontare un esodo "caldo". Quando l'Atalanta gioca fuori casa i suoi ultrà vengono quasi sempre accolti in modo non esattamente ospitale; loro sanno che è così, in fondo, spesso, non chiedono di meglio. "Occhi aperti e niente cazzate", sono i consigli per l'uso. "Perché quando ti scontri devi avere la mentalità giusta. Se un avversario cade a terra non devi infierire. Devi rispettarlo. E niente coltelli né bombe. Il problema è che oggi la violenza ha raggiunto livelli altissimi. Non sai mai chi incontri. Cosa ti può capitare. Ci sono gruppi che girano con la pistola in tasca... ". Già, la pistola. E Gabriele Sandri, e l'autogrill, e il poliziotto, e la rivolta delle banlieue da stadio: parli con gli adepti del tifo e davanti ti scorrono le immagini dell'ultima domenica bestiale. Gli ultrà bergamaschi che assieme ai colleghi milanisti assaltano la polizia fuori dallo stadio (a Bergamo si giocava Atalanta-Milan); che esercitano il loro potere esecutivo imponendo lo stop alla partita. Il come si sa: sfondando con un tombino la vetrata che separa la curva dal terreno di gioco. "C'era tanta confusione. Forse il tombino è stato un errore - ammette Bocia - ma bloccare tutto era un dovere morale: e noi l'abbiamo fatto, anche se con modi discutibili. Il calcio doveva fermarsi per Sandri, come si è fermato per Raciti". È un mondo aspro e selvaggio quello degli ultrà. Per conoscerlo da dentro, per comprenderne le logiche informi, l'anarchia, le derive incendiarie, bisogna andare a vedere da vicino: non farsi impressionare dalla ruvidità di certe facce, di certe scene. E poi i toni, le abitudini cameratesche e carbonaresche che scandiscono la preparazione della "partita". Quello che a loro pare normale, a te sembra "fuori". È possibile impacchettare dentro la stessa bandiera le sassaiola contro un treno e le collette per le scuole del Ruanda? Le sprangate per strada e la raccolta fondi per la distrofia muscolare? E viaggiare per quindici ore su un treno tipo carro bestiame, presi in consegna da una teoria di poliziotti armati, scortati in mezzo a una città a bordo di pullman coi finestrini sbarrati con reti di ferro e infine, se va bene, tenuti dentro lo stadio per due ore finita la partita e rispediti a casa magari dopo aver preso una pietra in testa o una messe di manganellate? Saranno 500 o 600 qui al "Covo". Due o tre riunioni la settimana. Un mini esercito in servizio permanente sui gradoni di una curva infuocata, temuta, oltranzista, rispettata. Colpita come molte altre da una pioggia di "Daspo", il provvedimento che vieta ai supporter violenti beccati in flagrante di assistere a manifestazioni sportive per un periodo che va da 1 a 3 anni. Per gli incidenti dell'11 novembre sono arrivati sette arresti. Il presidente dell'Atalanta Ivan Ruggeri ha puntato il dito contro la curva: "Sono delinquenti che non voglio più vedere allo stadio". Il comunicato era firmato anche dai giocatori, che però tre giorni dopo, tra qualche imbarazzo, hanno tirato il freno: "Isoliamo i violenti, ma non criminalizziamo la Curva Nord che ci ha dato e ci dà tanto". "Era il minimo che potevano fare...", dice ora un po' sardonico Bocia. "Adesso comunque staremo fermi per un po', dobbiamo fare quadrato, ma la nostra mentalità non cambia". Il clima che si respira piacerebbe a Chuck Palahniuk, l'autore di Fight club e anche all'hooligan-scrittore inglese Cass Pennant, ma qui al Covo, almeno qui, non ci si prende a pugni né a calci. Semmai capita che pugni e calci si programmano o si commentano. "Oltre alla fede per la squadra, la cosa più importante per noi è il rispetto - spiega il leader della Nord - E rispetto vuol dire anche scontrarsi. Anzi, è la base". È la prima volta che un capo ultrà ci mette la faccia e riconosce che "sì, noi i casini ce li cerchiamo anche quando non ci sono. Romanisti, viola, granata, genoani: con tutte queste tifoserie vogliamo picchiarci. È così, non c'è niente da fare". Lui è uno di quelli che allo stadio non può andare. Il prossimo è il suo dodicesimo campionato da diffidato. "A fasi alterne, ovviamente". La domenica gioca a calcio: Bonate Sopra, prima categoria. E anche qui qualche guaio se lo tira addosso. Come il 9 settembre scorso a Cologno Monzese. Un centinaio di ultrà dell'Inter gli preparano un agguato. Sono lì per vendicare un assalto al loro treno diretto a Bergamo, campionato 2006-2007. Contro il pullman del Bonate partono sassi e bottiglie. A bordo ci sono anche donne e bambini. Ma soprattutto c'è lui, Galimberti. "Il nostro mondo è fatto anche di queste cose. Certe volte dimostri la tua superiorità cantando più forte degli altri. O presentandoti in gran numero in una trasferta. Se facciamo mille chilometri e andiamo a Napoli in 500 magari ci tirano addosso le bombe carta, però come nemici sanno che siamo rispettati". La curva atalantina un tempo era "rossa". Negli anni '80 è stata filoleghista. Oggi è rigorosamente "apolitica". Seimila ultrà. Mille lo zoccolo duro, quello che c'è ovunque e comunque. Che vive per la squadra, per il tifo. Come Danilo, 41 anni, operaio. Uno dei colonnelli. "La "mentalità ultras" sta scomparendo - dice - Ci sono curve che hanno fatto la storia di questo movimento che non hanno più codici di comportamento. Si sono sputtanate per gli affari commerciali, si sparano per un pugno di biglietti omaggio, mandano avanti i ragazzini coi coltelli. Questo è vergognoso". I seguaci della Dea (la dea Atalanta), come amano definirsi, hanno pochi rapporti di amicizia (Ternana, Cosenza, Eintracht Francoforte, Cavese) e moltissime rivalità. Praticamente con tutte le tifoserie. Il momento sociale per eccellenza è la Festa della Dea, l'omaggio al "totem" Atalanta. "Ogni estate facciamo 10 mila persone a sera. Vengono i giocatori, quelli di oggi e quelli di ieri. Si beve birra, si canta in piedi sui tavoli", spiega Daniele Belotti, 39 anni di cui 33 in curva, consigliere comunale e regionale leghista ("ma la politica non c'entra"). Ha scritto un libro, Belotti, "Atalanta folle amore nostro", che ripercorre 35 anni di tifo. "La Nord un tempo era considerata un covo di violenti e emarginati. Oggi coinvolge nelle sue iniziative decine di migliaia di bergamaschi. Gente che prima ci guardava con distacco e un certo timore". "Bocia" Galimberti ascolta, annuisce, si tormenta la barba. Poi stappa una birra. Dice che in testa ha un pensiero fisso: i napoletani. "Se il Viminale non vieta la trasferta, li aspetto a Bergamo. Noi da loro andremo, sicuro, sempre che lo Stato ce lo permetta". Lui non potrà esserci, ma saprà tutto dal primo all'ultimo minuto. Perché la curva ha tante radio. Che messe assieme formano una specie di grande ugola indisciplinata. Bocia si alza in piedi, porge la Ceres a Daniele e, scandendo il ritmo con le mani aperte a tamburo, lancia un coro che fa rimbombare il Covo: "A-ta-lan-ta olè... ". Subito dopo, a mo' di litania liturgica, parte un fragoroso "Bergamo, Bergamo...". Una città da difendere, cento città dove "farsi rispettare". |
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La
via morbida alla lotta alla violenza: il dialogo con il polso fermo. Esiste
un'altra strada per fermare i teppisti da stadio. E Francesco Tagliente, questore di Firenze, si è portato avanti con il lavoro: aprendo un dialogo con la tifoseria della Fiorentina, scegliendo il confronto, ottenendo risultati. Gli ultrà viola, un tempo considerati a rischio, adesso sono premiati dall'Osservatorio perché, scrivono dal Viminale, «hanno mostrato una nuova propensione al dialogo con le istituzioni e mantenuto, ormai da mesi, un comportamento corretto». L'idea funziona. Anche perché Tagliente, poco meno di un anno fa, era il presidente dell'Osservatorio. E sa come si fa. Lo spiega a margine di un convegno tenuto a Castellaneta, in provincia di Taranto. Tagliente, allora si può dialogare con gli ultrà? «Dialogare è necessario. E' la seconda fase della lotta alla violenza: le norme, finora, hanno ridotto gli incidenti dentro gli stadi, ma ancora non all'esterno. Perché c'è ancora animosità, ma il percorso è giusto: va completato con interventi che separino i tifosi da chi non ha nulla da spartire con la passione sportiva». Serve la seconda fase, allora? «Serve proseguire con la prevenzione e contrasto, ma senza trascurare i buoni esempi. E' il momento di premio e castigo, bastone e carota. E' il percorso dell'Osservatorio ». Qual è la ricetta del dialogo? «E' quella che ho detto ai tifosi della Fiorentina: nessuna mediazione sugli aspetti penali. Infatti uno dei primi atti quando ho iniziato a fare il questore a Firenze è stato l'arresto di tifosi protagonisti di incidenti con l'accusa, nuova ma pertinente, di associazione per delinquere. Questo è il bastone. Poi c'è la carota, ugualmente utile: così ho incontrato i rappresentanti della tifoseria, ho capito le loro esigenze e manifestato le mie». E' davvero così facile? «Trovare una condivisione è un lavoro complesso, ma possibile. Non è una mediazione, ma un percorso comune rispettando le leggi. Aggiungete, poi, che Firenze è una realtà felice: si possono anche fare i briefing con i tifosi prima di una gara a rischio». Ma come si garantisce la sicurezza all'interno dello stadio? «Con gli steward dentro all'impianto, con i tifosi stessi che si autoregolamentano. La polizia, quando la Fiorentina gioca in casa, è fuori. L'impegno è di tutti: della società, del sindaco Domenici e dell'assessore Giani che hanno garantito le opere strutturali, dei tifosi che sono protagonisti dell'evento e dei miei funzionari che hanno l'intelligenza per interpretare le esigenze di chi va allo stadio. La prova più difficile è stata quando sono arrivati 1.000 napoletani per Fiorentina- Napoli (l'Osservatorio aveva vietato la trasferta ai campani, ndr), sistemandosi fianco a fianco con i tifosi viola: tutto è andato benissimo ». Tifosi mescolati, senza tensioni: è possibile? «E' il calcio a cui bisogna arrivare. A cui si può arrivare ». Fonte: La Gazzetta dello Sport
Ippia, 490 A.C. |
autovelox, i semafori “ truccati “, il fermo del Capo della Squadra Mobile di Gorizia per collusione con ambienti legati allo spaccio di stupefacenti, polizia dittatoriale e fascista all’epoca dei noti fatti del G8 di Genova con conseguente rinvio a giudizio dei funzionari preposti, le “mazzette” alla Stradale erogate degli autotrasportatori vessati da questa “organizzazione parastatale“… e ciliegina sulla torta, come se non bastasse, l’agente della polstrada che in un momento di “ordinaria follia” uccide un tifoso laziale sull’area di servizio di Badia al Pino nei pressi di Arezzo. Gli italiani non aspettavano altro (beh, non è che non aspettavano altro: sono giustamente allibiti! n.d.L.). L’episodio ha funzionato come un innesco detonante. “Eroici cittadini“ che si sono arrogati il diritto di manifestare, bruciando cassonetti, incendiando autovetture, assaltare impunemente i simboli dello Stato, e caricare le forze dell’ordine. Mio Dio, in che mani siamo! Il fondo viene ormai inesorabilmente toccato quando la quasi totalità della popolazione giustifica, il tutto, con l’uccisione del povero tifoso laziale. Non è giusto! Ho l’impressione che l’Agente della Polstrada sia stato solo un capro espiatorio il cui sacrificio (il cui sacrificio??? E' accusato di omicidio volontario!) ha impunemente ed in un certo qual modo autorizzato, il popolo nefasto, ad una simile rivolta. Facciamo, come al solito, e come ci giunge più facile, ormai far cadere la colpa di tutto, sulle Istituzioni. Il Questore di Arezzo arrancava in malo modo alle domande dei giornalisti (veramente non erano state consentite domande). In tempestivo ausilio del succitato, interveniva alacremente il responsabile dell’Ufficio Relazioni con il Pubblico della Polizia di Stato che, in un misero tentativo disperato, di salvare il di lui diretto superiore, alias il Questore, minacciava agli stessi di non profferire altre parole (veramente è stata la prima cosa che ha detto appena si è aperta la conferenza stampa: i giornalisti non hanno potuto fare alcuna domanda). Che indecenza! La Polizia è di tutti, direi. Il Procuratore Capo della Repubblica di Arezzo è lapidario: la Colpa è dell’Agente che ha sparato, potrebbe cambiare l’accusa, da omicidio colposo a volontario. Una profezia che sa già di condanna. E’ vero, non entro nel merito, ma ci è scappato il morto. Una strage annunciata, titolavano alcune testate. Ho la strana sensazione, però, che qualcosa non torna. La Polizia scientifica dice che il proiettile è compatibile con quello dell’arma dell’Agente che ha sparato. Cosa significa compatibile? E' il suo, o non è il suo? Ci si nasconde sempre e più spesso dietro un linguaggio tecnico, forense, scientifico ma paradossalmente asettico, utile forse a nascondere e a stemperare gli animi e forse la verità? (immagino che per Casamassima il ragazzo si sia suicidato, come recita Gigi Proietti nel testo di "Nun je dà retta Roma pubblicato ieri). Lasciamo che le indagini e la stessa magistratura, senza commentare oltre, facciano il loro corso, perché a far pagare gli errori commessi, dall’una o dalla altra parte, la Giustizia vera e propria, ovvero quella Divina ha già provveduto (Non vorrei equivocare, ma Casamassima spiegasse il senso di questa frase: la Giustizia Divina ha già provveduto? Intende dire che è eticamente giusto che Gabriele sia stato ucciso?). Mi domando solamente che se fosse stato ucciso un rappresentante delle forze di Polizia, nella migliore delle Ipotesi, le Istituzioni avrebbero consegnato alla famiglia una medaglia al valore e forse, annessi funerali di Stato con una bara e con un cappello. Ricordiamoci anche che la differenza tra un eroe ed un omicida è sottile quanto il profilo di un asciugamano e l’ingrato compito di giudicare lo lasceremo agli organi preposti, nel più assoluto silenzio e rispetto per chi ora, non c’è più (leggete bene: per Casamassima il poliziotto è un potenziale eroe per aver ucciso Gabriele. Dire che sono senza parole è poco). Eus Casamassima Perito Legale c/o Procura di Melfi (Pz) Chi vuole avere chiarimenti su questa intervista potrà consultare il sito www.tiropratico.com. |
Passando
ad altro, ecco come risponde l'A.S. Roma riguardo alla rivista "La Roma"
che non arriva: "Caro abbonato, come da
contratto da lei firmato il primo numero che riceverà è quello
di ottobre e non settembre che purtroppo è un numero "scoperto"
cioè non appartiene ne al vecchio ne la nuovo abbonamento. Colgo
l'occasione per dirle che la rivista di ottobre arriverà in ritardo
dato che non ci sono state consegnate ancora le liste degli abbonati allo
stadio".
Un
ragazzo è stato ucciso dalla polizia. "Adesso siate coraggiosi"!
Lettera
aperta della redazione di Contropiano
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"Ciao
Lorenzo, ho letto molti interventi in questi giorni e non ti nascondo un
forte senso di disagio.
Mi sembra che si stia affermando una nuova corrente di pensiero: l'ipocrisia ultras (che ovviamente, e per fortuna, non è propria di tutti quelli che di quel mondo fanno parte). I fatti, nel rapporto causa/effetto, sono abbastanza chiari. Da una parte c'è la causa, il comportamento di alcuni ultras, dall'altra c'è l'effetto, la risposta, più o meno sgangherata, dello Stato. Se non si parte da questo, si fa un grossolano errore e non si aiutano molti ragazzi che oggi frequentano questo mondo. Sappiamo tutti che se oggi non ci fosse la polizia, nei dintorni degli stadi ci sarebbero, in un numero rilevante di casi, scontri assai cruenti. Facciamo alcuni esempi, limitati alla nostra realtà "romana". Cosa sarebbe accaduto nell'ultimo Napoli-Roma di Coppa Italia se non ci fosse stata la polizia a dividere i due gruppi? O negli ultimi derby, dove sappiamo tutti (ci sono anche foto eloquenti) che qualcuno si è presentato armato di tutto punto (leggasi armi da taglio)? O vogliamo parlare di quei tifosi della Lazio che qualche anno fa sono arrivati a Milano, in occasione di un Milan-Lazio, e si sono fatti beccare perché erano andati ad "armarsi" da un ferramenta? O del famoso Brescia-Roma? Di esempi ne possiamo fare tanti, lo sappiamo bene, andando a pescare anche in altre realtà territoriali (derby di Genova, Brescia/Bergamo, Viola/Gobbi, ecc). Cerchiamo di non essere ipocriti e di non capovolgere i termini del problema. Tra l'altro, c'è un aggravante pesantissima. In alcune tifoserie, compresa la nostra purtroppo, ci sono dei soggetti che aggrediscono tifosi avversari non ultras, che isolati se ne vanno allo stadio (studenti universitari fuori sede, padre e figlio che si fanno la gita a Roma, tifosi di squadre di champions che hanno comprato il pacchetto "vacanze romane", ecc). E' lo sport della coltellata al gluteo, che ha molti più fans di quanto non si creda (quante a volte abbiamo, tra il serio e il faceto, sentito commenti beceri del tipo ".....così capiscono che a Roma non si viene a fare la gita"). Il tutto condito da un richiamo frequente a valori propri del sistema carcerario e non di quello sportivo, quali l'elogio spasmodico dell'omertà e la divisione del mondo in guardie e ladri. A fronte di questo, c'è inevitabile, la risposta dello Stato. Una risposta sgangherata ma inevitabile, legata logicamente ai dati di fatto sopra esposti. E la risposta, sarà via via sempre più repressiva. Ce lo dice la storia del nostro paese. La storia, ad esempio, della lotta ai movimenti politici di estrema destra e di estrema sinistra, che è partita sommessamente, lasciando spazio a scontri tra le opposte fazioni e agguati spesso mortali, ma poi si è affermata con una durezza pazzesca, in alcuni casi con la logica del "chi coglio coglio", andando a colpire anche ragazzi che c'entravano davvero poco e che magari si sono fatti mesi di galera solo perché hanno ospitato per una notte persone che erano ricercate. Possiamo criticare quanto ci pare questo tipo di risposta, ma è così. Quando ci sono movimenti che coinvolgono migliaia di persone è molto difficile distinguere, graduare le responsabilità e capare, nel cesto, le mele più marce. Ed è inutile, dal punto di vista dei ragazzi, proporre approcci sociologici o di studio del fenomeno (lo scontatissimo "la violenza c'è sempre stata" o l'altrettanto scontato e banale "la violenza è nella società"). Quando ci sono fatti che portano lo stato ad alzare il livello della risposta (e tra questi ci metto anche la crescita di uso di armi da taglio), lo stesso Stato si sente in guerra e "non fa più prigionieri". Questo è, ci piaccia o no. I ragazzi devono capire che la via della violenza non li porta da nessuna parte. Che finché ci saranno gruppi che vanno in trasferta come in guerra (mi hanno impressionato, al riguardo, le facce degli atalantini stipati sugli autobus che ho avuto modo di incrociare prima dell'agguato sull'olimpica), non ci sarà via di scampo. Che il ribellismo esercitato così, se non si torna indietro, li porterà su una strada pericolosa. Che più ci sarà gente che si darà appuntamento fuori dallo stadio per darsele di santa ragione, più salirà il livello della risposta repressiva. Questo lo devono capire anche e soprattutto coloro che non sono interessati alla logica dello scontro ma solo a quella del sostegno alla squadra. Se non si fermano i primi, anche per i secondi la vita sarà sempre più dura. E' venuto, anche per il mondo ultras, il tempo delle scelte e dell'uso del cervello. Se si continua così, si darà lavoro a qualche avvocato, si produrrà materiale utile per qualche sociologo, o per qualche giornalista, ma la strada sara segnata. Grazie per lo spazio. Con la Roma sempre e ovunque. Valerio |
Piccola
premessa: se si guarda agli aspetti più strettamente criminali del
comportamento degli ultras, allora il tuo discorso ha un senso.
Ma le analisi compiute in questi giorni riguardavano il rapporto ultras/forze dell'ordine sotto un profilo ben diverso da quello che sottolinei tu. Se però vogliamo prendere in esame quanto, con ottimi argomenti, intendi evidenziare con la tua e-mail, allora posso risponderti che l'analisi è sostanzialmente corretta, ma - a mio modo di vedere - ha una base di partenza incerta, là dove si indica la causa e l'effetto. Il comportamento di alcuni ultras è senz'altro la causa della risposta dello Stato, ma l'estremizzazione di questo comportamento ha a sua volta una causa. Per andare alla radice del problema, dovremmo a questo punto andare alla stessa nascita del movimento ultras, quando le curve erano ancora mischiate ed il tifo era embrionale. Allora la polizia sostanzialmente non c'era, avendo fatto il suo ingresso solo quando le tifoserie hanno iniziato - chissà chi ha cominciato! - ad affrontarsi fisicamente e non solo sotto l'aspetto corale. Per più di venti anni lo Stato ha gestito gli ultras - assai più violenti allora che oggi e con coltelli utilizzatissimi anche allora - con le leggi ordinarie. Il problema non lo risolse allora, ma non lo ha risolto neanche oggi, con quasi venti anni di leggi speciali. Il fatto è che questi quasi venti anni di leggi speciali hanno portato all'odio ultras/polizia e viceversa, prima sconosciuto. Certo, è facile dire: se non ci fossero coltelli e violenza non ci sarebbero leggi speciali. Però - sarà pure banale - ci sono fuori dagli stadi così come ci sono fuori le discoteche o nelle periferie di Londra. Contesto il mantenimento dell'ordine pubblico a suon di leggi speciali, perché sono sufficienti quelle ordinarie e non mi rassegno a pensare che "sarà sempre peggio", perché invece voglio sperare in qualcosa di meglio. Anche le tifoserie possono cambiare, ma debbono essere aiutate a farlo. Il clima che si respira negli stadi oggi non aiuta di certo, ma anzi ostacola un percorso di "normalizzazione". Come ben diceva un ragazzo qualche e-mail fa, la strada corretta dovrebbe essere quella dell'incanalare correttamente l'aggressività, e il vietare coreografie e striscioni va proprio nel senso contrario, così come lo è l'imporre a una curva che vuol tifare in peidi di stare seduta al proprio seggiolino numerato. Ma se anche vogliamo ammettere che la causa è soltanto il comportamento di alcune frange ultras, non è forse legittimo pretendere che lo Stato ponga in essere provvedimenti corretti salvaguardando il tifo popolare senza fare tabula rasa delle curve? La sgangheratezza dell'intervento dello Stato non può essere totale e io non posso pretendere da chi si pone contro la legge quello che invece lo Stato dovrebbe garantire. Ciò che si propone, almeno da parte del sottoscritto, è un modo diverso di affrontare il problema, e a questo punto l'analisi sociologica diventa indispensabile per capire. Non ci si può e non ci si deve rassegnare al 'ndo cojo cojo se ci sono altre strade da poter seguire. Qui non si sta facendo un pianto greco. Si sta solo dicendo che le strade percorse dal/dai governo/i si sono dimostrate inutili e che forse sarebbe il caso di ascoltare chi ne sa più di Amati ministri e briatorine su queste tematiche proprio al fine di contrastare il fenomeno e fermo restando che, piaccia o non piaccia, un minimo di violenza ci sarà sempre perché - sarà pure scontato ma è vero - la violenza fa parte della Società ;-). Del resto, per restare sul tema di questi giorni, fermo restando che i pugni non si debbono dare, potrò ben dire allo Stato che forse non è il caso di spararmi in faccia se, sbagliando, do' un pugno a qualcuno? Potrò ben dirgli che le disposizioni dell'Osservatorio sono un'emerita stronzata che mi fanno innervosire non poco e guardare in cagnesco chi è chiamato a farle applicare? Per il mantenimento dell'ordine pubblico, la presenza della Polizia fuori dagli stadi è indispensabile, lo capisco benissimo. Ciò di cui si stava parlando non riguarda tanto gli espisodi criminali che avvengono fuori gli stadi, ma i piccoli episodi che domenica dopo domenica portano le tifoserie che si sbattono per organizzare il tifo ad odiare le forze dell'ordine e una buona parte di coloro che vanno in curva pur senza essere ultras radicali a non trovarle per nulla simpatiche, perlomeno allo stadio. E' solo incidendo su questo aspetto che si potrà stemperare la tensione: non è un caso che negli anni '80 questa avversione verso la divisa non vi fosse. In conclusione, non sono così ingenuo da non sapere che quanto accade fuori gli stadi - peraltro in misura assai minore rispetto al passato - comporti la necessaria risposta dello Stato ma continuo a ritenere che la repressione generalizzata porta solo altra violenza e che ben si possa dare spazio ad una prevenzione concepita in modo diverso e che più volte ho suggerito dalle "colonne" di questo sito. |
Che t'hanno coionato Sto morto a pennolone È morto suicidato Se invece poi te dicheno Che un morto sé ammazzato Allora è segno certo Che l'hanno assassinato Voio canta così fior de grano Che fai nun me risponni Me canti no stornello Lo vedi chi è er padron Insorgi via er cortello Voio canta così fiorin fiorello Annamo daje Roma Chi se fa pecorone Er lupo se lo magna Abbasta uno scossone Voio canta (vabbè) fior de Limone eh ehhhe ehh E' inutile che provochi A me nun me ce freghi La gatta fresciolosa Fece li figli cechi Sei troppo sbaraglione Co te nun me ce metto Io batto n'artra strada Io ciò pazienza aspetto Voio canta così fior de rughetto Da Repubblica.it: In occasione dello stop per la morte di Gabriele Sandri e gli incidenti di domenica scorsa La storica trasmissione Rai ha seguito i campionati minori "in cerca delle partite di una volta" La radio scopre lo sport dei dilettanti "Tutto il calcio" in diretta dalla serie D A Trento e a Caserta striscioni degli Ultras A Pomigliano slogan e insulti contro la polizia ROMA - Dal famoso urlo "clamoroso al Cibali", al provocatorio "clamoroso a Figline". La storica trasmissione radiofonica "Tutto il calcio minuto per minuto" ha deciso di celebrare oggi lo stop ai campionati imposto dalla Figc dopo la morte di Gabriele Sandri e la passata domenica di violenza seguendo la serie D. Una scelta, spiega Riccardo Cucchi, una delle voci più apprezzate in radiocronaca e caporedattore della redazione sportiva del Gr, "fatta con la speranza di poter vedere se esiste un calcio migliore". "Vogliamo vedere - dice ancora Cucchi - se si riesce, magari andando nei campi di periferia dal Nord al Sud d'Italia, a trovare il calcio di una volta, quando la gente andava allo stadio soltanto per divertirsi e dove magari non ci sono tutti i riflessi negativi di oggi diamo un po' di spazio al calcio dei dilettanti per vedere se si può pensare, ripartendo da lì, ad un calcio diverso; per aprire una finestra su realtà che spesso sono ignorate dai grandi mezzi di informazione, dove non arrivano gli ingaggi milionari, dove non ci sono dirette televisive, dove la gente va allo stadio per divertirsi con la famiglia, con i bambini, senza grandi spiegamenti di polizia". In realtà anche il cosiddetto "calcio minore" ha spesso dato prova di essere malato tanto quanto quello professionistico. Non a caso una delle ultime vittime, prima di Gabriele Sandri e dell'ispettore di polizia Filippo Raciti, è stata Ermanno Licursi, 40 anni, dirigente della Sammartinese, squadra di terza categoria, morto in seguito a una rissa tra tifosi. Cucchi resta convinto però che la diretta dal campionato di Eccellenza possa essere un segnale positivo. "Tra l'altro - continua - abbiamo messo in trasmissione anche uno dei campi più pericolosi della serie D, quello del Cosenza Turris, la cui tifoseria è stata punita dall'Osservatorio e non può andare in trasferta: non volevamo dare l'impressione di proporre solo l'immagine del calcio 'buono'. Qualche problema esiste anche in serie D, visto che a Cosenza ci sono più poliziotti che altrove. Oltre a guardare la partita chiediamo ai nostri colleghi di raccontare l'atmosfera sugli spalti di questi incontri 'campanile contro campanile'. Tra le partite che abbiamo scelto c'è anche il derby, divertente, tra Figline Valdarno e Armando Picchi Livorno, un derby tutto toscano. Le radiocronache sono intervallate da interventi di ospiti con cui riflettere sul calcio che vorremmo un po' tutti, diverso da questo". E consapevoli di essere sotto i riflettori della stampa nazionale grazie allo stop delle serie maggiori, i tifosi della D hanno colto l'occasione per farsi notare. "La pena di morte esiste solo per gli ultras", recitava un grande striscione comparso oggi a Trento durante la partita contro il Voghera. Un solo striscione con la scritta "Giustizia per Gabriele" è apparso oggi allo stadio "Pinto" di Caserta, in occasione della partita Casertana-Paternò, del girone I della serie D. A Pomigliano, invece, dove si è disputata la sfida tra squadra locale e il Barletta, dagli spalti sono stati urlati ripetutamente slogan e insulti contro la polizia. (18 novembre 2007) |
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Parto da qui. I presidenti del calcio si riuniscono in un albergone di Roma e ne escono dopo alcune ore felici per essersi accordati su una mossa straordinaria: «Fuori i teppisti delle curve». Ah sì? Perchè prima c’era qualcuno che diceva: dentro i teppisti nelle curve? I teppisti, se delinquono e vengono condannati, non dovrebbero stare solo fuori dalle curve, ma in galera. Altrimenti, di cosa parliamo? L’altra sera a Matrix Enrico Mentana ha riempito di lodi il presidente dell’Atalanta Ruggeri, capofila di questa rivolta. Ma qualcuno sa spiegarmi in cosa consiste concretamente? Già oggi non serve un processo, ma è sufficiente un provvedimento del questore per tenere lontano dagli stadi fino a 5 anni chi è ritenuto pericoloso per il suo comportamento. Si chiama Daspo ed esiste dal 1989: ma non mi pare che abbia prodotto grandi risultati. Eppure con i biglietti nominali e i tornelli agli ingressi degli stadi, chi è sottoposto a un Daspo non entra. Come si pensa invece di impedire l’ingresso agli altri? E con quali criteri? Chi ha i capelli corti, il giubbotto jeans? O chi fa il dj? «Fuori i teppisti» è un bello slogan ma non vuol dire nulla, serve solo a lavare la cattiva coscienza di chi fino ad oggi se ne è fregato di chi frequentava gli stadi: guardava soltanto gli incassi, meglio se della tv. Quando morì Raciti e venne approvato il decreto Amato-Melandri, esultammo perché il presidente della commissione cultura della Camera era riuscito a far approvare un articoletto che obbliga le società di calcio a far entrare gratis i bambini sotto i 14 anni ad almeno la metà delle manifestazioni sportive. Ricordo la reazione di Matarrese e di quasi tutti i presidenti: ecchissenefrega!. tanto non ci sono sanzioni se non lo facciamo quindi amen. Ieri in quell’albergone erano tutti a riempirsi la bocca dei bambini allo stadio... Mi verrebbe da dirgli; ma portateci i vostri di bambini in questi stadi orrendi e malfrequentati. Ma non lo faccio, cerco di dare un senso a queste cose. Per esempio all’Osservatorio del Viminale. Ieri si sono riuniti e come previsto hanno vietato le trasferte a una quindicina di tifoserie. E’ un bel titolo: i violenti a casa. Ma è fasullo. Lo sanno tutti che si tratta di una misura inefficace. A Inter-Napoli, c’erano migliaia di napoletani sparsi nei vari settori di San Siro nonostante il divieto (abitano a Milano, come fermarli? Con l’accento? Mi spiace, signore, lei parla la lingua di De Filippo, accà nisciuno è fesso, sciò... E senza un settore protetto in tribuna c’è stata una caccia all’uomo...). E così a Udinese-Torino, la foto dei granata con le bandiere sugli spalti è lì a dimostrarlo. Ripeto. A che serve vietare le trasferte? E perché anche alla Roma? Non lo chiedo perché ci chiamiamo Il Romanista, ma per capire. I romanisti quest’anno ne hanno fatte nove, non si è registrato un graffio grazie al cielo, neppure quando a Milano abbiamo vinto la Supercoppa, anzi quelle immagini di festa, con i tifosi che cantano "Grazie Roma" sugli spalti nerazzurri, sono una delle poche cose belle di questo calcio. Ora è vietato. E sapete perché? Perchè l’Osservatorio ci mette in conto gli incidenti di domenica sera all’Olimpico. Domanda: erano romanisti quei duecento ragazzi incappucciati che hanno assalito i commissariati? Io non lo so ma la Digos sì, sono loro gli esperti di ultras cattivi e in un rapporto stilato sui fatti dicono di no: erano estremisti politici. Lo dice la Digos. Ma con chi possiamo protestare? Chi ci ascolterebbe in questo momento? Nessuno. I tifosi in questo momento sono tutti brutti sporchi e cattivi: la vetrata rotta dello stadio di Bergamo (pessima scena), diventa più grave del fatto che la Federcalcio avesse deciso di far giocare il campionato nonostante un tifoso morto ammazzato «perchè non era una morte di calcio» (ma se non era «una morte di calcio» perché Abete poi ha portato sulla bara del ragazzo la maglia dell’Italia con gli autografi e domani giochiamo col lutto al braccio?). Se potessi vorrei chiedere anche perchè domenica sera nessuno protesse la zona dell’Olimpico. Quella domenica alle 5 del pomeriggio un altissimo dirigente del Coni mi disse: «Tra due ore vengono qui e sfasciano tutto». Non era una previsione a casaccio. Lo sapeva lui, lo sapeva la polizia, e lo sapeva il ministro dell’Interno. Perché lasciare campo libero? In fondo erano duecento e non ventimila, ed erano armati di bastoni non di bazooka. Il ministro Amato martedì ha spiegato: «Abbiamo voluto evitare una mattanza». Può essere giusto. E allora perché mercoledì mattina, prima dei funerali di Sandri, ha avvertito che al primo incidente la polizia non sarebbe rimasta a guardare? Quel giorno non voleva più evitarla «una mattanza»? E c’è un modo di far rispettare l’ordine pubblico in Italia senza farla «una mattanza»? Io spero di sì, credo di sì. Certo però, l’effetto di quella domenica sera è stato che il lunedì mattina per tutti i giornali la notizia non era il tifoso ammazzato da un colpo di pistola di un poliziotto, ma i soliti ultras. E ancora oggi si parla delle misure contro gli ultras, non di capire cosa spinge un poliziotto a sparare ad altezza uomo in autostrada. Ma se non si scioglie questo mistero è tutto inutile. E se qualcuno non spiega perché quel poliziotto non è in galera è difficile poi dire alla gente che la giustizia è uguale per tutti. Ieri il procuratore capo di Arezzo ha detto che non esistono le esigenze cautelari per tenere in carcere Luigi Spaccarotella. Ah sì? Non vi sembra pericoloso uno che in mezzo all’autostrada spara senza sapere a chi e perché? Io almeno una perizia psichiatrica la pretenderei, prima di mandarlo in giro. Mi sembra una esigenza cautelare grande come una casa. Se avessi sparato io, pensate che sarei qui a scrivervi? Poi c’è l’altra faccia di questa storia. Davanti al giudice delle indagini preliminari di Milano sfilano i protagonisti del corteo davanti alla sede della Rai. Ce n’è uno cattivo vero: ha solo 18 e già un lungo curriculum di scontri. Un Daspo. Il pubblico ministero di turno, una giovane neolaureata pagata a cottimo, non ha però sottomano il nuovo codice penale con la norma che gli consente di chiedere di tenere in galera chi, con un Daspo, crea disordini. E ne chiede la scarcerazione. Accordata. Quel ragazzo è libero. Cerco di dare un senso a queste cose, ma queste cose un senso non ce l’hanno. O forse sì. Ieri notavo che l’Italia degli ultras terroristi (manco fossero Bin Laden...) dieci giorni fa sembrava in mano ai rom e ai romeni. Se non si spianavano tutte le baraccopoli non si andava da nessuna parte. Ora nessuno ne parla più. Eppure sono ancora qui... Ricordo il decreto sulle espulsioni approvato in un baleno dopo la tragica morte di Giovanna Reggiani. Sapete quante ne hanno fatte da allora? Quattro. |
Debbo
dare atto che Luna, a volte, prende delle posizioni che contrastano le
pulsioni dominanti nella maggior parte dei giornali.
Quindi,
se Luna evidenzia - a ragione - i meccanismi demagogici in atto da parte
dei vari settori dello Stato, la cui voce sono "i cani da guardia della
democrazia" e cioè i giornali, il medesimo si ferma di fronte a
quello che invece dovrebbe essere considerato il punto clou
e cioè, per dirla con il titolo di un noto libro di Sergio Cotta
che lessi con grande interesse durante gli studi giovanili: "Perché
la violenza?"
Non
vorrei andare troppo oltre (immagino le superficiali critiche: "un teppista
è un teppista e basta"), ma Sorel, nelle Réflexions commentate
da Cotta, distingue con chiaro rigore il campo della forza da quello della
violenza, copovolgendo l’aspetto valutativo a tutto vantaggio della violenza.
Egli delinea il campo con una netta distinzione terminologica partendo
dall’evidenza nello studio dello sciopero politico: “i temini forza
e violenza vengono adoperati allo stesso modo sia per le azioni delle autorità
che per quelle dei rivoltosi. È chiaro che i due casi danno luogo
a conseguenze ben diverse”.
L'analisi da fare, quindi, è se l'ordine dato è corretto e se proviene da chi l'autorità morale di darlo: pena un'analisi monca, l' "esegeta" non si può soffermare solo solo sull'aspetto terminale di tutto questo, e cioè il semplice e finale atto di violenza. Se
guardiamo a quanto accaduto domenica, e con particolare riferimento all'odio
(ragionato) tifoserie ultras/forze dell'ordine - forze dell'ordine/tifoserie
ultras (il caso di violenza tra tifoserie è tutt'altro paio di maniche),
nel caso dei tifosi di calcio, gli ordini vengono dati dalla legge dello
Stato, attuata - anche - per il tramite dell'Osservatorio Nazionale sulle
Manifestazioni Sportive, di Prefetti e Questori.
Questo
per dire che bisognerebbe avere il coraggio di andare più a fondo,
quindi, e non fermarsi alla parte terminale del tutto, vale a dire l'eclatante
atto di violenza ripreso dalla televisione.
Con
questi parametri di riferimento, quindi, passiamo ad esaminare l'articolo
del Direttore de "Il Romanista".
Se
un teppista esce dalla galera, o non ci va proprio, è perché
c'è un giudice imparziale che ha valutato così, in base ai
parametri che la Costituzione, il Codice Penale e il Codice di Procedura
Penale, oltre alla miriadi di leggi speciali, gli dà. E tutte queste
leggi sono fatte dal Legislatore, cioè dal Parlamento, cioè
- pfui! - dal popolo.
Il
vero problema che attualmente solleva l'opinione pubblica si riassume nel
seguente schema: "Se commetti un reato e sei giudicato colpevole, devi
andare in galera e scontare la pena". Si può essere d'accordo, e
anche il sottoscritto - in linea di massima - lo è.
Per
il resto, visto che gli ultimi fatti di violenza sono tra ultras e forze
dell'ordine, è facile rispondere che se qualsiasi cittadino italiano
si facesse 19 partite in casa in Curva Sud in un gruppo organizzato di
tifosi e altrettante in trasferta capirebbe presto cos'è che crea
il substrato per la violenza e probabilmente ce lo ritroveremmo con un
fazzoletto sul volto e un bastone in mano alla prima occasione.
Torniamo
al punto di prima, quindi.
Il
lavoro da fare, quindi, non è tanto mandare i teppisti in galera,
perché ce ne saranno sempre di altri, ma è di rendere
corretto quell'ordine e di rendere morale chi quell'ordine lo dà.
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Sindaco
Verona, in trasferta ci vado
Flavio
Tosi: 'Inaccettabile la decisione dell'Osservatorio'
(ANSA)
- VERONA, 15 NOV - Il sindaco di Verona Flavio Tosi, grande tifoso, non
rinuncera' a seguire la squadra gialloblu' in trasferta nonostante il divieto
imposto.Trovo inaccettabile la decisione dell'Osservatorio -ha detto Tosi,
leghista- Da tempo i tifosi del Verona non creano situazioni di criticita'.
Io e l'assessore allo sport Federico Sboarina, per l'Osservatorio pericolosi,
seguiremo la prossima trasferta come minimo in due e quindi in modo organizzato,
ma in numero maggiore se verranno anche altri assessori''.
La
cosa mi incoraggia. C'è ancora qualcuno che pensa, anche se è
dentro le istituzioni....
Da
una parte all'altra:
Virtus Volla |
Alba Sannio |
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"In
mezzo a tutto questo casino mi permetto di segnalare un comunicato che
il presidente della Torres, Antonio Mascia, ha diffuso ieri. Questo in
risposta a una campagna della stampa locale che per tre giorni ha dato voce al questore di Sassari e ha accostato in maniera scandalosa i fatti di Roma e Bergamo alla protesta dei tifosi della curva nord di Sassari, che domenica sono stati in silenzio per un tempo e nel secondo hanno scandito cori contro la polizia. Una protesta condivisibile o meno, ma senz'altro civilissima, dato che ne' prima ne' dopo la partita ci sono stati momenti di tensione. Poche ore dopo la partita, davanti al palazzo dello sport di Sassari, durante una partita di basket di Lagadue, un petardo e' esploso vicino a un'auto della polizia. Ovviamente i giornali hanno titolato "Ordigno contro la polizia". Il questore ha gia' preannunciato Daspo per i cori allo stadio. Il presidente della Torres ha avuto il coraggio di prendere una posizione completamente opposta a quella della maggior parte dei presidenti, in particolare quello atalantino. Inutile dire che il suo comunicato e' finito nelle pagine dello sport locale (quindi non nelle paginate sul caso Sandri), ridotto in poche righe. Un saluto da Sassari". |
"La
Società Sassari Torres 1903 respinge con fermezza qualsiasi illazione
che intenda coinvolgere la
Società e i propri tifosi nel deprecabile atto vandalico che ha colpito una volante della Polizia di Sassari l’11 novembre scorso. In nessun modo, infatti, se non per via puramente ipotetica, in attesa dei riscontri delle indagini sul caso, è possibile associare quel gesto, avvenuto lontano dallo stadio e in altro contesto, a qualsiasi tifoso torresino. Questo anche in considerazione del fatto che i cori allo stadio all’indirizzo delle forze dell’ordine di cui si è parlato, per quanto sempre del tutto ingiustificabili e che la Società ribadisce di condannare fermamente (ma che devono, tuttavia, necessariamente e oggettivamente, essere inseriti nel contesto di una giornata di particolare tensione emotiva che ha caratterizzato tutti gli stadi d’Italia indistintamente), non sono degenerati in nessun atto di violenza né dentro né fuori lo stadio Vanni Sanna. Il deflusso degli spettatori da tutti i settori è stato gestito in totale tranquillità e non si è verificata alcuna tensione tra forze dell’ordine e tifosi, prima, durante o dopo la gara . La Società ribadisce di condannare la violenza, in qualsiasi forma si presenti, ma allo stesso tempo non ritiene accettabile che si possa strumentalizzare quanto accaduto domenica, per infangare tutto il movimento di tifo rossoblù, caratterizzato da sempre da solidi ideali di amicizia e socializzazione, d’orgoglio identitario e di passione sportiva, che rappresentano gli aspetti più positivi del mondo del calcio e della fenomenologia del tifo nei quali questa Società si riconosce e che intende perseguire anche in futuro. Auspicando una soluzione immediata della vicenda, la Società ribadisce la propria vicinanza alle forze dell’ordine colpite da questo atto vandalico, si augura un immediato stemperamento di tutte le tensioni, e si unisce al dolore della famiglia Sandri per la terribile perdita di un giovane che aveva una grande e sana passione per lo sport, così come tanti nostri tifosi, alcuni dei quali, nel giorno della sua commemorazione, hanno ritenuto giusto essere presenti alle esequie per dare un segno tangibile di affetto e solidarietà". |
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Leggiamo l'intervista all'Avv. Giovanni Adami, mio caro amico. |
Poverissimi, piccoli borghesi, benestanti, qualcuno ha anche origini nobili, figli di papà, contrariamente con chi afferma che sono solo il frutto del degrado e dell’indigenza. Ridicoli presuntuosi opinionisti! Roma, Milano, Napoli, Torino, ma anche Bergamo, Treviso, Padova, Salerno, Taranto dalle metropoli alla piccola città di provincia: 100, 1000, 20.000, 50.000 e forse anche di più. Ma non erano solo una sparuta, ridicola minoranza? Chi non esce mai di casa, chi fa tanto sport, chi va in discoteca, chi non ha mai una donna e chi non sa più come tenerle a bada, chi legge i filosofi contemporanei e chi a malapena conosce la lingua italiana, belli come il sole o brutti come la fame, chi è sempre incazzato e chi c’ha una vena comica che fa invidia a Zelig, solitari e trascinatori, pacati e mansueti o violenti da non poterli guardare negli occhi. Emarginati? Sì, senza dubbio, emarginati come tutto il resto della gente o meglio estraniati da un contesto dove il sistema intero “se la canta e se la sona”. L’alta finanza, le banche, la politica, il mondo dello spettacolo, tutti sul carrozzone. Eccoli lì conduttrici puttane, cocainomani, osservatori, opinionisti, conduttori pervertiti, nani e ballerine, a strombazzare sguaiati la loro inutile, inspiegabile e lautamente remunerata presenza in questo mondo…alla faccia del resto della gente che non se la gode come loro. Ebbene sì quei ragazzi, sono estranei, sono emarginati da tutto questo, anzi lo rifiutano, lo contestano apertamente. Odiano, sì odiano e disprezzano tutto questo, lo combattono e, quando possono … lo abbattono. E per questo che a loro volta sono odiati e disprezzati dal carrozzone, perché non vogliono saltarci su, stanno bene in una curva tutti insieme a cantare, in una macchina che macina chilometri a parlare, in un pub a ridere e scherzare o per la strada uno accanto all’altro affinché nessuno possa passare. Compatti eppure diversi tra loro. Non è vero, caro ennesimo emerito giornalista benpensante che hai dichiarato che “sono loro la vera casta pericolosa”. Non siamo una casta, siamo i tuoi quartieri, la tua città, l’espressione del tuo popolo…quello duro…quello di cui tu, occupante a pagamento del carrozzone, fai bene ad essere preoccupato. GIUSTIZIA PER GABRIELE! CURVA SUD PER MILLE ANNI! |
Poi parla anche della sua Juve: "E' stata in B, ora può andare a testa alta" Violenza ultrà, la ricetta Platini "E' un cancro, ripuliamo le curve" dal nostro inviato FULVIO BIANCHI NYON - "La violenza è il cancro, il vero cancro del calcio". Michel Platini è diventato presidente dell'Uefa una settimana prima (26 gennaio 2007) che a Catania ammazzassero Raciti. Ora è toccato a Gabriele. Platini mima il poliziotto che ha sparato, guarda fuori dalla finestra del suo ufficio a Nyon, guarda verso le montagne spruzzate di neve e fa una smorfia. "Ma com'è possibile che sia successo? Ha sparato dall'altra parte dell'autostrada... Com'è possibile?". Sa tutto, Platini di quello che succede in Italia. Sa e non approva tutto. "Bisogna fermare questa gente che tiene il calcio in ostaggio e allora sì, certo, sono d'accordo, nell'impedire le trasferte dei violenti. Così è stato deciso di fare in Italia e mi sembra una soluzione giusta: può servire, per un periodo di tempo limitato. Così quella gentaglia non si affronta più lungo le autostrade e così si ha anche più tempo per ripulire le curve. Penso ad Atene, ad esempio, alla finale di Champions League, a quei diecimila tifosi del Liverpool arrivati senza biglietto. Ma chi li ha fatti partire?" E
che ne pensa il presidente dell'Uefa della decisione di bloccare il calcio
per domenica prossima?
Bloccare
le trasferte dei violenti, su questo lei è d'accordo. L'Uefa si
aspetta anche lo 0-3 a tavolino per la gara Atalanta-Milan fermata dagli
ultrà. Ma cos'altro propone Platini?
E
se la giustizia non lo fa o non lo vuole fare?
"Non solo contro la violenza, ma anche contro il doping, contro chi trucca le partite, contro le scommesse clandestine, eccetera. Una polizia per lo sport, non solo il calcio. Abbiamo già avuto incontri con le polizie e il 28 e 29 novembre a Bruxelles ci vedremo anche con tutti i ministri degli Interni d'Europa. Ci devono aiutare, noi da soli non ce la possiamo fare: il calcio deve essere una festa, deve tornare ad esserlo. Tutti devono avere la possibilità di poter andare in uno stadio, altro che chiuderli. Il 95% delle persone che va in uno stadio d'altronde vuole godersi solo lo spettacolo, magari coi figli. Il 5% sono dei violenti: e questi vanno fermati. In Italia come in Germania, in Polonia, a Barcellona". Sul
razzismo però avete fatto passi avanti.
Per
chi tifa sabato il presidente dell'Uefa: per l'Italia o per la Scozia?
Pallone
d'oro, lei a chi lo darebbe? A Kakà?
Almeno
ci può dire se le piace la sua Juventus.
Ma
lo scudetto chi lo vince?
Il
30 novembre sarà approvata la sua riforma di Champions che andrà
in vigore dal 2009-2010: ha vinto il dittatore Platini.
L'Italia
avrà ancora quattro finaliste (e solo la quarta giocherà
un preliminare): non è male, i club italiani hanno approvato la
sua riforma.
Si
diverte a guardare le partite in tv?
Sempre
convinto che la moviola non serva?
Lei
ha chiesto aiuto ai governi d'Europa. Perché?
Anche
Sarkozy?
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LA
GIUSTA DISTANZA
In risposta ai vari editoriali sui quotidiani di oggi. No, non lo sapete. Non lo sapete perché ieri pomeriggio e ieri sera è successo quello che è successo. Ed è proprio questo il motivo per cui succede e continuerà a succedere. Per la distanza che da trent’anni ci separa. Una giusta distanza. Tutti scrivete, tutti sapevate, tutti avete opinioni e soluzioni. Ma nessuno capisce che in realtà è la distanza che determina questo stato delle cose. Una distanza sempre uguale, da sempre, da Furlan a Sandri, da Colombi a Raciti. Ma quale caccia al poliziotto..ma quale l’agente voleva fermare la rissa..ma quale complotto al derby sospeso. Non è colpa di nessuno se in questo paese l’abitudine all’impunità è diventata assuefazione. E chi non si assuefa, per volontà, per mancanza di strumenti o per il rifiuto di strumenti, che ad altro non servono che a sopportare, fa quello che fa. Reagisce. Agisce. Sbaglia. Fa bene. Fa male. Ma fa. Sappiamo tutti che quell’agente non pagherà. Ci hanno abituato a questo. Ci hanno abituato nei secoli. Ma anche recentemente. E non pagherà perché la tensione che si è inevitabilmente alzata verrà usata(di fatto già lo è) per pareggiare il danno. Ma il danno culturale, la frattura..la distanza non è così che si ripara. Così si afferma. Si sentenzia. Si scolpisce dentro le persone, nella loro vita quotidiana, nei pensieri, nei gesti e nello strato più profondo dell’animo. La distanza. Giusta perché ancora una volta nessuno ammette, nessuno si dimette, nessuno è e sarà vero nella verità delle cose. Nessuno ha sparato come conseguenza di uno scontro tra ultras. A uccidere Raciti non è stato il diciassettenne. Il bambino morto al derby è stato creduto possibile da 70.000 persone perché 70.000 persone erano testimoni dalle 18 di quel pomeriggio della violenza dei reparti della finanza attorno allo stadio olimpico. La distanza la mettono i pomeriggi domenicali con le loro discussioni sull’accaduto affidate a Moggi e Belpietro. Condannano l’odio. Loro, che di odio sono maestri nelle rispettive vite professionali. La giusta distanza la mettevano gli opinionisti Biscardiani che se le davano peggio che in qualsiasi autogrill dell’A1 e che oggi scrivono editoriali condannando ieri pomeriggio e ieri sera. Pareggia. Pareggia il danno. Sandri è morto come un qualsiasi pischello Napoletano che senza casco sul motorino a 14 anni viene sparato alle spalle perché non si ferma ad un controllo di polizia. Sandri è morto come un qualsiasi operaio pagato in nero che casca da un ponteggio di otto metri. E’ morto in un modo assurdo e ingiusto. E’ la paura che questa morte resti tale a mandarti fuori di testa. Perché è POSSIBILE che resti tale. Possibilissimo in questa società civile dove quattro cazzotti o venti minuti, o un’ora di tafferugli contemplano spari in faccia mentre migliaia di famiglie rovinate da un crack finanziario possono andare a fare in culo. Loro. E non chi li ha ridotti così. Questo è quello in cui le giovani leve crescono e senza accorgersene incamerano. Questa è l’acqua che bevono. La carne che mangiano. I sogni che non sognano. Questo è quello in cui i più adulti cercano di galleggiare. E’ questo il nostro paese di cui si canta l’inno. In cui uno che si dopa in tv vince il pallone d’oro ed è chiamato a testimone dei valori dello sport. La distanza ce la teniamo. A questo punto la pretendiamo. In lei ci riconosciamo, la difendiamo. Ci saranno sempre due verità nello stato delle cose. La nostra la sappiamo. La sapremo sempre e sempre la cavalcheremo. Senza sosta, senza tregua. Non curandoci delle “leggi del branco” con cui cercano di incasellarci in sondaggi e programmi tv o affibbiando stemmi di partito o appartenenze terroristiche. Che dicano, che scrivano, che reprimano. Biglie, sassi, punteruoli. Era un ragazzo buono e gentile. E se fosse stato cattivo? Faceva differenza? Doveva morire con tre, quattro botte invece che una? Una morte insegna sempre. Per questo il modo migliore di ricordare Gabriele è dicendogli grazie anche se non si conosceva. Grazie perché molti da ieri saranno persone migliori. Lontano adesso. Distanti. Giustamente distanti. E lui è qui dalla parte nostra. E’ loro il disagio sociale. Soltanto loro regà. |
dei capitifosi 12/11/2007 |
IN MERITO ALL’ASSASSINIO DEL TIFOSO LAZIALE GABRIELE. Il gruppo Firenze Ultras intende esprimere il suo cordoglio e la sua solidarietà alla famiglia del tifoso laziale Gabriele Sandri e a tutta la tifoseria biancoceleste. Gabriele è stato assassinato fuori dall’autogrill di Badia al Pino sull’Autosole nei pressi d’Arezzo mentre andava in trasferta al seguito della sua squadra del cuore, in circostanze controverse e che esigiamo vengano chiarite rapidamente e i responsabili duramente puniti. Gabriele è stato colpito a morte da un proiettile esploso, senza motivo apparente e ad altezza d’uomo, da un agente di polizia. Questo è un fatto. Non durante uno scontro con tifosi avversari o durante una carica allo stadio. Gabriele è stato freddato alle spalle, e questo è inammissibile! La violenza negli stadi e gli scontri fra tifoserie quindi è il pretesto, non la causa di questa ennesima tragedia. Questo è quello che dichiarano l’avvocato della famiglia di Gabriele e alcuni ultras laziali: "non ci sono stati tafferugli, ma solo una piccola scaramuccia tra due auto di tifosi laziali e juventini. Il nostro amico è stato ucciso mentre era in macchina che stava uscendo dall'area di servizio. Gli hanno sparato i poliziotti, scrivetelo, che si trovavano nella carreggiata opposta". Chiediamo pertanto di smetterla con gli insabbiamenti e le mistificazioni della realtà quando i responsabili delle morti sono i tutori dell’ordine. Non accetteremo fantasiose perizie e ricostruzioni strumentali dell’accaduto. Ricordiamo ancora Fabio Di Maio, Stefano Furlan, Celestino Colombi, Sergio Ercolano e molti altri tifosi uccisi in circostanze mai chiarite e conclusesi con l’impunità dei responsabili in divisa. Ci auguriamo che nessun poliziotto sia inciampato, che nessun colpo sia stato esploso accidentalmente o sia rimbalzato contro sassi o lamiere varie centrando lo sfortunato tifoso laziale dentro l’automobile. Ci uniamo al dolore e alla rabbia per quanto accaduto, frutto di questa continua e ottusa repressione, dell'incremento costante della tensione, della crescente militarizzazione degli stadi seguita al giro di vite istituzionale con il varo del decreto Amato in seguito ai fatti di Catania. Firenze Ultras è ancora presente in Curva Fiesole e ovunque giochi la Fiorentina nonostante la decisione ufficiale di sciogliersi avvenuta in primavera, e pertanto esprime il suo dissenso nei confronti di chi ha voluto ugualmente fare giocar la gara contro l’Udinese infischiandosene del rispetto per una giovane vita umana stroncata in maniera assurda, e soprattutto nei confronti di quella parte di tifoseria che, insensibile alla tragedia avvenuta, avrebbe preferito seguire la partita e sostenere la squadra come se nulla fosse accaduto in quell’autogrill a pochi km da Firenze. Togliere gli striscioni dei club e astenersi dal sostenere la squadra era il minimo che la Fiesole dovesse fare in quelle ore. Così come vergognosa è stata la decisione di non fermare tutte le altre partite come avvenne in seguito alla tragedia di Catania, autorizzandoci a pensare che per qualcuno esistono morti di seria A e di serie B a seconda che si indossi o meno una divisa. Prepariamoci infine al solito teatrino mediatico del pattume della disinformazione e del pressappochismo anti ultras dei soliti benpensanti e pennivendoli. Nonostante ogni rivalità, siamo solidali con tutti gli ultras italiani che stanno manifestando e hanno manifestato, boicottando le partite e sfilando compatti, la loro rabbia e il loro sdegno per quest’ennesima tragedia di stato. LA
MORTE E’ UGUALE PER TUTTI!
FIRENZE
ULTRAS
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E'
stato un tirassegno. «È un reato perpetrato dalle forze dell'ordine,
lo dicono i tifosi, sentite loro. È stato un tirassegno»,
dice ai giornalisti l'avvocato Conti dopo aver assistito ai primi rilievi
nell'auto. "Un tiro a segno?" gli hanno chiesto i
giornalisti.
«I suoi amici parlano di un colpo sparato in un'auto: voi questo
come lo
chiamate?»,
ha aggiunto Conti. A chi gli chiedeva se ci siano dei poliziotti sotto
interrogatorio il legale ha risposto: «Non lo so, stanno ancora cercando
il proiettile all'interno della macchina». Conti infine, ha aggiunto
che «nell'auto non ci sono armi.
Non
c'è niente che nemmeno possa essere scambiato per un'arma, né
contundente né da sparo».
Proseguiamo
con le e-mail:
Ciao
Lorenzo è la seconda volta che ti scrivo. Volevo dire 2 cose: a)
appena saputa la notizia, la prima cosa che ho fatto è stato accedere
al tuo sito, che (mi ripeto) è il vero servizio pubblico. b) secondo
me tu sei fin troppo ottimista a pensare al piccione che ha tirato il grilletto.
Non avranno alcun bisogno di inventarsi storie assurde sulla dinamica dei
fatti per parare il culo all'assassino in divisa. In italia sparare su
un ragazzo fermo in macchina all'autogrill è legittimo se questi
ha una sciarpetta al collo. Io sono distrutto. Saluti, Cosimo.
Il
Ministro Mastella, quello che va al Gran Premio con i soldi nostri:
Tifoso
ucciso: Mastella, "Misure piu' severe"
11
nov 14:22 Politica
ROMA
- "E' un episodio gravissimo, nessuno dia una mano a queste frange estremistiche,
che sono tutt'altro che tifosi. Lo sport e' sana competizione, non violenza".
A dirlo Clemente Mastella, in merito alla morte del giovane tifoso laziale.
Il ministro della Giustizia ha definito "giusta" la decisione di rinviare
la partita Inter-Lazio. "Ma l'attenzione su questi problemi non deve calare,
non si deve fermare ad oggi - ha concluso - servono quindi misure ancora
piu' severe di quelle attualmente esistenti". (Agr)
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Inter/Genoa 2007/08: il giudice sportivo "squalifica" la Curva Nord di San Siro che si sposta in Curva Sud, proprio sopra i tifosi ospiti. |
Udinese/Torino 2007/08 L'Osservatorio Nazionale sulle Manifestazioni Sportive "vieta" la trasferta ai tifosi del Torino. Infatti. |
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Champions League 2007/08 Stella Rossa/Bayern Munchen |
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